“C’era una Tappa” è la rubrica di Olympia che racconta alcune delle leggendarie imprese compiute al Giro d’Italia, che trascendono le due ruote. Perché la storia della Corsa Rosa s’intreccia a doppio filo con quella del nostro Paese.
In questa quinta puntata raccontiamo della Milano-Mantova 1931, in cui Learco Guerra conquista la prima Maglia Rosa.
Immaginatevi di aver vissuto i ruggenti anni venti e di camminare per le strade di New York, Parigi o Londra, con la prospettiva dell’arrivo del 1930. In un solo decennio il progresso tecnologico ha fatto passi da gigante: sono stati inventanti il telefono ed il motore a reazione, è stata scoperta la penicillina e sono nati i voli passeggeri. Gli anni ’30 si prospettano elettrizzanti e pieni di possibilità, ma proprio sul finire del 1929, il crollo della Borsa di Wall Street cambia improvvisamente il punto di vista sul nuovo decennio.
In Italia, ovviamente, la prospettiva è ben diversa. Gli anni ’20 non sono stati poi così ruggenti e per la popolazione la situazione era peggiorata ben prima del più grande crollo del mercato azionario del Novecento. È il 1928 quando l’Italia diventa a tutti gli effetti una dittatura: il Gran Consiglio del Fascismo si converte nel massimo organo costituzionale del Regno e viene approvata la nuova Legge elettorale, che prevede l’accettazione o il rigetto in blocco di una lista unica.
L’età dell’oro
Il ciclismo italiano, nonostante un rapporto mai sbocciato veramente con il regime, gode di ottima salute, in una lungo filo dorato di talento che unisce Girardengo e Coppi, passando per Binda, Guerra e Bartali.
Costante Girardengo, il primo a conquistarsi il soprannome Campionissimo, è stato per diversi anni il dominatore incontrastato. Inizia già a farsi notare prima della Grande Guerra, con diversi piazzamenti e i suoi primi due campionati italiani. Ma è dopo il conflitto che inizia a surclassare gli avversari, almeno fino all’infortunio del 1926 che lo tiene lontano dalle corse per quasi un anno. Ormai 33enne e con il nuovo astro nascente Binda in rampa di lancio, la carriera di Girardengo proseguirà per altri 10 anni in lento declino comunque densi di vittorie, quando ultraquarantenne si ritirerà con all’attivo 131 corse su strada vinte (su 289 disputate), 965 su pista e tra le altre 2 Giri d’Italia, 6 Milano-Sanremo e 9 campionati italiani, tutti ininterrottamente tra il 1913 e il 1925.
L’Imbattibile Binda
Alfredo Binda, invece, fa il suo esordio nel ciclismo professionista nel 1922, proprio mentre la Marcia su Roma sta diventando tale. Gareggia in Francia, dove si è trasferito con il fratello dopo la guerra per fare lo stuccatore. Il ragazzo ha talento e vince già nei suoi primi anni tra i pro, così nel 1925 decide di rientrare in patria, dove vince subito il suo primo Giro d’Italia. L’anno successivo, ai campionati italiani batte Girardengo in una vittoria che sa molto di passaggio di consegne, come effettivamente avviene. Perché Binda diventa l’Imbattibile e domina il Giro d’Italia in una storica tripletta tra il 1927 e il 1929. La superiorità è talmente netta che gli organizzatori decidono di pagarlo per non partecipare all’edizione successiva. Per convincerlo gli vengono corrisposte 22.500 lire, pari al premio per il vincitore della classifica generale.
Nell’anno sabbatico dal Giro, Binda decide di provare l’esperienza straniera della Grande Boucle, su quelle strade che lo avevano lanciato nel professionismo. Dopo la vittoria di due tappe pirenaiche, mentre si sta avviando a dominare il suo primo Tour de France, i dissidi con la Federazione italiana per il mancato versamento del premio per aver rinunciato al Giro lo spingono ad abbandonare la corsa. Il ritiro gli permette di preparare ancor meglio il Campionato del Mondo di Liegi, che vince magistralmente davanti all’idolo di casa Ronsse.
