Il 1 luglio 1798 Napoleone Bonaparte, a capo dell’Armata d’Oriente, conquista Alessandria d’Egitto. Fiorita nei secoli di dominio tolemaico, la città sopravvisse come centro di scienza e polo culturale ancora in età cristiana. Il suo declino si lega alla conquista araba nel VII sec d.C., mentre durante il periodo mamelucco e ottomano la città perse l’antico ruolo restando in uso come porto commerciale.
La conquista da parte di Napoleone esprime appieno il sentimento imperialista dei Francesi che contendono il primato in Europa e sul Mediterraneo con gli Inglesi. Ma non si tratta solamente di un conflitto armato o di interessi politico-economici: la Campagna d’Egitto fu, infatti, retroscena di importanti scoperte scientifiche e archeologiche. Una lotta per la conoscenza e per il dominio sopra resti di storia sepolti dalla sabbia fine del deserto.
Per questo la campagna militare fu anche e soprattutto una campagna culturale, riservando tempo e risorse alla ricerca sul campo e alla raccolta di dati storici e naturalistici. 160 studiosi, scelti tra i migliori studenti delle scuole dell’epoca, accompagnarono l’armata francese, ricordati dalla storia come i savants.
Dal campo di battaglia al campo di ricerca
Al gruppo dei savants, guidati da Joseph Fourier, si deve una delle più celebri scoperte della storia. Il 15 luglio 1799 rappresenta infatti una data importante per gli studi di orientalistica. La spedizione condotta dal capitano francese Pierre François-Bouchar sul delta del Nilo portò alla luce, in un forte nella città portuale di Rashid (non lontana da Alessandria), un frammento di pietra in basalto rinominata Stele di Rosetta. Si trattava di un documento ufficiale, emanato da Tolomeo V Epifane nel 196 a.C. per il primo anniversario della sua incoronazione. Il testo unico venne redatto sulla stessa stele in tre scritture differenti: greco, demotico e geroglifico, così che fu finalmente possibile confrontare i segni geroglifici, ancora ignoti, con qualcosa di ampiamente conosciuto al momento del rinvenimento: il greco.
Tra Francia e Inghilterra fu subito guerra per il primato sulla scoperta. La contesa si concluse con la vittoria degli Inglesi del 1802, i quali non solo affermarono il predominio sull’Egitto, ma ottennero il possesso della Stele di Rosetta, trasferendola in Inghilterra come “meritato” bottino (oggi al British Museum di Londra).
La rivoluzione della Stele di Rosetta
Il valore storico del ritrovamento è indiscusso e consolidato, passato alla memoria come il monumento che consentì la decifrazione del geroglifico, ancora sconosciuto a fine Settecento. Tentativi di traduzione si erano succeduti nel tempo, come quello condotto da Athanasius Kircker, gesuita tedesco nato a inizio Seicento, che tuttavia interpretò la scrittura egiziana come un insieme di ideogrammi, senza giungere a una corretta traduzione.
La scoperta fece subito il giro delle migliori Università, con copie del testo in geroglifico che vennero immediatamente analizzate da studiosi di filologia orientale nel tentativo di risolvere finalmente il mistero della lingua egizia.
Il ritrovamento di questo documento inciso nella pietra cambiò completamente gli studi fino ad allora condotti sulla lingua e sulla scrittura egiziana. Grazie al confronto con il greco fu possibile riconoscere, per esempio, il valore di fonogrammi di alcuni segni geroglifici permettendo così una nuova lettura e una nuova comprensione della scrittura egizia.
Champollion e la nascita dell’Egittologia
Jean-François Champollion nacque nel 1790 e la sua fama si lega alla campagna di Napoleone per il fatto di aver risolto (20 anni dopo la scoperta!) il mistero dei geroglifici sulla Stele di Rosetta. Prima di lui già lo svedese Åkerblad e l’inglese Thomas Young avevano raggiunto un grado avanzato di decifrazione della lingua: il primo riconoscendo la presenza nella Stele di Rosetta del demotico di cui aveva parlato Erodoto; il secondo individuando una corrispondenza tra demotico e geroglifico. Inoltre si deve a Young la scoperta che i cartigli (o “anelli regali”) contenevano nomi di re e regine. Ma fu solo con Champollion che si giunse a una traduzione quasi completa e alla pubblicazione di una grammatica geroglifica a colori.
Egli studiò su un calco della Stele di Rosetta oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Confrontando il documento tolemaico con il testo dell’obelisco di Bankes, gli fu possibile l’intuizione che portò alla nascita dell’Egittologia. Era il 1822! Egli dimostrò che i geroglifici potevano essere alfabetici. Tra le sue prime traduzioni ci furono i nomi dei sovrani: Tolomeo, Cleopatra, Ramses e Tuthmosis.
Tra il 1828 e il 1829 Champollion e l’italiano Ippolito Rosellini avviarono una serie di ricerche sul campo in una missione cofinanziata da Rosellini e Leopoldo II granduca di Toscana durante la quale vennero recuperati altri testi e oggetti di fattura egizia. Da allora, grazie a numerose “campagne d’Egitto”, l’Egittologia divenne una vera e propria scienza, ripulendo dalla sabbia una delle culture antiche più misteriose e affascinanti.
Breve specchietto sulla lingua egiziana
Le prime attestazioni di scrittura geroglifica risalgono al 3250 a.C. su placchette d’Avorio da Abido. Da allora l’egiziano subì variazioni non solo linguistiche, ma anche grammaticali.
La scrittura egiziana presenta quattro forme:
- Geroglifico
- Ieratico
- Demotico
- Copto
A queste forme corrispondono fasi linguistiche succedutesi nei secoli, fino all’età cristiana:
- Antico Egiziano
- Medio Egiziano o “Lingua tradizionale”
- Neo Egiziano
- Demotico
- Copto
I segni geroglifici (= “segni sacri incisi”) della fase antica erano circa 700, ma in età tolemaica arrivarono ad alcune migliaia. Si dividono in tre categorie: fonogrammi, ideogrammi e determinativi. Al primo gruppo appartengono quei segni cui corrispondono uno o più suoni (monolitteri, bilitteri, trilitteri) e formano il c.d. “alfabeto” egiziano; al secondo corrispondono segni che rappresentano un oggetto o una parola; al terzo gruppo corrispondono segni che non vengono letti, ma aiutano il lettore a capire a cosa si riferisce il testo (per esempio specificano il genere, il neutro oppure il nome di una divinità).
Con il tempo i geroglifici persero il loro carattere pittografico assumendo prima un aspetto calligrafico corsivo, come nello ieratico, giungendo a una forma di scrittura molto diversa da quella originaria, infine assimilando alcune lettere dell’alfabeto greco nella fase copta.
Questo pezzo fa parte del dossier “N, uno spirito del suo tempo”, scaricabile gratuitamente QUI.