Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo del coming out di Demi Lovato come persona non binaria e di quanto sia difficile tradurne le conseguenze sul piano linguistico.
Non si tratta di una semplice notizia di gossip ma di un’occasione per riflettere sul legame tra identità di genere e lingua, in particolare quella italiana. Innanzitutto però bisogna porsi una domanda: Chi sono le persone non binarie? Sono le persone la cui identità di genere non è né femminile né maschile, ma più fluida. Spesso, soprattutto chi parla inglese, chiede infatti di rivolgersi loro con il pronome they, che viene usato come neutro o ambigenere.
In italiano, però, l’aspetto linguistico diventa più complesso. Se non si identificano né come donne né come uomini, come rivolgersi loro? Al maschile o al femminile? Al singolare o al plurale? Non c’è una soluzione univoca. Chi si occupa di identità di genere e di linguistica sta discutendo da tempo per trovare delle modalità adatte, ma la norma è ancora variabile. Spesso si ricorre all’asterisco o allo schwa (ə), usati al posto della terminazione femminile o maschile di un sostantivo, un aggettivo o un participio (orgoglios* e orgogliosə al posto di orgoglioso o orgogliosa). In altri casi si alterna la declinazione maschile a quella femminile. Quali strategie hanno usato i giornali?
La Repubblica ha scelto l’asterisco per tradurre il tweet in cui Demi Lovato, in inglese, racconta il suo coming out: «Oggi è un giorno che sono così felice di condividere un po’ di più della mia vita con tutti voi. Sono orgoglios* di farvi sapere che mi identifico come non binari* e cambierò ufficialmente i miei pronomi in “loro” da qui in avanti”». Poi la testata aggiunge: «In questo articolo abbiamo scelto di usare * per la desinenza degli aggettivi».
Si fa inoltre riferimento alla sua dedizione all’attivismo per i diritti delle persone LGBTQ+, che naturalmente precede il suo coming out e che avvalora la sua lunga riflessione sull’identità di genere. Infine l’articolo si chiude ricordando che nel dicembre del 2020 Elliot Page ha fatto coming out come persona trans. Era stata una notizia molto presente sui giornali, che non l’hanno saputa gestire nel migliore dei modi. Ci sono stati infatti numerosi casi di misgendering (riferirsi a una persona trans con i termini legati al sesso biologico e non alla sua identità di genere) e di uso del deadname (il nome precedente alla transizione). La Repubblica, dopo una serie di dibattiti online, aveva pubblicato una sorta di rettifica per spiegare al pubblico «cosa ci ha insegnato fino a questo momento la sua storia», anche a livello linguistico.
Il Post sceglie di lanciare sui social la notizia relativa a Demi Lovato usando lo schwa: «Mercoledì lə cantante statunitense Demi Lovato ha detto pubblicamente di essere una persona non binaria». Si tratta del suono descritto da ə, simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), che viene spiegato così dalla sociolinguista Vera Gheno: «sta al centro del quadrilatero vocalico, cioè tra A, E, I, O, U, e, come dico spesso, corrisponde al suono che si emette se non si deforma in alcun modo la bocca, “a bocca rilassata”».
All’interno dell’articolo lo schwa è assente, ma viene dato molto spazio all’uso di they come singolare neutro (quello che in inglese si chiama singular they). Esiste da più di 600 anni, anche se solo recentemente ha visto una forte diffusione, e non è traducibile perfettamente con “loro” perché si riferisce a un solo individuo, non a una pluralità. È una terza persona singolare neutra che però in italiano manca.
Il Post conclude l’articolo spiegando che fare coming out come persone non binarie è una tendenza diffusa negli USA, per via di un fervido dibattito sull’identità di genere. Lo è anche segnalare i propri pronomi quando ci si presenta, nelle biografie dei profili social o nelle firme in calce alle mail per permettere a tutti di essere chiamati nel modo che ritengono più in linea con la propria identità.
Si comporta in modo diverso l’Ansa, che sceglie un titolo un po’ semplicistico: «Demi Lovato: ‘Sono non binaria, datemi del loro’». Sembra quasi che l’artista abbia scelto un plurale maiestatis, quando in realtà they tradotto al plurale risulta fuorviante. Inoltre la testata mantiene la declinazione al femminile durante tutto il resto dell’articolo, compresa la traduzione italiana del tweet.
Infine Il Fatto Quotidiano confonde nell’incipit alcuni elementi che in realtà appartengono a piani distinti. Si legge infatti: «Dapprima aveva dichiarato di essere bisessuale, poi pansessuale ora ne è certa: “Sono non-binaria”». La bisessualità e la pansessualità, però, appartengono alla sfera dell’orientamento sessuale e indicano rispettivamente l’attrazione verso tutti i generi e verso un individuo a prescindere dal suo genere. Il non binarismo, invece, è legato all’identità, cioè al senso di appartenenza di ciascuna persona a un genere o meno.
Il resto dell’articolo non si concentra su questioni linguistiche o identitarie, ma sulle reazioni che hanno seguito il coming out di Demi Lovato. Si riportano in particolare alcuni commenti comparsi sui social che hanno sostenuto o criticato l’artista per la sua scelta di esporsi.
In conclusione, queste diverse narrazioni di un’unica notizia mostrano quanto sia complesso tradurre in italiano le strategie adottate in inglese per esprimere il superamento del binarismo di genere. Nonostante non ci sia una norma univoca, alcune delle testate considerate si sono dimostrate aperte alla sperimentazione e all’adozione di forme più inclusive (La Repubblica e Il Post), mentre altre hanno scelto una flessibilità linguistica minore (Ansa e Il Fatto Quotidiano). Visto che La Repubblica ha citato il caso di Elliot Page, possiamo sicuramente dire che questo coming out è stato gestito, per quanto riguarda la stampa italiana, in modo migliore. L’attenzione al legame tra identità di genere e lingua sembra essere entrata, almeno in parte, anche nelle redazioni dei giornali.