Come ricorda il professor Aldo Giannuli nel saggio Mafia mondiale, una delle principali differenze che si possono individuare tra i gruppi malavitosi tradizionali e le mafie propriamente dette è l’abitudine di queste ultime a sviluppare una vera e propria razionalità strategica e a pensare strutturalmente il mondo con categorie che potremmo definire “politiche”. Non a caso le caratteristiche tipiche delle mafie (omogeneità etnica, ritualità, diversificazione delle attività di business) impongono a queste ultime un grado maggiore di complessità.
Logico dunque sottolineare che anche nel mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso si possano rinvenire ragionamenti di matrice geopolitica.
Guardare con occhi geopolitici, con gli strumenti concettuali della geopolitica, alla criminalità organizzata transnazionale e all’economia generata dall’area più vasta dell’illecito, come abbiamo dimostrato parlando delle nuove rotte della droga, aiuta a capire come e in che modo le mafie sfruttino le rotte aperte dai traffici su scala globale per assurgere a dominatrici dell’agone criminale, sfruttando la capacità di delocalizzarsi fuori dai confini della nazione di provenienza.
L’ex presidente del Senato Pietro Grasso ha ricordato che “le mafie si lasciano guidare nella ricerca del profitto dai fattori geopolitici, servendosi ai propri fini di mutamenti e tendenze; e allo stesso tempo agiscono da attori geopolitici producendo in via diretta o indiretta processi di natura geopolitica”. Pensiamo alla natura opaca dei paradisi fiscali o di centrali finanziarie come Hong Kong e Macao nel divenire punti di riferimento per le Triadi cinesi. Pensiamo alla vera e propria organizzazione-simbolo della mafia “globalizzata”, la ‘ndrangheta, capace di creare un vero e proprio conglomerato criminale nel corso dei decenni con una rete costruita dall’Australia al Canada inserita nell’emigrazione calabrese per “esternalizzare” i traffici ordinari a cui si è sommata la pericolosa alleanza con i cartelli della droga. O pensiamo all’influenza della criminalità organizzata di tutta Europa nel garantire il traffico illecito di rifiuti tossici verso aree di mondo complesse come la Somalia.
Del resto, le mafie di ogni tipo sono use valorizzare nel loro dispiegamento l’elemento territoriale, pensato come scenario da controllare sia con strumenti di hard power che con dinamiche legate a un vero e proprio soft power (non a caso importante nel discorso mafioso è la “narrazione” che le vuole eredi di antiche culture, società onorate e meritevoli di rispetto, punti di riferimento per le comunità). E questo implica un ragionamento strategico di una complessità superiore rispetto a quello che guida le azioni di gruppi che, per quanto strutturati, non si possono definire mafiosi come gli stessi cartelli della droga messicani e colombiani.
Cosa cogliere da questo ragionamento? Certamente il fatto che se la Mafia è oramai un attore geopolitico da considerare giocoforza parte del mondo globalizzato, altrettanto strutturata deve essere la risposta dei governi. La lungimirante lezione italiana non è stata appresa da parte dei Paesi alleati nel contesto del contrasto alla criminalità organizzata. “Solo un lavoro di Intelligence basata sull’analisi qualificata riduce i rischi di trovarsi di fronte a nuove minacce interne non percepite e può rivelare l’invisibilità delle organizzazioni presenti sul territorio”, ha scritto su Eurispes il generale Pasquale Preziosa. Anno dopo anno, le mafie principali nel mondo hanno acquisito grande influenza sia politica che geografica e oggi sono sviluppate in modo allarmante, presentando una minaccia ben più profonda e difficile da radicare di quella del terrorismo internazionale. Colpire le mafie sarà possibile solo attraverso la decapitazione dei traffici illeciti (droga, traffico d’armi, finanza “oscura”) che ne alimenta i forzieri e solo destrutturando con la cooperazione internazionale le organizzazioni ovunque si trovino. Vaste programme, direbbe il generale de Gaulle, guardando come in diversi Paesi (pensiamo solo alla Germania) la questione sia ancora sottovalutata e manchi un’analisi tanto complessa.