Per comprendere più in profondità le conseguenze della legge francese “per rafforzare il rispetto dei principi della Repubblica”, bisogna ascoltare l’esperienza delle donne musulmane che la stanno affrontando. Nousseybah Um Salahudin è nata e ha vissuto in Francia per molti anni. Poi ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito per sfuggire dall’islamofobia diffusa. Ora è una sostenitrice dei diritti delle donne musulmane sia nella società che all’interno della sua comunità religiosa.

Nousseybah Um Salahudin, aka @sister__soul

Ciao Nousseybah, grazie per la disponibilità. Immagino che il “hijab ban”, com’è stato chiamato soprattutto online, sia stato davvero sconvolgente per te.

Sì, ma io preferisco chiamarlo “Muslim ban” più che “hijab ban”, perché se ci pensi è associato all’identità musulmana nel suo complesso. Più che un pezzo di stoffa, attacca un’intera identità.

Hai ragione, anche perché questo ban è contenuto in una legge più complessa, quella “per rafforzare il rispetto dei principi della Repubblica”. Qual è la sua origine?

In sostanza questa legge si fonda sul separatismo. In origine è andata di pari passo con dei provvedimenti per difendere le ragazze dagli abusi sessuali. Per quanto sembri inconcepibile, l’età del consenso in Francia, nel 2021, era 12 anni. Quindi una ragazza così giovane poteva avere rapporti sessuali con un adulto senza che ciò venisse considerato abuso. Con la nuova legge, si stabilisce che anche questa è una violenza. Ne eravamo molto felici: finalmente le ragazze potevano essere protette dagli abusi. L’età del consenso divenne 15 anni e, poco dopo, si è iniziato a parlare di altre forme di abuso, considerando tale anche il hijab. Quindi a una ragazza di 15 o 17 anni viene ordinato come vestirsi o svestirsi, ma è libera di avere rapporti sessuali con chi vuole. Può decidere a chi dare il suo corpo, ma non come coprirlo o scoprirlo. Non dovrebbero essere affari di nessuno fuorché suoi. Il senso di privacy è molto personale e obbligare una persona a scoprirsi è una violenza. Dovresti vedere le ragazze piangere sui social, si sentono abusate.

Manifestanti davanti a una scuola francese. Via Getty images

La legge non impedisce solo alle ragazze minori di 18 anni di indossare il hijab, giusto?

Esatto, chi lo indossa è escluso anche dalle competizioni sportive, dalle scuole e in sostanza da tutte le aree che rendono una donna attiva nella società. Quindi anche se le persone pensano che l’Islam sia oppressivo nei confronti delle donne, io credo che queste regole siano autoritarie e non mi permettano di essere libera. Vorrei che le persone capissero questo. Pensateci: anche se sembra che si stiano difendendo i nostri diritti, lo Stato sta obbligando le ragazze e le donne a spogliarsi. Si ha l’impressione che la società stia difendendo la nostra libertà, ma dovrebbe essere ciascuna di noi a definirla e a scegliere ciò che vogliamo indossare.

Chiamano questa situazione “separatismo”, definizione che mi fa un po’ ridere (come accade anche ad altre persone). Dovrebbe significare il distacco dello Stato da qualsiasi questione religiosa, ma è esattamente l’opposto di ciò che sta accadendo. La Francia sta cercando di definire cosa va bene indossare e, così facendo, mette in atto di tutto fuorché il separatismo.

Come stanno reagendo le persone francesi?

Sono sicura che molte persone francesi guardano le notizie e credono che questa legge sia positiva per i diritti delle donne. In realtà è l’opposto. Così come nessuno può obbligarmi a coprirmi (ed è un diritto), nessuno dovrebbe costringermi a scoprirmi (e anche questo è un diritto). Quindi se le persone sono d’accordo con questa legge, stanno acconsentendo all’oppressione dei diritti delle donne. La maggior parte di loro, però, non se ne rende conto.

