Dai tempi che diedero all’Europa l’illuminismo parliamo o abbiamo sentito parlare di secolarizzazione o con più precisione di scristianizzazione delle masse. Giriamo per l’Italia e la troviamo manchevole di partecipazione alle funzioni religiose che vediamo incarnate nella sola provincia o nelle generazioni che ci hanno preceduto, che oggi campano a lungo. Le chiese dominano il panorama italiano, sono un perno urbanistico (anche architettonico e storico in senso lato) della nostra penisola. Ma oggi sono vuote e svuotate, fisicamente e in senso figurato. Cosa ne sarà delle numerose chiese vuote? Certo non ce lo domandiamo per San Domenico Maggiore o Santa Chiara in Napoli, per San Maurizio in Milano, per San Luigi dei Francesi a Roma. Queste già appartengono alla storia, il turismo più o meno acculturato o interessato le ha ampiamente assorbite.
Chi è calciofilo sa che in Italia gli stadi per buona parte del Novecento, e finché la Pay tv non ha fagocitato interamente l’offerta, sono stati un tempio del sacro. Per questo chi è tifoso di una squadra ma vive in una città diversa deve attrezzarsi con le trasferte per vederla giocare, ma sa che poche volte all’anno avrà possibilità di sentirsi nel suo tempio, nella sua chiesa, nel suo spazio per poterla seguirla. Nemmeno si può dire che seguire la propria squadra in trasferta sia come propiziare un rito in casa propria.
Oggi di questo male della desertificazione soffrono i cinematografi, e il Covid non ha fatto altro che accelerare un processo che già conosciamo. On demand, Netflix, Mubi, Amazon, MyMovies. Questa piattaforme, una volta finita la pandemia, sostituiranno integralmente lo spazio del cinematografo? O gli lasceranno uno spiraglio, un barlume di esistenza? Potremo assistere a un lungo processo di coesistenza di due mondi solo apparentemente lontani?
Il cinematografo è sempre stato lo spazio del sacro. I ragazzi italiani nel dopoguerra vi ci andavano a fumare. Trovavano sullo schermo i loro idoli, anch’essi sempre con le sigarette in bocca: Humphrey Bogart, Kirk Douglas, Robert Mitchum, Clark Gable etc. Atmosfere da Noir, oppure classici Western. Ricordate La Rosa purpurea del Cairo di Woody Allen? Quell’atmosfera da grande schermo è essa stessa un mito, quasi un microcosmo.
Anche storie d’amore. Un po’ di machismo in sordina per sentirsi adulti, quando ancora non era peccato mortale distinguere i due generi. Un film italiano che ricorda bene quel clima, fin troppo bene, con una nostalgia ammiccante e un po’ così, da strizzare l’occhio anche a chi la faccia di Gary Cooper proprio non l’hai mai vista, è Nuovo cinema paradiso. In proposito, questa citazione è attualissima dopo la notizia dell’abolizione di ogni forma di censura cinematografica, che forse altro non fa che sottolineare quanto già sappiamo, e cioè che il virtuale ci ha dato la presunzione di pensare che non esistano limiti di sorta.
Poi, per tornare a monte, nel ’75 arrivò la prima “Stangata”, giusto per tenere un termine cinematografico, con il divieto di fumo nelle sale che significò la fine di un tempo irripetibile per quella chiesa dei cinefili. Calò il sipario su un’epoca irripetibile di quello spazio della liturgia.
Il cinema è ancora, come nel ‘900, un fenomeno di massa? Certo, ma la distribuzione è cambiata. Non più masse di milioni e milioni di americani ed europei si riversano nei cinema per vedere Rodolfo Valentino, Lillian Gish, Charlie Chaplin, Jean Harlow, Marcello Mastroianni, Paul Newman, Brando, Alain Delon e altri. È ormai un luogo per intimi. I multisala hanno resistito per decenni, tenendo e inglobando generi diversi, i vecchi blockbuster – falliti da tempo – e un po’ di autorialità per non perdere del tutto la faccia. Chiunque abbia un’età compresa tra i 25 e i 40 ricorda le file al botteghino negli anni in cui uscivano Titanic, Il Gladiatore, L’ultimo samurai, la trilogia de Il signore degli Anelli, Avatar etc. Furono quei decenni i bagliori del crepuscolo del cinematografo visto come luogo sì di culto, ma anche di affollamento.
Oggi invece i sopravvissuti assomigliano a nicchie, a catacombe, diciamo pure quindi a delle Chiese, dei luoghi di culto del cinema. Luoghi che evocano il passato nei grandi centri urbani e si riservano ancora quelle produzioni che altrove non vedremmo o che vedremmo con ritardo. Così per gustare ancora Avati, Villneuve, Anthinos, Xavier Dolan o Friedkin, o una rassegna sul Cinema restaurato di Yasujiro Ozu o Elio Petri, quel che rimane dei cinefili deve far gruppo in questi luoghi che simboleggiano il sacro, fanatici e irriducibili sostenitori di catacombe d’élite…