A cura di Corrado Montagnoli
La storia dell’Etiopia è millenaria e il suo impero multietnico ha particolarità uniche. Quali furono le origini leggendarie dell’Etiopia? Quali etnie e popoli composero l’Impero etiope? Come maturarono i rapporti il mondo islamico? In che contesto si inserirono gli europei nel XIX secolo?
La millenaria storia d’Etiopia
L’Etiopia è una delle nazioni africane più antiche e influenti. Punto di riferimento del Corno d’Africa, l’identità culturale etiope ha resistito a secoli di conquiste, guerre e dominazioni coloniali. La lunga storia dell’Etiopia è unica: nata da un nucleo culturale amhara, popolazione semitico-araba, la nazione etiope assimilò con successo elementi tigrini, yemeniti, eritrei, somali, cush e oromo, “africanizzandosi” lentamente con il passare dei secoli. Popoli profondamente diversi tra di loro si unirono intorno alla così detta Grande Tradizione, una millenaria consuetudine su cui poggiò l’Impero, legittimato dall’influente Chiesa Etiope.
Alle origini della storia dell’Etiopia: il regno Damot
L’Etiopia moderna è il frutto di millenni di interazioni tra popoli, etnie e lingue, che si incontrarono nel Corno d’Africa. La commistione di pastori nomadi, provenienti dall’altopiano etiope, dalle coste del Mar Rosso e dall’Arabia meridionale, portò nel X sec. a.C. alla creazione del regno Damot. Si conosce molto poco di Damot: era un regno agricolo, la cui capitale era probabilmente Yeha, in costante contatto con i vicini regni di Kush (in Sudan) e Sheba (in Yemen). Proprio quest’ultimo, conosciuto anche come il leggendario regno di Saba, presente nella Bibbia, è legato strettamente alla tradizione delle origini etiopi.
I leggendari natali della storia etiope
Possiamo in parte dedurre la storia dell’antica Etiopia dalle cronache del Kebra-Negast, o Cronache della gloria dei Re, un insieme di saghe nazionali compilate tra il 1314 e il 1322. Queste non avevano certo la finalità di essere testi storici autorevoli. Qui la storia era infarcita di miti e leggende, che permettevano alla monarchia etiope di stabilire le proprie radici in un passato sempre più lontano, con continuità ininterrotta. Secondo la tradizione, la fondazione dell’Etiopia, quale regione, è legata a Salomone, biblico re d’Israele morto verso il 950 a.C. Questi, come noto, ebbe una relazione effimera con la regina di Saba, che per un breve periodo viaggiò a Gerusalemme.
Nel Kebra-Negast, la regina è identificata con la sovrana Makeda del Tigray, regione etiope settentrionale. L’alleanza tra i due regni fu suggellata dalla nascita di Menelik I, capostipite della dinastia etiope, nato dalla breve relazione di Makeda e Salomone. Alla distruzione del tempio di Gerusalemme, Menelik salvò e custodì in Etiopia niente meno che l’Arca dell’Alleanza, autorizzando così i sovrani etiopi a fregiarsi del titolo di Leoni di Giuda. Tale titolo, riferito al Giuda figlio di Giacobbe, da cui si generò la tribù di Israele di re David, fu utilizzato, con orgoglio, fino alla metà del XX secolo.
Una leggenda con echi di realtà
Sebbene fantasiosa, la leggenda presenta forti echi della realtà. I domini di Makeda corrispondevano infatti all’area di influenza Damot, compresa tra le coste dell’odierna Eritrea e le propaggini della penisola arabica, sede dell’antico regno di Saba. Come detto, Damot era una prolifica mescolanza di popoli e lingue, appartenenti tutte alla grande famiglia linguistica afro-asiatica, dove troviamo anche la lingua semitica. L’unione tra Makeda e Salomone è quasi certamente rappresentazione di questa confluenza culturale. Le forti relazioni con il regno d’Israele sono testimoniate anche dalle intense migrazioni ebraiche, che interessarono l’Etiopia dopo la distruzione babilonese di Gerusalemme (587 a.C.). Evento che pare dia una spiegazione alla presenza dei Falascià (gli esiliati in aramaico), o Beta Israel (casa di Israele), popolazione etiope di religione ebraica tutt’ora presente sul territorio dell’altopiano. La presa in consegna dell’Arca dell’Alleanza può quindi essere una metafora fantasiosa dell’Etiopia che accolse gli israeliti diasporici.