E cosa sta cercando di dirci la società con questa legge? Se sei scoperta, vai bene e sei accettata. Ma se invece hai un senso di modestia che non sembra troppo francese? Noi siamo francesi, non dobbiamo dimostrarlo. Con il mio hijab, niqab e la mia fede o senza di loro io sono comunque francese. E questo è il diritto alla libertà religiosa concesso a ogni cittadino del mio Paese. Quindi perché solo noi veniamo stigmatizzate? “Liberté, Égalité, Fraternité” ci sembrano un grosso scherzo. Ci stanno escludendo dalla società ed è esattamente ciò che hanno fatto in precedenza con la comunità ebraica. Se non ci si vergogna della propria storia e se non si impara la lezione, gli errori capiteranno di nuovo.

Lo Stato francese sostiene che dietro ogni velo c’è un uomo. Eppure guardami, questa è una mia scelta ed è anche il caso più diffuso tra le donne musulmane. Quindi cosa volete fare? Prendere come esempio un numero ristretto di donne e usarlo contro tutte? In ogni caso anche nella nostra fede, nessuno ci può costringere a coprirci. So che ci sono delle donne forzate a indossare il hijab e difendo i loro diritti, ma io voglio la possibilità di coprirmi.

Proteste in Francia. Credits: Michel Stoupak/NurPhoto via Getty Image

Da dove viene questa volontà di spogliare le donne?

È un’ossessione che proviene dalla nostra storia. La mia famiglia è originaria dell’Algeria, nel Nord Africa, e la prima cosa che fece l’esercito francese quando arrivò, per domare la ribellione, fu togliere il velo e i vestiti alle donne. Era un modo per controllarle, umiliarle e dominare sia loro che gli uomini. Ora, nel 2021, si stanno usando le stesse strategie, che sono aggressive, oppressive, islamofobiche e razziste.

In un momento storico in cui stiamo tutti combattendo con il Black Lives Matter e gioendo per i suoi successi, c’è però un senso di frustrazione. Si celebra un movimento che sta cambiando la storia, mentre in Francia ci stiamo preparando da soli a contrastare questo abuso. Com’è possibile? Le persone musulmane non sono le uniche colpite quando si parla di razzismo in Francia. Prima c’erano gli ebrei – la discriminazione era sistemica – e ora è il turno dei musulmani.

Ci sono persone, anche musulmane, inconsapevoli di ciò perché cresciute in una società che ci ha insegnato questi principi fin dall’infanzia. Quando ero più giovane ero un po’ spaventata dalle differenze religiose, perché sono cresciuta nel separatismo. Poi mi sono trasferita nel Regno Unito per via dell’islamofobia e ho visto le diversità come una ricchezza. Non voglio che i miei figli vivano in un Paese che espone a comportamenti razzisti fin dall’infanzia. Quando ero in Francia la discriminazione era normale e mi sono spesso chiesta perché mia madre ci avesse portati lì, ma la risposta è semplice: noi in quanto algerini ci sentivamo parte della Francia.

Che cosa pensi del fatto che i giornali parlino poco della nuova legge?

È stata decisa due giorni dopo le restrizioni per il Covid, quindi le persone non hanno potuto protestare. Erano già frustrate perché hanno perso il lavoro, i propri cari, e questo ban ha peggiorato la situazione. È una legge davvero sconvolgente in un momento studiato con precisione: non l’abbiamo vista arrivare. Eravamo felici per i provvedimenti contro gli abusi, ma poi sono stati trasformati a nostro svantaggio. Riesci a immaginare l’umiliazione? Il nonsense è che in Francia ogni legge non potrebbe stigmatizzare un’etnia, un genere, una fede religiosa, etc.

