Il blocco del Canale di Suez dovuto all’incagliamento della Ever Given ha rimarcato l’importanza di una via d’acqua che garantisce il passaggio di oltre il 12% delle merci mondiali e del 30% dei container spediti via mare; l’ostruzione del canale ha causato una perdita economica di almeno 9,6 miliardi di dollari al giorno.
In pochi sapranno tuttavia che dal 1967 per i successivi sei anni il Canale di Suez è rimasto chiuso alla navigazione a causa dei contrasti tra Israele ed Egitto. A nessuna nave era concesso di entrare e uscire da quello stretto corso d’acqua, tranne che a 14 imbarcazioni che si trovavano a navigare nel giugno di cinquantaquattro anni fa in quello che sarebbe diventato un teatro di guerra e allo stesso tempo, un’esperienza di convivenza marittima tra equipaggi di navi battenti bandiere di 8 Stati diversi.
È la fantastica storia della GBLA o come viene più spesso ricordata, della “flotta gialla”.
Le generazioni italiane nate tra gli anni ’40 e ’50 ricorderanno un programma radiofonico chiamato “Bandiera Gialla“, andato in onda dal 1965 al 1970, dove trovavano spazio le novità mondiali della musica ascoltate dalle nuove generazioni.
Luciano Rispoli, allora nella dirigenza RAI, scelse il simbolo della bandiera gialla per indicare il fatto che questi nuovi generi fossero osteggiati delle radio italiane, quasi non si volessero far ascoltare.
Nel linguaggio marittimo la bandiera gialla viene sventolata da navi che hanno in corso una epidemia e che devono essere tenute in quarantena.
Siamo alla vigilia di una grandiosa svolta nel panorama culturale mondiale.
Nel 1967 vede la luce “Sergent Pepper Lonely Hearts Club Band“, storico album dei Beatles.
In Italia in quell’anno esce il brano di Gianni Pettinati “Bandiera Gialla”, inno di una gioventù scatenata che si conclude con i versi:
Vieni qui, che qui si balla
Siamo noi bandiera gialla.
Tutt’altra aria – non certo di spensieratezza – si respira in quegli anni nella sponda opposta del Mediterraneo.
Il 13 maggio del 1967 fonti dell’intelligence sovietica riportano la notizia di un imminente attacco israeliano sul fronte siriano.
Sono passati circa dieci anni dalla crisi di Suez del 1956 innescata dall’annuncio dell’Egitto di nazionalizzare il canale di Suez e conclusasi con gli interventi statunitense e sovietico, con l’imposizione del cessate il fuoco e l’invio del primo contingente ONU per il mantenimento della pace.
Il 22 maggio del 1967 l’Egitto dichiara gli stretti di Tiran e Aqaba inaccessibili alle navi israeliane.
Come dieci anni prima, questo annuncio viene interpretato da Israele come un atto ostile.
Già prima dello scoppio della guerra, l’Egitto aveva provveduto a rendere innavigabile il canale di Suez, affondando barche, ostacolandone il passaggio con detriti e disponendo bombe allo scopo di impedire l’uso della via d’acqua alle navi israeliane.
Ma 14 mercantili si trovavano a navigare nelle acque del Canale proprio in quei primi giorni di giugno del 1967.
Le navi vengono dirottate e lasciate all’ancora in uno specchio d’acqua abbastanza grande, il Lago Amaro, a circa 120 km a sud dell’imboccatura del canale dal mar Mediterraneo nel porto di Said.
Nel frattempo, il 5 giugno 1967 tra Israele ed Egitto scoppia quella che verrà ricordata come la guerra dei Sei Giorni.
I membri dei diversi equipaggi, nel bel mezzo di un teatro di guerra, assistono terrorizzati alle prime battute del conflitto, con caccia bombardieri che sfrecciano sopra le loro teste e i due eserciti schierati sulle rive opposte del canale.
Non dormiranno sonni tranquilli nelle notti a venire.
Non possono nemmeno comunicare con il resto del mondo. L’unico strumento è la radio di bordo, ma le forze egiziane ne hanno interdetto l’uso per evitare diffusioni di notizie.
La fine della guerra non risolverà le questioni tra i due Paesi e il traffico di navi nel Canale di Suez rimarrà bloccato per altri 6 anni.