L’impero di Axsum
Nel I secolo a.C., ciò che rimaneva del regno Damot confluì nel regno di Axsum, uno degli imperi più importanti e longevi della storia africana. Centrato sulla città tigrina di Axsum, l’omonimo regno divenne in poco tempo l’entità politica più importante del Corno d’Africa. Al suo apogeo nel IV d.C. secolo aveva fatto del Mar Rosso un lago interno, estendendo la sua influenza dal Sudan fino all’Hadhramawt in Yemen. Axsum fu anche il principale alleato meridionale di Roma e successivamente di Bisanzio, nello sforzo di contenere l’avanzata dei persiani sasanidi. Nel IV secolo avvenne anche uno degli avvenimenti che più mutò il profilo storico-culturale etiope: l’adozione del cristianesimo.
Il cristianesimo nella storia dell’Etiopia
Fu re Ezanà, tra il 320 e il 335 ad abbracciare per primo la nuova fede, convertito, secondo la tradizione, dai fratelli greci San Frumenzio ed Edesio. A ricordo della conversione vennero erette le gigantesche steli di Axsum. Una di queste venne asportata durante la dominazione italiana e portata a Roma, dove rimase fino al 2005.
La popolazione fu progressivamente evangelizzata tra il V-VI secolo, ad opera di monaci siriani, passati alla tradizione con il nome di “i nove santi”. Il loro stile di vita eremitico e meditativo trasmise ai cristiani etiopi una fede contemplativa e incline al movimento conventuale, come testimoniano i numerosissimi monasteri che tutt’ora punteggiano il territorio etiope.
La cristianizzazione non cancellò del tutto i culti precedenti, né tanto meno la presenza dell’ebraismo. L’osservanza del sabato, quale giorno di riposo, la circoncisione, alcune festività e la costruzione delle tavole d’altare (o tabot) a forma dell’Arca dell’Alleanza, sono tutte influenze ebraiche rimaste nella cultura etiope. Non partecipando al concilio di Calcedonia del 451, la Chiesa etiope aderì all’ortodossia e alla versione monofisita del cristianesimo, che nega la duplice natura umana e divina di Cristo, distanziandosi da Roma.
La religiosità e la devozione divennero criteri di legittimità per le dinastie regnanti e vera identità nazionale. In particolar modo dopo l’ascesa dell’Islam, che trasformò l’Etiopia in un’isola cristiana in un mare musulmano.
La caduta di Axsum e l’ascesa degli Zagwue
Axsum entrò in declinò tra l’VIII e il X secolo. Nel 960, l’impero cadde in pezzi, secondo la tradizione per mano della regina cuscita Gudit, nota anche come Esato, “la devastatrice”. Il Corno d’Africa entrava nella sua fase medievale e la civiltà nata dalla fusione di popoli semiti con quelli dell’altopiano volgeva al termine. Mentre i sultani islamici prendevano possesso delle coste del Mar Rosso, gli etiopi si ritirarono verso sud, distaccandosi progressivamente dalle civiltà mediterranee e dalle proprie radici arabo-semitiche, “africanizzandosi” sempre più.
Dopo un periodo di conflittualità intestina tra staterelli cristiani, l’Etiopia vide l’ascesa al potere della dinastia cuscita Zagwue, tra il XII e il XIII secolo. Gli Zagwue volevano far risalire la propria genealogia fino a Mosè, collegandola poi agli ultimi re di Axsum. La capitale, Lalibela, sorgeva nella regione tra il Tigray e lo Shewa, conosciuta al tempo con il nome di Lasta. Durante il dominio Zagwue rinacquero i caratteri tipici della nazione etiope: una dinastia, il cristianesimo quale unica religione e una solida organizzazione regionale. La così detta “cultura del Lasta” è una sorta di segno distintivo etiope: una struttura e una statualità imperitura che sopravvive anche in gruppi etnici o politici diversi, purché disposti ad accettare la “Grande Tradizione”. A questo periodo risalgono le bellissime cattedrali monolitiche interrate di Lalibela.
