La Basilicata non è, a differenza di altre regioni italiane che sembrano essere state create ex nihilo appositamente per girare, uno dei luoghi chiave per interpretare la storia del Cinema italiano. Se volessimo pensare che lo sia, dovremmo certamente ragionarne in termini qualitativi. Non che la regione non ne abbia la fisionomia, tutt’altro. Ma anzi questa natura a tratti un po’ bruta e deserta è stata poco sfruttata dagli uomini con la camera. Eppure i sassi di Matera sono stati trangugiati dal pubblico in tutte le salse, pubbliche e private, nell’ultimo decennio almeno. Oggi Matera è talmente di moda che l’ultimo episodio che vede Craig protagonista di James Bond ha anche la città lucana tra i suoi punti di forza. Un film il cui esordio è slittato causa Covid fino all’inverosimile, tanto che ci domandiamo se mai davvero lo vedremo in sala e quando.
Una ragione rudimentale e apparentemente povera, lontana dal progresso, ha un suo fascino invitto che sta nel non conformarsi alla storia teleologica del mondo. O quantomeno di appartarsi, tanto da rimanere sempre in un limbo, in un confine con la storia stessa. Non esiste una Lucania che si fa soggetto e protagonista nella storia del cinema, forse, almeno escludendo autori di nicchia e senza considerare le grandi produzioni, ma esiste làddove essa si considera contorno di storie “altre”, di narrazioni trasversali.
A Matera, prima che andasse di moda postare foto dei sassi su Instagram, Pasolini ambientò buona parte di uno dei suoi più armonici capolavori, rischiarato da luci e dalla grazia, Il vangelo secondo Matteo. Un film didascalico forse, ma fotografato divinamente. Matera non è neanche uno dei tanti luoghi che coinvolgono il film, ma precisamente Gerusalemme. Fa da sfondo alla passione di Cristo, alla sua crocefissione, alla sua resurrezione. Non è quindi questa una scelta casuale per un simbolismo astratto o di maniera. La città è visibile nel lungometraggio, ma sopravvive anche in alcune fotografie che ritraggono il regista al lavoro con il cast.
La Basilicata avrebbe forse meritato l’ambientazione fedele di Il bandito di tacca del Lupo, uno dei migliori e più dimenticati film di Pietro Germi, con Amedeo Nazzari in strepitosa forma negli della sua ormai raggiunta maturità (siamo d’altronde già nel dopoguerra inoltrato); eppure quel film, dedicato al brigantaggio e alla questione meridionale ante litteram, così importante e così narrativamente avvincente, fu girato in Calabria e a Roma e non nell’aria di Melfi, che invece tendeva a rappresentare. Accettato lo scambio, rimane una pellicola memorabile su quella regione e su un’epoca storica cruciale per l’Italia che è stata poco raccontata fino a una ventina d’anni fa, quando movimenti e storici dalla dubbia serietà hanno cominciato a fare opera di revisionismo non troppo intelligente.
Quasi integralmente in Basilicata fu invece girato Cristo si è fermato a Eboli, film discusso e tratto un romanzo celeberrimo – certamente più celebre del lungomtraggio – nonostante fosse girato da un calibro pesante del Cinema italiano, Francesco Rosi;
Lucana è anche la famiglia di Rocco e i suoi fratelli che si trasferisce a Milano nel capolavoro di Luchino Visconti, tanto che l’onomastica qui ci viene incontro; l’ultimo dei numerosi fratelli, viene specificato nel finale, è stato chiamato Luca proprio per evocare la terra madre: come se con questa chiosa la sceneggiatura volesse chiudere un cerchio su una famiglia allo sbando durante le prime migrazioni interne del dopoguerra, uno snodo storico di cui la capitale ambrosiana porta ancora parzialmente i segni nelle aree periferiche e industriali che vanno verso Nord (il film è infatti tratto da racconti ispirati al quartiere della Ghisolfa).