Fino al 21 marzo del 1970, quando il nucleo dei Carabinieri capitanato da Giancarlo Servolini fa irruzione a bordo di un barcone ormeggiato sul Tevere arrestando una novantina di giovani, la parola “droga” in Italia è ancora avvolta dal mistero. Certo – seppure in modiche quantità – marijuana e hashish circolano già da tempo, soprattutto negli ambienti del movimento studentesco e della cosiddetta “contestazione“; certo, le anfetamine, ancora legali, vengono prescritte senza troppi complimenti dai medici, dando vita a un mercato nero sempre più fiorente; e certo, la cocaina ai piani alti della società non manca mai. Ma è con il “caso del barcone” che l’Italia intera, quella più tradizionalista e nazionalpopolare, scopre quasi per magia il mondo degli stupefacenti. Complice una campagna mediatica, avviata da Il Tempo, mirata a tracciare un identikit ben preciso del consumatore di sostanze.
È in questo contesto che la figura del “capellone“, giovane contestatore di sinistra, viene associata senza troppe remore alla droga. In sei mesi sui quotidiani nazionali escono sull’argomento circa diecimila articoli, stessa cifra di quelli pubblicati nei sette anni precedenti. In realtà però nel 1970 la situazione è ancora sotto il livello di guardia: in quell’anno il Centro per le tossicosi da farmaci stupefacenti e psicotropi censisce in tutta Roma appena 560 “tossicomani” (questa la definizione in voga all’epoca), ovvero ragazzi (tutti under-25) che hanno sviluppato una notevole dipendenza fisica e psicologica da anfetamine, barbiturici e ipnotici come il metaqualone. Fumo ed erba rappresentano ancora una quota minoritaria delle sostanze in circolazione, complice anche la difficoltà nel reperirli: le fonti di approvvigionamento sono ancora “artigianali”. Tradotto: chi torna da Turchia o Marocco.
In seguito alla clamorosa operazione del “barcone” si scatena un’eccezionale ondata repressiva: fino ad allora, anche a causa della natura legale di molte delle sostanze in circolazione, le forze dell’ordine si erano limitate a sporadici sequestri e ancor più sporadici arresti. Nel solo 1970 gli arresti per droga superano invece le mille unità e le perquisizioni non risparmiano nemmeno i vip: a farne le spese l’attore William Berger, in carcere per quasi un anno per mezzo grammo di hashish trovato in una villa di Praiano, in provincia di Salerno. È ufficialmente scattata la psicosi: per decine di milioni di italiani la “droga” diventa un male oscuro, per centinaia di migliaia di giovani una tentazione proibita. E poco importa se sulla natura dell’operazione di marzo i dubbi aumentano, con il sospetto che il “mezzo chilo” di fumo denunciato dai carabinieri fosse in realtà mezzo grammo e che di “giovani in grave stato confusionale” non ci fosse l’ombra.
Di pari passo con la repressione – in tutta Italia nascono Nuclei Antidroga, che lavorano a stretto contatto con il Narcotic Bureau americano – cresce anche la curiosità dei giovani per quel mondo degli stupefacenti tanto cavalcato dalla stampa. È quello che negli Stati Uniti è stato teorizzato come “meccanismo della paura” (scare):
In Italia, dopo i fatti del “barcone”, accade con l’anfetamina: in molti passano dalle pasticche alle iniezioni endovenose. Nel ’70 gli ospedali milanesi ospitano meno di dieci “bucomani“, che diventano 30 nel ’71 e 140 nel ’72. Già nella primavera del ’72 l’anfetamina è una piaga.
Il 17 maggio di quell’anno il ministro della Sanità del governo Andreotti, Athos Valsecchi, la inserisce nell’elenco delle sostanze stupefacenti. Una decisione che arriva decenni dopo quelle di altri paesi e che pone fine a una polemica ventennale tra l’Oms e lo stato italiano. Alcune specialità in realtà restano in circolazione ma la prima (prevedibile) conseguenza del provvedimento è l’aumento esponenziale dei prezzi al mercato nero. È in questo momento che, a partire dall’autunno del ’72 e a partire ancora da Roma, arriva in Italia la morfina. Prezzi bassi, ottima qualità: si tratta di scorte di morfina della tedesca Mercks reimmesse sul mercato via Pakistan. Le prime “reclute” sono ex anfetaminici in astinenza ma in breve tempo Trastevere e Campo de’ Fiori vengono invase e non passa molto prima che la diffusione si allarghi all’intera penisola. Gli arresti di spacciatori però diminuiscono.
Nel ’73 il Corriere della Sera pubblica in prima pagina la notizia che l’ambasciata americana in Italia distribuiva ai turisti Usa un opuscolo in cui tra le altre cose c’era scritto:
Un’ammissione clamorosa, per quanto involontaria, di ciò di cui nel “giro” si vocifera da tempo: che molti dei pusher possano agire indisturbati sotto l’occhio delle forze dell’ordine. Nessun arresto per detenzione o spaccio di morfina tra l’autunno del ’72 e l’estate del ’73, mentre proseguono sui soliti numeri quelli per spaccio di hashish e marijuana. Hashish e marijuana che sono destinate a sparire completamente dal mercato nel biennio successivo. Quando arriva l’eroina (purtroppo) è la rivoluzione.
I prezzi stracciati dell’ero, la difficoltà a reperire altre sostanze se non a prezzi altissimi, la quasi totale impunità garantita ai possessori di oppiacei portano in breve tempo alla strage che ben conosciamo. Quando sul mercato tornano anche le droghe leggere e quanto il prezzo della roba inizia a salire, è troppo tardi: decine e in breve centinaia di migliaia (saranno 300mila nel 1985) di giovani italiani sono ormai schiavi dell’eroina. Un tempismo che, insieme alle altre coincidenze sospette di questa storia, ha sollevato più di un dubbio sulla matrice “politica” della dinamica. Blue Moon è stata definita l’operazione sotto copertura messa in atto dai servizi dei paesi del blocco occidentale a partire dall’inizio degli anni Settanta, finalizzata a diffondere l’uso di droghe pesanti tra gli attivisti dei movimenti giovanili di contestazione al fine di distoglierli dalla lotta politica.
Secondo Guido Salvini, titolare di molte inchieste relative alla strategia della tensione, il tramite tra la Cia e i servizi italiani e in quanto tale principale esecutore del piano in Italia fu l’americano Ronald Stark: personalità ambigua, molto amico di Timothy Leary (intellettuale noto per le sue teorie sulle sostanze psicotrope come sfida alle convenzioni e mezzo per raggiungere un nuovo grado di conoscenza) e vicino di conseguenza agli ambienti pacifisti Usa. Stark nel ’72 è in Italia e, secondo l’ex collaboratore del Sid (Servizio informazioni difesa) Roberto Cavallaro, è presente anche all’incontro segreto tra membri dei servizi segreti di diversi paesi europei tenutosi sui monti Vosgi, in Francia. Un incontro la cui veridicità resta tuttora avvolta nel dubbio, così come – in assenza di documenti desecretati – resta avvolta dal mistero l’intera operazione. Di non misterioso in tutta questa storia ci sono solo le vittime.