La restaurazione salomonide
Nel 1270 venne rovesciato l’ultimo sovrano Zagwue e seguì la “Restaurazione salomonide”: fu cioè ristabilita una dinastia discendente direttamente dagli antichi re di Axsum e da Menelik I, figlio di Salomone e Makeda. Questo continuo rimando al passato semita, in risposta alla crescente presenza cuscita, creerà l’impalcatura della monarchia etiope nei successivi settecento anni. Il consenso della storia e della Grande Tradizione saranno fattore supremo di legittimazione. In questo periodo, quasi tutti i manoscritti pre-salomonici e non ortodossi andarono distrutti, in parte per cause esterne ma per lo più per motivi di censura e inquisizione. Contemporaneamente, iniziò anche la prima redazione del Kebra-Negast, la “grande cronaca dei re”.
Il Medioevo della storia dell’Etiopia
Il medioevo etiopico presenta alcune somiglianze con quello europeo. Era infatti caratterizzato da un rudimentale feudalesimo, imperniato sul potere dell’imperatore (Negus), impegnato costantemente con i suoi vassalli (Ras) a respingere gli attacchi mossi dai sultani islamici. I rapporti tra Stato e Chiesa si fecero più stretti: in cambio dell’appoggio religioso, simbolico e politico, il clero ottenne dall’imperatore privilegi e terre. Altri beneficiari della corte del Negus furono generali, comandanti e notabili, che diedero vita ad una classe aristocratica che amministrava le provincie per conto del trono.
Il sovrano salomonide che completò la stabilizzazione dell’impero Etiope fu Zara Yaqob, che regnò dal 1434 al 1468. Dopo essersi fatto simbolicamente incoronare ad Axsum, Zara Yaqob iniziò un processo di rafforzamento del potere imperiale, invertendo il processo di frammentazione feudale. Il sovrano diede forma scritta alle fonti che regolavano le istituzioni politiche, giuridiche e religiose. Sotto il suo regno, i teologici etiopi parteciparono al Concilio ecumenico di Firenze del 1439-41: pur senza abbandonare in nessun modo l’ortodossia, questo omaggio alla Chiesa di Roma segnò la riconciliazione e il riavvicinamento tra le due confessioni, nonché un tentativo di riallacciare i rapporti con il mondo mediterraneo. Nel frattempo, i venti di guerra contro le forze islamiche soffiavano sempre più forti.
Il rapporto con l’Islam
Sebbene l’Islam sia spesso dipinto come l’antagonista della cristiana Etiopia, la religione di Maometto ebbe sempre una posizione di rilievo nella storia del Paese. Questo non solo per l’alto numero di sudditi musulmani, presenti specialmente nelle provincie periferiche, ma anche perché l’incontro-scontro tra le due confessioni scolpì la formazione politico-culturale dell’Impero.
Le origini stesse dell’Islam ricordano che fu proprio in Etiopia che il Profeta e i suoi seguaci trovarono rifugio durante l’Hejira, la fuga di Maometto dalla città della Mecca. L’ospitalità accordata loro dal sovrano di Axsum risparmiò per secoli l’Etiopia dalle principali offensive arabe, o almeno così si dice. Di fatto, l’avanzata islamica fu traumatica per il Corno d’Africa e in particolar modo per l’Etiopia, che fu separata dalle civiltà e dai commerci mediterranei.
I sultanati islamici occuparono le coste del Mar Rosso e Axsum cadde, soffocata anche dalla mancanza di sbocchi commerciali marittimi. Le città che un tempo erano le porte di ingresso e uscita del grande impero, ora erano pericolose spine nei fianchi dei sovrani etiopi. Proprio intorno a queste città portuali, nelle odierne Eritrea e Somalia, si svilupparono tra il X e l’XI secolo potenti sultanati, quali Ifat, Harar, Mogadischu, Brava e soprattutto Adal, formalmente tributari del Negus ma tutti coalizzati a impedire all’Etiopia cristiana di creare un collegamento strategico con i regni europei, al tempo impegnati con le crociate.
