Un traghetto è giunto sulle coste siciliane. È un ferry-boat, e porta con sé un treno, che ricomincia la sua corsa venendoci incontro, come se ci stesse venendo addosso. Correvano gli anni Dieci di un Novecento appena cominciato; e chissà se qualche spettatore in una sala cinematografica, di fronte a quel treno in corsa, si alzò dalla sedia per lo spavento, come accadde, secondo la leggenda, per il celeberrimo L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei Lumiére nel 1896. Quel che è certo è che ancora negli anni Dieci un senso di meraviglia doveva essersi conservato: se non altro per l’incredibile fascinazione di un viaggio da seduti, un Grand Tour virtuale che solo grazie all’invenzione del cinematografo era possibile fare.

Qualche anno fa la Cineteca di Bologna ha raccolto e pubblicato, in un prezioso cofanetto (Grand Tour Italiano) una raccolta di film dei primi anni del ‘900 che raccontano un’Italia diversa, lontana nel tempo. Oggi, per noi, questi filmati non sono soltanto una possibilità per viaggiare nello spazio, ma anche nel tempo: conoscere un’Italia che non c’è più, un’Italia rurale, che vive di artigianato, che l’artigianato lo fa in mezzo alla strada; un’Italia selvaggia, quasi irriconoscibile. Ancora più importante, un’Italia raccontata con uno stile neutrale, con lo spirito “documentaristico” dei cineoperatori, e non con quello propagandistico del periodo fascista, come ha ben sottolineato Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, in occasione dell’uscita di questa raccolta.

Lo spirito che anima questo viaggio lungo la penisola italiana è quello della scoperta: scoprire e far scoprire. È lo spirito dei travelogues, i film di viaggio, e ancora di più lo spirito dei cineoperatori, spesso ex fotografi, che prendevano in spalla la cinepresa e itineravano per regalare agli spettatori cartoline non più ferme ma in movimento, vive. Potevano documentare paesaggi, spesso vedute, così come attività di tutti giorni, o eventi particolari: e noi con loro oggi possiamo assistere al Palio di Siena di un lontano 1909, seguire la certosina produzione dei cappelli di paglia a Firenze, partecipare alla Festa dei Gigli a Nola – le immagini più antiche della celebrazione arrivate a noi – con le loro costruzioni in legno che raggiungono altezze maestose; possiamo poi concederci un giro per le strade di Napoli e notare che le tradizioni si portano avanti con rigore, con le spaghettate lungo la strada (ma con le mani!) e perché no, dopo aver nutrito lo stomaco, nutrire lo spirito, con la concessione di una visita a Puccini nella sua villa a Torre del Lago.

Ma è forse il tour della Sicilia che riesce a darci le emozioni più forti e inaspettate. Eravamo giunti col ferry-boat sull’isola, e ora è tempo di visitarla. Osserviamo la raccolta dei frutti di mare, e ci fermiamo per un attimo di fronte a un porto tinto di bianco, quello delle barche a vela costeggiate che ci ricordano di essere in un altro tempo. Per le strade i carretti trainati da buoi, e poi una tappa alle rovine di Selinunte e Girgenti, per tornare ancora più indietro nel tempo; e mentre osserviamo estatici il tempio di Giunone Lacina, ci passa di fianco un pastore che si porta dietro il suo gregge di pecore, in una commistione di immagini, epoche e tradizioni racchiuse in un solo quadro. Non possiamo certo farci mancare una gita sull’Etna, con i suoi fuochi e fumi virati per l’occasione sul rosaceo – il viraggio e l’imbibizione erano tecniche usate all’epoca per colorare la pellicola e trasmettere un effetto espressivo a seconda delle situazioni.

Non solo panorami e rovine. Il nostro è un viaggio nel tempo, allora perché non approfittarne per vedere com’era l’industria? Così arriviamo a Cefalù, dove negli anni Dieci ferveva l’attività nelle cave di argilla. Prima di fronte al sudore e alla fatica nell’estrarla e trasportarla, poi, per poterla impastare con l’acqua estratta da un pozzo, assistiamo a un’altra pratica dimenticata, quelle delle norie (o ngègne, “ingegno”, “congegno”): la trazione animale di un asino che ruotava intorno al pozzo azionava una ruota dentata che convogliava l’acqua del pozzo lungo un canale. Un sistema di pompaggio a forza “di mulo”. Una volta impastata, l’argilla arrivava infine nelle mani degli artigiani, che fabbricavano – ma sarebbe meglio dire creavano – le anfore, in un’arte fatta di mani e piedi: le mani modellavano finemente, i piedi fornivano l’energia, facendo correre la ruota sotto il tavolo da lavoro, in una danza ritmata che, dopo la decorazione, sanciva la definitiva trasformazione di quella materia estratta con fatica dalle cave.

Se l’artigianato tornerà sulla nostra strada – splendida è a proposito la lavorazione e decorazione dei famosi carretti siciliani – il nostro tour nello spazio e nel tempo ci porta ad assistere anche a un evento tragico come quello del terremoto di Messina sul finire del 1908. Gli effetti devastanti che si portò dietro con sé sono documentati dai cineoperatori di lì a poco. Iconico è il lampione piegato in obliquo, a lottare con le sue ultime forze per non cedere alla terra, testimone dell’evento.

Tornando ai nostri giorni, dopo questo Grand Tour nello spazio e nel tempo, è come se avessimo dato forma a impressioni e racconti dal passato, spettatori privilegiati di visioni che hanno preso consistenza e un’identità precisa: come quell’argilla che da informe si è fatta vaso. Usciti da un viaggio come quello in Sicilia negli anni ’10, ci sembrerà di essere stati lì per davvero, tanto tempo fa.