Inizia così un’esperienza incredibile di convivenza marittima.
A ottobre di quell’anno, gli equipaggi delle 14 navi, che nel frattempo sono state avvolte da una patina gialla causata dalle frequenti tempeste di sabbia del deserto, si riuniscono sull’inglese Melampus per darsi sostegno reciproco: inaugurano la nascita della GBLA (Great Bitter Lake Association); il mondo la ricorderà come “la flotta gialla“.
In piena guerra fredda, sotto il calore del sole egiziano, equipaggi di Stati appartenenti al blocco sovietico e al blocco americano si trovarono a condividere un’esperienza unica e paradossale. Ci piace pensare che al vento del deserto, sui singoli battelli, sventolassero quattordici bandiere gialle.
In occasione delle Olimpiadi del Messico del 1968 una delle due navi polacche si fece promotrice dell’iniziativa di creare i Giochi Olimpici dell’Associazione del grande Lago Amaro.
I marinai si sfidarono in gare di vela, tuffi, atletica, tiro con l’arco, salto in alto, pallanuoto – la nave svedese Killara aveva una piscina – ma anche pesca, sollevamento pesi e partite di calcio.
Come raccontano i diari di bordo, l’atmosfera era eccellente: vennero confezionate delle medaglie e assegnate ai primi tre classificati delle diverse discipline.
La Polonia arrivò prima nel medagliere, seguita da Germania e Regno Unito.
Il tempo passa e il mondo sembra dimenticarsi della GBLA, abbandonata in mezzo al Canale di Suez sotto il cocente sole del Nord Africa. I marinai erano perfino giunti a creare un loro sistema postale, con francobolli personalizzati. L’idea era di affermare l’indipendenza della comunità che si era creata:
“Noi non eravamo né con gli egiziani, né con gli israeliani. Eravamo una comunità e ce ne stavamo per conto nostro. Perciò per farci la nostra identità ci facemmo i francobolli”. (John McPherson della Melampus)
I diversi componenti degli equipaggi, nel frattempo ridotti al minimo con turni di tre mesi a rotazione, contribuiscono ad alleviare una situazione davvero snervante: del resto potevano contare su un’ enorme riserva di materie prime alimentari, altrimenti da buttare, che proveniva da ogni parte del mondo: Australia, Hong Kong, Vietnam, Filippine, Giappone.
A tenere alto il morale dei marinai non c’era solo il lavoro di mantenimento delle navi, peraltro ridotto al minimo; a farla da padrone erano i party che animavano la vita sui ponti: gigantesche bevute di birra, cori cantati a squarciagola, sbronze colossali e tanta allegria. Finchè vedrai sventolar bandiera gialla, tu saprai che qui si balla!
La canzone di Pettinati non potrebbe essere più appropriata.
Ci vollero ben otto anni e un altro conflitto, la guerra dello Yom Kippur, per far sì che finalmente le 14 navi potessero far ritorno a casa. Visti i lunghi anni di inattività, le uniche a potersi muovere in autonomia furono le due tedesche, la Nordwind e la Munsterland, che approdarono al porto di Amburgo nel maggio del 1975, accolte da un bagno di folla.
Si concludeva dopo otto anni una delle esperienze più incredibili di convivenza marittima tra marinai di nazioni diverse che, a modo loro, avevano fatto la loro rivoluzione.
La guerra fredda col suo bipolarismo esasperato e il conflitto arabo-israeliano non avevano impedito la fioritura di amicizie e legami umani che, a bordo di quelle navi gialle, travalicavano i confini geopolitici e strategici.
Chissà cosa avranno pensato quei vecchi lupi di mare della GBLA vedendo i fatti di questi giorni relativi al canale di Suez; forse avranno sorriso, forse avranno ripensato a quei lunghi mesi di incertezza oppure alle risate, ai divertimenti e alle bevute insieme.
Forse avranno pensato che nulla di quello che hanno passato sarà irripetibile…
finché vedrai sventolar bandiera gialla.
FONTI:
- Il Messaggero
- Il Post
- Al Jazeera – “Suez: The Yellow Fleet trapped by the 1967 Arab-Israeli War” (https://www.youtube.com/watch?v=eIoxV0C4NHQ)
- Il Manifesto