L’ascesa dei sultanati somali
Mentre si compiva la Restaurazione salomonide, nella seconda metà del XIII secolo il sultanato di Adal, centrato sulla città di Zayla, nell’odierno Somaliland, divenne padrone di una vasta regione, che dalle coste si spingeva pericolosamente verso lo Shewa e l’altopiano centrale. Gli attriti e le inimicizie nei confronti del Negus si tradussero in numerosi conflitti d’usura, scoppiati tra il XIV e il XV secolo. Tuttavia, lo scontro risolutivo ebbe luogo solo durante il regno di Lebna Denghel, salito al trono nel 1508. In questi anni, i turchi ottomani si apprestavano a completare la conquista dell’Egitto, mentre i portoghesi entravano in piena competizione con gli arabi, per il controllo del Mar Rosso e delle coste nord-orientali africane. Il trono etiope osservava dal centro del Corno d’Africa, apparentemente al sicuro e arroccato sull’altopiano. L’Etiopia era al massimo della sua espansione.
In realtà, le popolazioni delle provincie periferiche, musulmane e più affini ai vivaci sultanati islamici, erano in grande subbuglio, tormentate dalle turbolenze delle popolazioni nomadi somale nei confronti di quelle sedentarie e urbanizzate. Queste furono le premesse per una grande guerra, di proporzioni tali da lasciare l’Etiopia sconvolta e sull’orlo della distruzione totale.
La Guerra Santa contro il sultanato di Adal
Le ostilità iniziarono nel 1527, quando Ahmed Ibn Ibrahim, passato alla storia come Al Ghazi, il “conquistatore”, leader di Adal, rifiutò di pagare tributo al Negus. Nonostante fossero state le truppe etiopi a prendere l’iniziativa, l’Impero subì una serie di catastrofiche disfatte. Le terre intorno all’Harar furono devastate: conquistato lo Shewa, l’Amhara e il Lasta, le truppe musulmane inseguirono l’esercito etiope in rotta fino a nord. Il Negus ebbe modo di prender fiato solo una volta arroccatosi nella regione settentrionale del Tigray. Nel frattempo, il Ghazi mutava la natura del conflitto: da una guerra difensiva si era giunti ad un conflitto religioso. Aumentarono le conversioni forzate, mentre i monasteri e le chiese ortodosse furono dati alle fiamme. La società dello Stato etiope era in rovina. Fu in questo momento che l’imperatore Lebna Denghel decise di chiedere aiuto ai Portoghesi.
L’intervento portoghese e la fine del Jihad
L’intervento europeo arrivò solo dopo la salita al trono di Galawdewos (talvolta Claudio) successore di Lebna Denghel. Lisbona, rivale di Aden, accettò di buon grado di appoggiare il Negus. Sbarcate a Massawa nel 1541, le truppe portoghesi agli ordini di Cristóvão da Gama aiutarono le truppe etiopi a discendere lentamente verso l’altopiano centrale. Ci vollero altri due anni di guerra prima che la situazione diventasse favorevole per il Negus. Nel 1543, il Ghazi rimase ucciso in battaglia: da questo momento iniziò una lenta riconquista dei territori imperiali, culminata con la battaglia di Fatagar nel 1559, dove però trovò la morte l’imperatore Galawdewos. Dopo trent’anni di guerra l’Etiopia era di nuovo in pace ma ad un prezzo altissimo.
Uno spartiacque nella storia dell’Etiopia: l’arrivo degli Oromo
Il conflitto con Aden apportò grandi cambiamenti in Etiopia. La novità più importante fu l’arrivo degli Oromo, popolazione cuscitica proveniente dal Kenya. Negli anni immediatamente successivi alla guerra, i pastori-guerrieri Oromo iniziarono spostamenti di massa verso l’altopiano etiope e il sud del paese, al confine con l’attuale Somalia. Sebbene spesso queste migrazioni siano conosciute come “invasioni oromo”, in realtà non fu un vero e proprio atto ostile: vista l’impossibilità a difendersi militarmente, gli etiopi decisero di integrare i pastori oromo, che si inserirono negli spazi vuoti lasciati durante il conflitto.
L’arrivo oromo mise anche al sicuro l’Impero da ulteriori ostilità musulmane, frapponendosi tra l’altopiano centrale e le coste somale. La società etiope si “africanizzò” ancora di più: già nel XVIII secolo, numerosi oromo rivestivano posizioni da dignitari e uomini di stato, fino a mescolarsi con la dinastia imperiale. Tutt’ora gli oromo rappresentano il gruppo etnico preponderante, corrispondente al 32% della popolazione etiope.