Dobbiamo lottare per i nostri diritti, per essere attive nella società, nel lavoro, nello studio, nello sport. Però lo Stato, fingendo di combattere per noi, ci sta dicendo: “Non vi vedo e non vi accetto”. Quanto è ipocrita tutto ciò? Mi rende davvero sconvolta. Qualche settimana fa ho fatto un video per TikTok e Instagram dove mostro che se indosso una mascherina sono una brava cittadina – in Francia sono obbligatorie anche all’aperto -, ma se indosso il niqab sono una nemica della società. Quando ho postato questo video, non mi aspettavo tanto affetto e supporto, soprattutto dalla comunità americana. Molte donne statunitensi (ebree, cristiane, nere, musulmane, etc.) mi hanno sostenuta perché hanno visto nel desiderio di indossare il hijab un diritto.

Molte persone non capiscono che leggi come questa sono islamofobiche e fanno parte di una tendenza più generale presente nella società. È pericoloso.

L’islamofobia parte da dentro le istituzioni e questo crea una mancanza di fiducia tra cittadini e Stato, genera delle tensioni. Inoltre in Francia, stanno cercando di impedire alle persone di filmare gli abusi della polizia. È questo lo Stato tollerante che vogliamo? Qualche mese fa il governo francese ha rimosso tutte le organizzazioni che difendono i diritti dei musulmani. Le ha sciolte prima di proporre questa legge, quindi ha lasciato le persone musulmane indifese. Il senso di modestia è diverso da persona a persona, ma rifiutarlo è una violenza. In anni in cui parliamo di inclusione con la comunità LGBT e il Black Lives Matter, stiamo facendo dei passi in avanti, ma la Francia sta provando a dimenticarci in questo lungo viaggio verso la libertà. È più oppressiva delle persone che finge di combattere.

Proteste in Belgio. Credits: Jonathan Raa/NurPhoto/Getty Images

Questa legge colpirà anche le donne musulmane al di fuori della Francia, non trovi?

L’islamofobia e questi provvedimenti sono diffuse in tutto il mondo: Svizzera, Belgio, Québec, etc. Noi vediamo quest’onda e pensiamo: “Che cosa posso fare?”. Non so la risposta, ma posso dire che c’è un forte senso di comunità tra le persone musulmane. Sentiamo a vicenda il nostro dolore e la nostra oppressione. Tutte le persone dovrebbero percepirlo.

Eppure dove sono le femministe? Ci stanno abbandonando perché non vogliono vederci e considerare le nostre istanze. In realtà non c’è niente di più femminista del hijab, perché con esso siamo libere. Non abbiamo bisogno che qualcuno valuti la nostra bellezza o il nostro corpo. Siamo libere dall’opinione altrui.

Come essere di supporto per le persone musulmane?

Facciamoci ispirare dal Black Lives Matter. Sta cambiando il corso della storia perché tutti hanno parlato a gran voce di razzismo. Dovete comprendere il vostro privilegio e riconoscere che se vedete una donna con il hijab e pensate che sia stata obbligata, è il vostro privilegio a parlare. Poi potete unirvi al World Hijab Day, un’organizzazione che incoraggia le donne non musulmane a indossare il hijab, provare sulla propria pelle la hijabofobia e imparare la bellezza del velo. Ciò non significa che poi lo devono indossare sempre, basta solo condividere l’esperienza. E poi bisogna continuare a parlare del hijab, anche quando non è il nostro ad essere in pericolo. Va fatto soprattutto perché le persone non musulmane hanno più potere di quelle musulmane. Dobbiamo lottare per tutte le donne, non solo noi stesse, e in questo modo le cose cambieranno. Quindi “Hands off the hijab”.

Grazie, Nousseybah, per aver condiviso con noi la tua esperienza. Per comprendere tutte le implicazioni di questa legge, infatti, bisogna ascoltare la voce delle donne musulmane che ne sono colpite. La piattaforma World Hijab Day raccoglie quotidianamente testimonianze simili per rendere visibili il fenomeno dell’islamofobia e la sua applicazione sistematica.