Cosa c’entrano protoni e melanomi? Ce lo ha spiegato Elia Vallicelli in uno degli ultimi appuntamenti dei The Pitch Talks, in cui abbiamo parlato a tutto tondo del progetto paMELA – Photoacoustic Melanoma Detector. Se vi siete persi la puntata, la potete trovare in formato ridotto su YouTube, o in formato integrale su Twitch.
A cura di Francesco Chirico
Tutto nasce dai laboratori dell’Università Milano Bicocca, dove Elia ha lavorato per i tre anni di dottorato al progetto Proton Sound Detector. Siamo nell’ambito della fisica delle particelle, quindi grandi acceleratori di particelle e argomenti che nella mente delle persone comuni sono confinati nel grande contenitore della ricerca scientifica di cui non si conoscono bene le applicazioni. Al contrario, le applicazioni già ci sono, per esempio nell’adroterapia, in cui si curano i tumori con l’aiuto di protoni.
Studiando la fotoacustica, nasce l’idea di applicare questa tecnica in nuovi ambiti, come appunto la prevenzione di melanomi. Il concetto non è nuovo alla ricerca scientifica, si tratta di illuminare un oggetto e ascoltarne in suono che torna indietro.
Perché dovremmo ascoltare un melanoma? Attualmente agli esami dermatologici, lo specialista esegue un’analisi visiva dei nei, e in base alle caratteristiche capisce se un neo può essere un sospetto melanoma. La prima decisione è presa solo sulla basa della superficie, ma informazioni aggiuntive possono essere rilevate in profondità.
paMELA sarà in grado invece, senza nessun intervento invasivo, di mappare il melanoma in 2D e in 3D, e dare informazioni anche sulla vascolarizzazione, molto importante per discriminare tra innocuo neo e aggressivo melanoma.
Come funziona paMELA
La base di tutto è un laser, che con impulsi di un milionesimo di secondo riscalda in maniera impercettibile il sospetto melanoma, e ascolta il segnale che torna indietro. È un concetto che si utilizza già nelle ecografie per esempio, e che non si è inventato l’uomo, ma lo ha solo copiato dalla natura. I pipistrelli per esempio, usano un sistema analogo per capire se di fronte a loro hanno un ostacolo o possono volare senza pericolo.
Il suono che il melanoma emette non è udibile dall’uomo, perché rientra nelle frequenze degli ultrasuoni. Modificandolo si riesce a udire, ma non è fondamentale, perché sarà paMELA a decodificare il suono. Questo piccolo strumento, delle dimensioni di una penna, ha al suo interno il laser, il microfono, e l’elettronica sufficiente a comunicare con il cervello di paMELA e mandare ad uno schermo un’immagine in due dimensioni e una in 3D. Oltre al sensore, avremo quindi un cervello elettronico grande circa come una scatola da scarpe. Sensore e cervello sono completamente autonomi per illuminare, ricevere il suono, decodificarlo e mandare le informazioni allo specialista.
In questo modo il team di paMELA punta a fornire ai dermatologi informazioni aggiuntive, con cui decidere se procedere chirurgicamente per asportare il melanoma, oppure non intervenire, essendo sicuri che l’oggetto in esame non è un melanoma.
Dai laboratori al crowdfunding
Sviluppare paMELA richiede diverse esperienze tecniche, sia hardware che software, e produrlo richiede di comunicare al meglio la qualità del prodotto. Il team comprende quindi quattro tecnici, che tra fisica, elettronica e informatica, hanno avuto Elia Vallicelli come relatore della tesi, e ora fanno parte del team di sviluppo. Per la comunicazione invece si sono rivolti a chi l’ha scelta per professione, Benedetta De Micheli, anche lei giovane e appena laureata in Comunicazione, Media e Pubblicità. Grazie alle competenze diversificate del team, paMELA può essere sviluppata e prodotta dall’inizio alla fine.
Per ora il team lavora completamente gratis: chi studia, sviluppa paMELA tra un esame e l’altro, chi lavora è pagato per il proprio lavoro e sviluppa paMELA nel tempo libero. La speranza è che questa fase sia solo uno studio di fattibilità, da cui in futuro il lavoro potrà venire riconosciuto come tale.
Il lato positivo è che grazie all’elevata ottimizzazione delle tecnologie, paMELA ha un basso costo: le tecnologie presenti sul mercato costano circa 100 mila euro, paMELA invece è sviluppata con un piccolo crowdfunding, di cui l’obiettivo minimo è fissato a 8 mila euro.
Il crowdfunding è fondamentale, perché permetterà al team di acquistare la strumentazione per il primo prototipo e provarlo realmente sui melanomi. Non sarebbe stato facile altrimenti per un team di giovani ricercatori, accedere a fondi per la ricerca, studiati per progetti molto più grandi e complessi.
Grazie al progetto BiUniCrowd, paMELA è sostenuto dall’Università Bicocca, e questo ha permesso al team di tessere una rete di conoscenze con cui confrontarsi, soprattutto medici interessati al progetto. Questi saranno gli utilizzatori finali, ed è molto importante conoscere le loro opinioni, in modo da sviluppare le migliori funzionalità.
Il futuro di paMELA
Il crowdfunding è stato un successo per paMELA, che in una sola settimana ha raggiunto l’obiettivo minimo di 8 mila euro. Grazie a questa piccola cifra si potrà uscire dalla simulazioni e costruire il primo prototipo. Visto il grande successo però, Elia e il suo team si sono fissati altri due obiettivi per il crowdfunding.
Con il primo obiettivo il team vorrebbe dotare paMELA di un cervello più potente. Tutti i segnali che il microfono riceve vanno puliti ed elaborati, e algoritmi ancora più potenti miglioreranno la qualità delle immagini visualizzate a schermo.
Il secondo obiettivo è stato fissato invece per un secondo occhio, un secondo laser che lavora con diverse lunghezze d’onda, ed è in grado di rilevare informazioni sulla vascolarizzazione dei tessuti, fondamentale per la diagnosi dei melanomi.
Il crowdfunding è ancora attivo, si può sostenere il progetto e dargli la possibilità di raggiungere i due obiettivi