La breve parentesi cattolica
L’altra grande novità fu l’apertura della corte al cattolicesimo. Approfittando dell’aiuto militare portoghese, su ordine diretto di Sant’Ignazio i gesuiti si stabilirono nel Paese, iniziando l’opera di conversione e riuscendo a farsi strada anche alla corte del Negus. Nel 1621, l’imperatore Susenyos arrivò addirittura ad emanare un atto che formalmente riunificava la Chiesa etiope con quella romana. La decisione fu indigesta al clero e a molti potenti dello Stato: il cattolicesimo appariva ai più come un cedimento agli europei, un pericoloso cavallo di Troia che avrebbe creato le condizioni per una dominazione straniera. Fu così che Fasilidas, successore di Susenyos, non solo revocò l’atto ma ordinò anche l’espulsione dei gesuiti dall’Etiopia. La breve e lacerante parentesi cattolica volse al termine, lasciando l’Impero ancora più refrattario e immune alle influenze straniere.
La fondazione di Gonder e l’inizio della decadenza dei Giudici
Altra novità del regno di Fasilidas fu la costruzione di una città capitale. Ora che la guerra era finalmente conclusa, non era più necessaria una corte regale “mobile”, al seguito di un sovrano in fuga dal nemico. La nuova capitale sorse nel 1635, nei pressi del lago Tana e chiamata Gonder. La città divenne presto prospera, godendo dei flussi commerciali provenienti dal Sudan e dal Mar Rosso. La capitale, abbellita di palazzi e chiese, non aveva la funzione di residenza principale del Negus, ma di centro amministrativo imperiale.
Purtroppo, questa soluzione non era la più adatta a garantire il pieno controllo delle turbolente provincie etiopi: Gonder divenne il centro di complotti e intrighi di corte. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo iniziò così il periodo noto come “Tempo dei Giudici”, in riferimento al passo biblico del Libro dei Giudici che recita: “In quei giorni non c’era re in Israele, ma ciascuno faceva quel che gli pareva giusto”.
Il Tempo dei Giudici
Il Tempo dei Giudici (o talvolta dei Principi) era caratterizzato dalla decadenza delle istituzioni. Mentre i Negus si isolavano progressivamente in una vita di corte sofisticata, dilettandosi con l’arte e circondandosi di lusso, i Ras disponevano di una sempre maggiore autonomia. L’imperatore raccoglieva i tributi e le regalie, ma i veri sovrani erano i nobili locali, a cui i Negus non avevano né le forze né la volontà di opporsi.
Il Tempo dei Giudici iniziò simbolicamente nel 1769, anno in cui si installò il successore di Iyasu I, considerato l’ultimo imperatore non inetto. Le prerogative statali diminuirono fino ad estinguersi: l’imperatore si ridusse ad una figura di facciata. Tra le varie regioni praticamente autonome, i due potenti regni del Tigray e dello Shewa si misuravano per l’egemonia. Mentre i nobili combattevano tra di loro e i sacerdoti erano impegnati in diatribe teologiche, i contadini erano praticamente l’unica classe sociale produttiva.
La riscossa etiope: l’ascesa di Tewodros II
L’iniziativa della riscossa fu di un militare, Kassa Haylu, dignitario che riuscì ad organizzare un proprio piccolo esercito personale. Kassa attaccò vittoriosamente prima i Ras periferici e infine le forze dell’imperatore e del potente Shewa. Il 5 maggio 1855, Kassa si fece incoronare imperatore con il nome di Tewodros II (o spesso Teodoro II). Formalmente fu un’opera di usurpazione, ma nel contempo fu anche un processo di restituzione del potere al Negus, che per troppo tempo era stato soggetto ai Ras. Il nome scelto da Kassa non fu casuale e gli permise di regnare nella legalità: una leggenda voleva infatti che Tewodros I, imperatore deposto nel 1414, sarebbe ritornato un giorno sul trono, restituendo potenza e autorità all’Etiopia. Finì così il Tempo dei Giudici.
Il regno di Tewodros e la minaccia europea
Stabilizzata l’autorità imperiale, Tewodros inaugurò una serie di riforme atte a modernizzare il Paese. La debolezza del Negus fu quella di riporre fiducia nelle potenze europee. Desideroso di collaborare con queste per velocizzare la modernizzazione del Paese e preoccupato dalle minacciose mire espansionistiche del vicino Egitto, Tewodros chiese aiuto alla Francia di Napoleone III e alla Regina Vittoria d’Inghilterra, senza rendersi conto che alle spalle del Cairo si muoveva proprio l’ombra di Londra. Con l’imminente apertura del Canale di Suez, la Gran Bretagna cercava solo un casus belli per imporre la propria presenza nel Corno d’Africa, divenuto centro della geopolitica del tempo.
