Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo della morte del principe Filippo d’Inghilterra, di com’è stata raccontata e dello scenario che ha lasciato in eredità.
Il 9 aprile è morto all’età di 99 anni il principe Filippo. La notizia è stata comunicata dalla Famiglia reale e ha fatto poi il giro del mondo. Tutte le testate e le emittenti televisive ne hanno parlato, con approfondimenti, ricostruzioni storiche e addirittura psicologiche del duca di Edimburgo. I canali di informazione hanno dato molto spazio alla notizia, tanto da suscitare il dissenso del loro pubblico.
È il caso della BBC, che ha ottenuto 109.741 reclami per aver sospeso alcuni programmi televisivi, sostituendoli con i servizi sulla morte del principe Filippo. La notizia viene raccontata dal Post, che riporta il comunicato dell’emittente: «Riconosciamo che alcuni spettatori possano essere stati insoddisfatti del tipo di copertura che abbiamo scelto, e dell’impatto che questa ha avuto sui palinsesti di radio e tv». Le trasmissioni sul defunto duca di Edimburgo sono l’evento che ha scatenato più critiche nella storia della BBC.
La notizia della morte del principe Filippo è stata riportata tempestivamente dalla stampa italiana e internazionale. Spesso si è scelto di accompagnare l’annuncio della sua scomparsa con suo ritratto. Si muove in questa direzione anche Il Corriere della Sera, che ripercorre la storia del «compagno della regina Elisabetta, ma non suo pari». Innanzitutto vengono richiamati i suoi commenti spesso fuori luogo così definiti: «che poi gaffe non erano, ma piuttosto la maniera di esternare l’inevitabile insofferenza per le costrizioni cui veniva sottoposto».
Questo è infatti il tono del ritratto: l’enfasi viene posta sul suo ruolo di subordinazione rispetto alla regina Elisabetta e al disagio che ciò gli provocava. La ricostruzione della vita del principe Filippo e del suo ingresso della famiglia reale subisce, però, una spettacolarizzazione molto marcata. Leggendo alcuni passi – «Con l’incoronazione della moglie, lui entra nel cono d’ombra: e deve perfino rinunciare a dare il proprio cognome, Mountbatten, ai suoi figli» – sembra di trovarsi davanti alla serie TV The Crown più che al principale quotidiano nazionale.
L’apice di questo ritratto è il ruolo assegnato al principe di guida morale della Corona: «Negli ultimi anni Filippo aveva assunto un po’ il ruolo di «guardiano» della famiglia reale: ed è anche a causa del suo pensionamento, tre anni fa, che si spiega quell’aria di “liberi tutti” che ha portato scompiglio a corte negli ultimi tempi. Era venuta a mancare la barra». Un’esaltazione della sua figura che si discosta parzialmente, però, dalla realtà storica e che risulta forzata nel tentativo di avvicinarlo allo stereotipo del “capo famiglia”.
La Repubblica ha invece fatto molto parlare di sé. Il sottotitolo originale scelto per l’articolo prevedeva «Era l’unico che poteva permettersi di dire alla sovrana: “Stai zitta”». Dopo le immediate critiche circolate online, è stato cambiato in «Osava perfino contraddirla». I toni sono sicuramente più tenui, ma non cambia la sostanza: il valore del principe Filippo risiede nella possibilità di zittire o contestare la moglie.
Questi riferimenti proseguono anche nel testo, «Era anche il solo capace di rimproverare la sovrana, addirittura di contraddirla», sostenendo il tutto con il racconto di uno scontro verbale tra i due coniugi durante un viaggio in auto. Una scelta sessista e basata sul gossip più che sugli equilibri di potere interni alla famiglia reale.
Ritorna poi la narrazione dell’uomo sofferente messo in secondo piano da una donna con un incarico più prestigioso: «Non era facile, un ruolo così secondario, per un uomo che amava i cavalli, la caccia e – si dice – le donne». Da notare, tra l’altro, l’accostamento delle tre passioni del principe: le relazioni sessuali o amorose sono poste sullo stesso piano delle esperienze sportive.
Le famose “gaffe”, inoltre, vengono motivate con delle argomentazioni abbastanza inconsistenti: «Chi lo conosce sostiene che non si trattava di cattiveria né di razzismo, bensì di un cervello un po’ svampito e dell’abitudine (insolita nella famiglia reale) a dire ciò che pensava». Ancora una volta si preferisce concentrarsi sui pettegolezzi al posto di approfondirne la figura.
L’articolo si conclude con lo stereotipo: «Così come dietro ogni grande uomo si dice ci sia una donna ancora più grande, se Elisabetta ha regnato bene, una parte di merito deve andare anche all’uomo che le è stato alle spalle. […] Perfino sentirsi dire “ti faccio scendere” deve essere stata un’emozione per la regina, in un’esistenza dettata da inchini, protocollo e ipocrisie». I meriti della regina Elisabetta (nominata senza il titolo) vengono giustificati con la presenza del marito e uno scontro verbale tra coniugi mostrato come un commento “emozionante” perché sarebbe in grado di far sentire la massima autorità britannica «una donna normale».
Gli stereotipi non si fermano nemmeno se si analizza il contesto che segue la morte del principe. Il Corriere dedica un articolo all’erede al trono, il principe Carlo, chiamato nelle prime righe «il capofamiglia» ignorando volutamente però che al vertice della casa reale resta comunque la regina. Subito dopo gli si attribuisce il ruolo di nuovo collante della Corona, come se ci fosse un’investitura da parte del padre.
Si legge «Adesso che il duca, il baricentro della Firm non c’è più, come prima accanto a Elisabetta c’era lui, Filippo, ci sarà Carlo» e viene da chiedersi se il principe Filippo fosse davvero il baricentro della famiglia. Ancora una volta si tratta di una visione romanzata del defunto duca di Edimburgo e del suo ruolo. Inoltre non bisogna dimenticare che la regina Elisabetta, dopo 68 anni in carica, non ha di certo bisogno di essere accompagnata.
In conclusione la figura del principe Filippo è stata enfatizzata sia evidenziandone la sofferenza, in quanto uomo, di stare “un passo indietro” sia esaltandone il ruolo di guida morale della famiglia. Per celebrare l’operato del duca di Edimburgo non si è trovata via migliore che sminuire quello della regina. Al posto di concentrarsi sugli equilibri di potere, le testate hanno deciso di virare su una narrazione d’effetto. Tutto ciò, però, comporta una spettacolarizzazione forzata del ritratto del principe e una sua percezione distorta da parte di chi legge le notizie.