“Cerco un Centro di gravità permanente”: Franco Battiato appare il cantore ideale per la politica italiana degli ultimi decenni. Lo scioglimento della Democrazia Cristiana nel 1994 ha fatto venire meno un consolidato assetto che ha inquadrato la politica italiana nella fase della Prima Repubblica, portando le forze politiche nella fase del bipolarismo della Seconda Repubblica e della cosiddetta “Terza Repubblica” ad anelare, implicitamente, alla sua riconquista. Nella percezione che il centro perduto fosse il vero perno del sistema politico ed elettorale italiano. E che la sua conquista fosse la vera chiave di volta per ogni successo politico ed elettorale.

Dalla corsa di Silvio Berlusconi all’elettorato dei “moderati” alla tentazione del Movimento Cinque Stelle di farsi “nuova Dc”, passando per le ambizioni di Matteo Renzi e Matteo Salvini, negli ultimi anni, di costruire un blocco elettorato fondato sul supposto pragmatismo degli elettori della fascia intermedia il centro è stato immaginato e declinato come territorio da occupare, come la “trequarti” da cui impostare necessariamente ogni manovra di consolidamento al potere. Ma diverse iniziative politiche sono, negli ultimi decenni, partite anche dal presunto perno, da un “centro” andato nella sua strutturazione a farsi sempre più granuloso e, paradossalmente, sempre più periferico mano a mano che aumentava la competizione per occuparlo.

Ad oggi il centro è conteso tra una miriade di forze che si suppongono suo legittimo interprete: Azione, il partito liberale di Carlo Calenda; Più Europa, orfana della fondatrice Emma Bonino; Italia Viva, l’esperimento libdem di Matteo Renzi; Cambiamo, il partito personale di Giovanni Toti, presidente della regione Liguria, che si presenta come “l’ala sinistra del centrodestra”; Centro Democratico, formazione guidata dal cattolico-progressista, ex leader “responsabile” del mancato Conte-ter e oggi sottosegretario dell’amico Mario Draghi, l’inossidabile Bruno Tabacci. Dietro l’oscura sigla di Centristi per l’Europa si manifesta l’eterno ritorno del senatore Pierferdinando Casini, il parlamentare continuativamente più presente tra Montecitorio e Palazzo Madama dell’attuale pattuglia.

Il centro è uno e multiplo. Tutti lo immaginano ricalcandolo sui propri modelli e quadri interpretativi. Spesso sulle visioni personali di un singolo leader: tendenza comune a ogni formazione del centro perduto e pulviscolare è la natura frazionistica, l’arroccamento su una figura ritenuta “carismatica” e la presenza, alle sue spalle, di una struttura partitica ben più debole. Mentre la consapevolezza propria dei partiti che provano ad arrembare, da destra e sinistra, il centro ritenuto “moderato” è che il centro sia modellabile, plasticamente, a seconda delle circostanze. Approcci fallaci che segnalano i problemi connessi alle dimenticanze degli insegnamenti politici della Democrazia Cristiana e lo sfarinamento di una cultura politica, quella popolare, che ha inglobato e superato hegelianamente il concetto di “centro politico” interpretandolo in chiave sistemica più che ideologica. La DC fu un partito centrista? Certamente, ma non solo. La DC seppe unire in un unico progetto nazionale i popolari classici alla De Gasperi, i liberali anticomunisti alla Scelba, la sinistra “mistica” e keynesiana di La Pira. Seppe guidare i governi di solidarietà nazionale con il Partito Comunista piazzandovi a capo un “amerikano” di ferro come Giulio Andreotti. Mantenne una continuità strutturata connettendosi alle evoluzioni della società e della politica italiana, radicandosi nei territori, costruendo una continuità nelle roccaforti del potere senza venire mai meno a chiari principi guida. Non serviva continuare a ribadirsi centristi, nella DC, per essere centrali: oggigiorno, invece, i partiti che invano tentano di costruire un’alternativa centrista enfatizzano il posizionamento politico prima ancora delle proposte concrete, della visione e della cultura politica.

Non a caso i consensi del centro postdemocristiano sono andati via via scemando mano a mano che al richiamo all’eredità della Balena Bianca si sono sostituiti principi vaghi e interpretati spesso acriticamente: dall’europeismo oltranzista, spesso divenuto il filo conduttore tra il centro contemporaneo, a forme vagamente temprate di liberalismo anglosassone, passando per una generica avversione al “populismo”. Troppo poco per incidere, e i sondaggi in tal senso parlano chiaro. Sommate, Italia Viva, Azione e Più Europa non raggiungerebbero la doppia cifra di consensi, e viste le rivalità intestine siamo certi che difficilmente un’unione potrebbe toccare i consensi tra il 5 e il 7% toccati dall’Unione di Centro di Casini, alleata del Centrodestra, tra il 2004 e il 2009, men che meno quelli dell’11% toccati nell’anno della sua nascita dal Partito Popolare Italiano fondato nel 1994 dall’ultimo segretario Dc, Mino Martinazzoli. Partiti, questi, in cui i quadri dirigenti provenivano in larga parte dalla Dc e ne hanno portato prassi e metodologie, confluendo poi nei due maggiori poli della seconda repubblica. A livello territoriale, mantiene un richiamo con la cultura popolare italiana (e tedesca) la formazione egemone dell’Alto Adige, il Sudtirol Volkspartei. Ultima formazione forse veramente centrista, che non ha la necessità di definirsi tale.

Il centro, insomma, è perduto da tempo. Il centro di gravità permanente si chiamava Democrazia Cristiana. Finita la storia della Balena Bianca, restano i miraggi della sua eredità in termini di consensi prima ancora che in termini di cultura politica. E ogni formazione, dentro e fuori quel campo, immagina il centro a propria immagine e somiglianza, come frontiera ultima da raggiungere. Senza accorgersi di essere destinato a inseguire quella che è a tutti gli effetti una periferia politica.

Un leader, un partito” è il dossier di The Pitch e Osservatorio Globalizzazione che fa la radiografia dei principali partiti politici italiani.
Nelle precedenti puntate:
1. Radiografia di uno spettro politico – Introduzione
2. Dopo di noi il diluvio – Forza Italia
3. La solitudine del nome prima – Lega
4. Una nuova Democrazia Cristiana – Movimento 5 Stelle