Quando il Negus, a seguito di un incidente diplomatico, prese prigioniero un emissario inglese, Londra inviò i suoi soldati. Compreso che il territorio etiope sarebbe stato troppo impervio per le truppe inglesi, la Gran Bretagna trattò segretamente con i Ras ostili all’Imperatore. Tewodros, venne sconfitto in battaglia il 12 aprile 1868, tradito da alcuni dei suoi stessi Ras. Compreso che tutto era ormai perduto, il Negus si suicidò il giorno seguente, sparandosi con una pistola che pare gli fosse stata regalata dalla Regina Vittoria in persona. L’imperatore suicida divenne il primo eroe del nazionalismo etiopico moderno.
Lotte intestine e l’ascesa di Menelik II
Alla morte di Tewodros, dopo alcuni anni lotte intestine, assurse al potere un altro Kassa, Mercha, che prese il nome di Yohannes IV. Egli continuò le opere iniziate da Tewodros, opponendosi al contempo alle forze egiziane e inglesi. Fu impegnato anche ad ostacolare la presenza di una nuova potenza europea interessata all’area: l’Italia, che si alleò con gli oppositori del Negus per creare instabilità nell’Impero. La minaccia principale era il re dello Shewa, il futuro Menelik II, che appoggiato dagli europei tentò durante tutto il regno di Yohannes di detronizzarlo.
Nel 1889, alla morte del Negus, grazie ad alcuni intrighi di corte, che tolsero il legittimo erede dai giochi, salì al trono proprio il re shewano Menelik II. Nonostante la chiara intenzione di riagganciarsi alla tradizione salomonide, il nuovo imperatore ruppe la consuetudine di Axsum e si fece incoronare nelle vicinanze della nuova capitale in costruzione: Addis Abeba. Negli anni di Menelik, l’Etiopia, ultimo paese africano libero dall’imperialismo, raggiunse la massima coesione interna e i confini attuali. Furono anche gli anni della maggior pressione europea sul Paese.
L’arrivo italiano: il Trattato di Uccialli
A questo punto il “vicino di casa scomodo” dell’Etiopia era la Gran Bretagna, che circondava l’impero dal Sudan e dal Kenya. L’accesso al Mar Rosso era precluso dalla presenza inglese nell’odierno Somaliland, dalla modesta colonia francese del Djibuti e dalla testa di ponte italiana in Eritrea. Nelle prospettive italiane, tuttavia, l’Eritrea era solo il trampolino di lancio per balzare sull’Etiopia.
Il Bel Paese aveva infatti scelto di spalleggiare Menelik II, al tempo solo re dello Shewa, sin dal 1883. Quando questi divenne finalmente Negus nel 1889, l’Italia riuscì a strappare in cambio una dichiarazione scritta di amicizia, firmata frettolosamente in località Uccialli. Da questo Trattato, che recitava contenuti diversi nelle versioni in lingua italiana e amhara, ebbero origine i primi screzi tra i due Paesi. Nelle intenzioni italiane, questo accordo di amicizia aveva il valore di un pieno accordo di protettorato. Nella versione amhara, tale impostazione era inesistente: il Negus aveva semplicemente la blanda possibilità “di avvalersi dell’assistenza italiana in campo internazionale, senza obblighi di esclusività”.
Il conflitto: la battaglia di Adua
L’ostilità e il sospetto crebbero. Menelik denunciò internazionalmente il Trattato di Uccialli nel 1893, mentre le truppe italiane commettevano continui sconfinamenti in territorio etiope. Le forze di Addis Abeba, comandate dal “Garibaldi Abissino” Ras Alula e talvolta dallo stesso Menelik, reagirono ingaggiando e sconfiggendo i soldati italiani ad Amba Alagi, Dògali e Makallè. La disfatta italiana per eccellenza, destinata a lasciare una profonda cicatrice nella coscienza nazionale italiana, avvenne il 1 marzo 1896 ad Adua. Le truppe italiane, al comando di Oreste Baratieri, furono totalmente investite da Ras Alula. Così terminò l’avventura coloniale dell’Italia crispina. In Italia, la sconfitta di Adua, imputata esclusivamente agli errori di Baratieri, divenne insopportabile per il pregiudizio razzista, incapace di accettare la superiorità di un esercito africano. Nei fatti, l’esercito italiano sottovalutò la grande mobilitazione dell’Etiopia, una vera e propria nazione in armi, prodotto di secoli di tensione politica interna ed esterna.