In vista della partenza del Giro d’Italia 1931 c’è grande fibrillazione per il ritorno di Binda sulle italiche strade Rosa. Un’attesa come non la si vedeva da anni, vista la prospettiva di una corsa combattuta: da una parte il Campione del Mondo nella sua maglia iridata; dall’altra il suo coetaneo Learco Guerra. Il 27enne, alla sua sola quarta stagione da professionista, può già fregiarsi della maglia tricolore di Campione d’Italia, sfilata proprio all’Imbattibile solamente l’anno prima. Potrebbe sembrare un passaggio di consegne simile a quello che avvenne con Girardengo; in realtà, si tratta “semplicemente” dell’incoronazione dell’unico capace di costringere alla sconfitta Binda.
La Medaglia e la Maglia
Il giorno prima del via della 19ª edizione, il 9 maggio 1931, La Gazzetta dello Sport – organizzatrice della corsa – dalle sue colonne lancia uno storico annuncio:
L’idea è di Armando Cougnet, storica figura del ciclismo italiano, noto per essere anche l’ideatore della Milano-Sanremo, oltre che della Corsa Rosa. Il colore scelto per la Maglia, ovviamente, è ispirato alle pagine del giornale sportivo più famoso d’Italia, con buona pace dei Gerarchi del Partito Fascista che lamentano, nel bel mezzo del Ventennio, la poca virilità di quelle tinte.
La prima tappa in programma è la Milano-Mantova. La carovana – che per questa edizione conta 109 corridori – parte la mattina del 10 maggio da Piazza del Duomo, tra squilli di tromba e pomposi proclami. Per l’occasione, il Duce ha messo in palio tre medaglie d’oro, «aurei simboli di vittoria che provengono da Chi è promotore, araldo, artefice di ogni vittoria». A cui si affiancano anche altri premi, come la Coppa del CONI, la Coppa del Partito e le medaglie del Sottosegretario alla Guerra.
Chi sarà la maglia rosa?
La frazione prevede 206 chilometri da percorrere nelle campagne della Pianura Padana, con l’arrivo previsto proprio nelle terre d’infanzia di Guerra, che tra quei campi di grano pedalava solo pochi anni prima per andare a lavorare come muratore al fianco del padre Attilio. Questa volta, però, è tutto diverso: fa parte di una pittoresca carovana che unisce l’intero Paese, passando di villaggio in villaggio.
La folla festante accoglie il passaggio dei corridori: sono scesi in migliaia ai bordi delle strade per godersi un Giro di nuovo incerto e combattuto. E il merito va ai due campioni duellanti. Binda e Guerra si marcano ed è chiaro fin da subito, vista anche la totale assenza di pendenza, che la tappa sarà decisa in volata. All’ingresso a Mantova, tra i due litiganti, prova ad infilarsi il classico terzo incomodo: Michele Mara. Ed è proprio lui il primo a lanciare lo sprint. Binda è uno scaltro campione che sa perfettamente che non bisogna esitare nemmeno un momento in queste situazione e subito spinge con forza sui pedali. Dietro di lui, però, come una locomotiva risaliva velocemente Guerra, sprigionando tutta la forza dei suoi muscoli temprati da anni di lavoro.
«E corre corre corre la Locomotiva»
Le parole che Guccini dedica ad un anarchico si adattano sorprendentemente anche alla vittoria in volata di Learco Guerra. La Locomotiva Umana – questo il suo soprannome – festeggia in mezzo agli amici ed alla gente della sua città. Poi sale sul palco, dove per la prima volta un corridore si mostra con indosso la Maglia Rosa: tre etti di lana grezza a collo alto e con tre tasche sul davanti, che servono per infilarci tutto il necessario per la gara. Guerra la guarda stranito: è quanto di più agli antipodi si possa immaginare rispetto alla camicie nere vestite dai militanti fascisti. Ancora non sa che quella Maglia diventerà ben presto il simbolo dell’Italia, mentre le camicie, in meno di quindici anni, verrano sbiancate in tintoria.