“C’era una Tappa” è la rubrica di Olympia che racconta alcune delle leggendarie imprese compiute al Giro d’Italia, che trascendono le due ruote. Perché la storia della Corsa Rosa s’intreccia a doppio filo con quella del nostro Paese. In questo episodio raccontiamo una delle imprese più belle del Pirata Marco Pantani: la vittoria in rimonta alla Racconigi-Oropa 1999.
Si dice che i guai del Pirata cominciarono quel giorno. Che al termine di quella tappa, cadde la prima tessera di un domino che, come risultato, porterà alla caduta dello sportivo e dell’uomo Pantani.
I rumors giunti fino ai giorni nostri dicono che una carovana del Giro d’Italia, arrabbiata e scontenta del suo insaziabile appetito di vittorie, abbia abbandonato colui che fino a quel momento era stato leader del ciclismo mondiale, lasciandolo solo. Come quando, di lì a pochi giorni, cadrà la seconda tessera a Madonna di Campiglio. Il ciclismo, del resto, è l’unico sport che io conosca dove non è consentito stravincere. Certo, in nessuna disciplina un avversario sconfitto apprezza il fatto che si infierisca su di lui, ma questo non vuol dire che non si possa fare.
Miguel Indurain, che tra il 1991 e il 1995 si aggiudicherà 5 Tour de France e 2 Giri d’Italia, oltre ad essere stato uno dei più grandi campioni di questo sport, era anche un eccellente politico. Nonostante fosse due spanne superiore ad ogni suo rivale, si accontentava di vincere le tappe quando era strettamente necessario: per conservare o per conquistare la maglia di leader. Quando vincere era un surplus, lasciava che le altre squadre e gli altri corridori, purché non diretti rivali in classifica, si spartissero il bottino. Per questo era molto benvoluto. Pantani conosce le regole non scritte del ciclismo, ma è un altro tipo di campione: non fa regali e non accetta regali. Quando può vincere vuole vincere, riducendo le occasioni in cui occorre lasciare il palcoscenico ai comprimari allo strettissimo necessario.
Antefatto. Il 20 luglio 1994, alla sua prima partecipazione al Tour de France, il Pirata fa le prove generali di quello che sarà uno dei suoi capolavori. Rimasto attardato a causa di una caduta, quando ancora mancano diversi chilometri al traguardo, rientra in gruppo con molta fatica. Nell’ascesa finale che porta al traguardo di Val Thorens, Pantani scatta rimontando un numero incredibile di posizioni e recuperando molto terreno sui fuggitivi di giornata. Una azione che fa parte del libro di epica della corsa a tappe francese, ma che purtroppo gli varrà soltanto il terzo posto, quel giorno: Nelson Rodrigue e Piotre Ugromuv godevano di un margine troppo ampio per essere colmato totalmente nel corso di quell’ultima asperità.
Il 30 maggio 1999 è invece il giorno della Racconigi-Oropa. La classifica generale vede il romagnolo al comando con un 1′ 54” su Savoldelli, mentre Jalabert, terzo, è staccato di 2′ 10”. Il gruppo dei migliori arriva compatto ai piedi della salita finale. Il Pirata, si sa, non ama stare nelle primissime posizioni. Al suo direttore sportivo, che gli chiedeva perché stesse sempre in coda al gruppo, una volta rispose: «non sai che gusto mi da infilare gli avversari uno per uno». Verrà accontentato fino all’eccesso, in questa occasione. Infatti, dopo poche centinaia di metri dall’inizio dell’ascesa verso Oropa scompare. Dov’è finita la maglia rosa?
Il mistero è presto svelato: l’elicottero lo inquadra mentre a bordo strada cerca di venire a capo di un salto di catena sulla sua bicicletta. L’ ammiraglia è lontana e Marco non può aspettare che lo raggiunga: ha già perso notevole terreno. Così, risolve il problema meccanico da sé, in qualche attimo di eterna durata, e poi riprendere finalmente a pedalare.
Pochi metri più avanti lo stanno aspettando i suoi compagni, che da ora devono dare il massimo per riportare in gruppo il proprio capitano. Marco ha il viso tirato. Dezan e Cassani che stanno commentando la tappa per la Rai, affermano di leggere del nervosismo nella sua espressione. La pedalata appare come impastata, densa di muscoli e melassa, un connubio che rende legnosa una azione solitamente agile e snella. Davanti intanto è scoppiata la bagarre, Gotti e Jalabert tentano di approfittare di questa momentanea défaillance del capo classifica per attentare al suo primato. La loro sarà solo una illusione: i sogni nel ciclismo non muoiono all’alba, ma al traguardo. I compagni di Pantani, intanto, mano a mano che terminano il loro lavoro si sfilano, lasciando il passo al gregario più fresco e lasciandosi morire, sportivamente parlando, lungo tutta la strada mancante al traguardo.