La quiete prima della tempesta
L’esercito etiope vittorioso, non approfittò dello sbandamento italiano per recuperare i territori eritrei: la Gran Bretagna osservava dal Sudan e non avrebbe mai permesso uno straripamento etiope. Così, il 26 ottobre 1896 Etiopia e Italia si accordarono, stabilendo i rispettivi confini lungo il fiume Mareb. I rapporti con l’Italia si normalizzarono, sebbene con reciproci sospetti mai sopiti. Nel 1923 l’Etiopia entrò nella Società delle Nazioni, quale unico membro africano, curiosamente su proposta italiana. Nel 1928 fu anche firmato un trattato ventennale di amicizia, che prevedeva l’assistenza italiana alla modernizzazione del paese e una zona franca etiope nel porto eritreo di Assab. Tuttavia, Roma era ancora intenzionata a vendicare Adua: non passò molto tempo prima che l’amicizia divenne guerra.
Hailé Selassié e l’inizio della guerra con l’Italia
Nel 1930 fu incoronato Negus Hailé Selassié, l’ultimo Imperatore della storia dell’Etiopia. Una serie di incidenti di frontiera, nella zona semi desertica al confine con la Somalia, crearono il pretesto per accrescere la pressione su Addis Abeba. L’assalto al consolato italiano a Gondar e l’incidente all’oasi di Ual-Ual (1934) diedero modo alla retorica imperiale italiana di creare un definitivo casus belli. Nonostante il legittimo appello di Hailé Selassié alla Società delle Nazioni, l’Etiopia rimase isolata: il Consiglio della Società ritardò la delibera fino al momento in cui l’esercito italiano era ormai già penetrato nel territorio etiope. Il 3 ottobre 1935, le truppe del Regio Esercito, al seguito del generale De Bono, varcarono il fiume Mareb. Contemporaneamente, un contingente comandato da Graziani attaccava l’Etiopia dalla Somalia.
La (breve) fase coloniale della storia dell’Etiopia
Sebbene la Società delle Nazioni denunciò l’aggressione italiana il 7 ottobre 1935, l’Etiopia non ricevette nessun aiuto internazionale. Fra gennaio e marzo 1936, le forze del Negus furono sparpagliate e sconfitte. I reparti italiani occuparono Addis Abeba il 5 maggio 1936, mentre il 9 maggio, da Palazzo Venezia a Roma, Mussolini proclamò la fondazione dell’impero d’Etiopia. Il re Vittorio Emanuele III assunse il titolo di imperatore, dando la legittimazione sabauda all’aggressione.
La liberazione etiope e la fine dell’Impero
La liberazione dell’Etiopia avvenne nel 1941, da parte delle forze inglesi. Hailé Selassié, ormai divenuto una vera e propria icona anti coloniale, nonché messia della religione rastafariana, una volta richiamato dall’esilio ridivenne imperatore. Conducendo il Paese fuori dal periodo coloniale, attuò una serie di riforme finalizzate a modernizzare l’Etiopia. Purtroppo l’Impero non riuscì a rimanere al passo con i tempi.
Nel settembre 1974, un colpo di stato delle forze del Derg, giunta militare socialista, detronizzò il Negus. Hailé Selassié morì il 12 marzo 1975 in circostanze misteriose. Con l’ultimo Negus, si concluse la millenaria storia dell’Impero Etiope e si aprì quella dell’Etiopia moderna.
Per approfondire
–Giampaolo Calchi Novati, Il Corno d’Africa nella storia e nella politica. Etiopia, Somalia e Eritrea fra nazionalismi, sottosviluppo e guerra, SEI, 1994
–Christopher Ehret, The civilizations of Africa – A History to 1800, University of Virginia Press, 2016
–Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002
Le fotografie tratte dall’Archivio Fotografico della Società Geografica Italiana, insieme a tante altre, sono consultabili qui