Ad un certo punto, Marco chiede ai gregari di rallentare un po’, perché fatica a star loro dietro. Non è da lui. Comunque il duro lavoro paga: alzando la testa e guardando davanti al proprio naso i ragazzi della Mercatone vedono la coda del gruppo. Coloro che si inchinano alle severe pendenze che conducono a Oropa, sfilano accanto al romagnolo come fossero sagome di cartone messe lì per abbellire il racconto. Essere finalmente rientrato, evidentemente, scioglie i nodi nella mente del Pirata, che acquisisce maggiore fiducia, riacquista il suo swing, oltre che rotondità e brillantezza nella pedalata: ora, scacciate le paure, innesta la modalità cannibale, digrigna i denti in quella sua espressione che faceva paura solo a guardalo e prosegue. Andrà a caccia dei fuggitivi su quei tornanti, che se anche arrivassero fino al cielo, non sarebbero in numero sufficiente per sfinirlo e metterlo in ginocchio.
Clavero, Miceli, Salvoldelli, Simoni, Gotti, Jalabert. Sono coloro che guidavano la corsa, prima che un treno in corsa del peso totale di soli 60 kg li travolga, lasciandoli attoniti nel mare dell’umana impotenza dei mortali. Ogni volta che supera un avversario sembra voler dire: “avanti un altro”. Ma non c’è più nessuno davanti alla maglia rosa, che comunque persevera come fosse in trance nella sua azione feroce, come se si aspettasse che da un momento all’altro, dietro una curva, si materializzasse un altro rivale. Non è sicuro di essere al comando, così, quando taglia il traguardo, non alza le mani, come è consuetudine per il vincitore di tappa. Nel frattempo, una nuova pagina di storia del Giro d’Italia e del ciclismo è stata scritta.
«Marco, domani bisogna lasciare andare via la fuga, le altre squadre si stanno lamentando». Mentre è steso sul lettino del massaggiatore, al termine della 15ª tappa del Giro del 1999, la maglia rosa sente uscire queste parole dalla bocca del suo direttore sportivo, Giuseppe Martinelli. Ma mentre è cosa certa e documentata la frase di Martinelli, che chiede al suo capitano di lasciare agli altri qualche briciola, sulla risposta del romagnolo le versioni discordano. Il suo massaggiatore, Roberto Pregnolato, sostiene, da sempre, che la risposta sia stata: «Certo, non c’è problema». Altri, invece, testimonieranno come Marco fosse furibondo per essere stato attaccato mentre era in difficoltà con la sua bici.
Ora facciamo un salto indietro di qualche settimana. Poco prima dell’inizio di quel Giro d’Italia, il CONI lancia la campagna “Io non rischio la salute“. Si tratta di un test volto alla misurazione dell’ematocrito del sangue, valore che, quando è troppo alto, può causare trombosi e quindi anche la morte. Mascherato da esame per tutelare la vita degli atleti è in realtà l’unico modo per fermare coloro che, presumibilmente, fanno uso di eritropoietina. L’assunzione di questo farmaco aumenta l’ossigenazione del sangue, rendendolo più denso, quindi più pericoloso per la salute. Non essendo ufficialmente un test antidoping, una positività non produce una squalifica, ma solo un’esclusione alla competizione a cui si sta partecipando al momento del test, accompagnato da un fermo di 15 giorni, tempo necessario per ripristinare i normali valori del sangue. Dopodiché si può tornare gareggiare.
Il CONI si aspetta una adesione di massa di tutte le federazioni affiliate, invece questa iniziativa è un flop gigantesco. Aderiscono in pochissimi, tra gli sport con maggior risonanza a livello mediatico solo il ciclismo. I test antidoping sono gestiti direttamente dall’Unione Ciclistica Internazionale. Sono quindi solo quelli svolti dall’UCI, che i ciclisti riconoscono e a cui accettano di sottoporsi. Contestano invece la campagna del CONI, così chiedono a Pantani di farsi portavoce della loro protesta. Durante una diretta televisiva del programma Rai Processo alla tappa di inizio Giro, a nome di moltissimi altri colleghi Marco annuncia che se si presenterà il CONI a sottoporli a test che loro personalmente non hanno sottoscritto, la corsa si interromperà.
Qualche settimana dopo, poche ore prima della partenza della penultima tappa, il Pirata forse troppo scomodo per il giro clandestino di scommesse e abbandonato da un gruppo scontento, cade proprio a seguito di quell’esame contestato da tutti i partecipanti. Ma non c’è nessuno tra gli altri corridori, quel 5 giugno 1999 che minaccia di non partire. La maglia rosa passa al secondo in classifica, Savoldelli. In realtà Paolo è l’unico a mostrargli un po’ di solidarietà, rifiutandosi di indossare la maglia di leader della corsa, da cui poi uscirà vincitore Ivan Gotti. Marco quindi viene escluso dalla dal Giro d’Italia e fermato per quindici giorni, al termine dei quali potrebbe tranquillamente tornare a gareggiare e vincere. Ma come sappiamo, si perderà per sempre, tra persecuzioni giudiziarie e scelte personali profondamente errate.