La Lega e le Leghe: Salvini, Giorgetti, Zaia plasmano le molte anime di quello che i sondaggi danno come il primo partito italiano. Che per ora non vede in contraddizione la sua anima locale radicata al Nord con la sua avventura nazionale lanciata dall’attuale segretario. Ma dovrà prepararsi a governare la “multipolarità” interna.
“Prima il Nord” o “Prima gli Italiani”? Gli ultimi anni della Lega sono stati contraddistinti dalla graduale sovrapposizione di un’anima nazionale a un partito che tradizionalmente ha fatto del radicamento nelle roccaforti settentrionali la sua cifra determinante. A testimonianza del fatto che quella dell’Italia non è un’eterogeneità netta e tagliente, come ha ricordato Dario Fabbri su Limes, ma una sostanziale omogeneità velata di particolarismo, il Carroccio è riuscito a trasformarsi nell’unica formazione politica europea un tempo secessionista ad aver acquisito una postura sovranista e identitaria.
La conseguenza politica dello “sbarco oltre il Po”, operato dalla segreteria di Matteo Salvini dal 2014 in avanti, è stato l’exploit alle elezioni politiche del 2018, in cui è stato compiuto il sorpasso su Forza Italia, e del trionfale successo alle Europee 2019, quando con il 34% dei voti la Lega si è affermata prima forza politica italiana. La strategia duale del Carroccio è stata poi messa alla prova dalla caduta del governo Conte I, dall’appannamento del Capitano nella nebulosa estate del 2019, dall’eccessiva identificazione tra partito e leader e dalla pandemia. Quindi la caduta del governo giallorosso, a febbraio di quest’anno, ha riaperto alla Lega le porte della partecipazione al governo, rilanciandone le sue prospettive.
Il governo Draghi riporta nella stanza dei bottoni con tre ministri un Carroccio di cui nuovamente si manifesta la duplice anima. A spingere per l’aggancio al governo di unità nazionale è proprio la Lega esponente delle roccaforti settentrionali, Veneto e Lombardia, troppo spesso semplificate nella mitologica quanto vaga figura del cosiddetto “imprenditore del Nord”. In realtà pragmatici interpreti della voce di territori in cui il citato particolarismo prende in Lombardia la forma di un’attenzione sistemica alla tutela securitaria delle collettività locali (da cui il successo del tradizionale asse “meno tasse, meno immigrazione, meno insicurezza” su cui si fonda l’agenda leghista); e in Veneto la più ampia accezione di un richiamo culturale all’autonomia di una regione capace di riconoscersi in uno stile di vita, in un approccio all’economia e in un’eredità storica (la Repubblica di Venezia) comune. Territori in cui la Lega sa da tempo fare politica, comune dopo comune, e la cui voce in seno al Carroccio si è fatta sentire con forza al momento della caduta del Conte-bis, portando nella compagine draghiana tre loro esponenti quali Erika Stefani, Massimo Garavaglia e, soprattutto, Giancarlo Giorgetti. Longa manus del partito dall’epopea autonomista e secessionista di Umberto Bossi all’esperienza nazionale di Salvini, pontiere di alleanze internazionali individuate in solidi riferimenti (Germania e Stati Uniti) legati sia agli interessi economici dei territori che a quelli della coalizione di centro-destra in cui il Carroccio è stato a lungo incardinato e di cui da qualche tempo è invece traino.
Poco prima dello showdown con Conte nell’agosto 2019, il professor Giuseppe Gagliano commentava su Osservatorio Globalizzazione: “Salvini sta dimostrando furbizia, opportunismo e carrierismo. Sta dimostrando, cioè, di essere in grado di annusare gli umori della società civile (e cioè l’emergenza immigrazione, la sicurezza legata all’immigrazione e al terrorismo islamico e infine la battaglia contro l’Europa) per poi cavalcarla secondo una logica puramente cinica, da calcolatore, come hanno avuto d’altronde modo di osservare Flavio Tosi e Emanuele Fiano che lo hanno conosciuto di persona e, pare, in modo approfondito. Ebbene, non senza una certa dose di ironia, quale leader politico del passato, come del presente, non potrebbe essere criticato -o al contrario elogiato in un’ottica machiavellica – per avere adottato un analogo modus operandi?“. L’altalena tra “Prima il Nord”e “Prima gli Italiani”, insomma, era impostata secondo una logica strategica funzionale al posizionamento ottimale nello scacchiere politico.
La traversata del deserto che ha incluso buona parte della pandemia, i limiti della calata nell’Italia centrale e meridionale con gli stop in Campania, Puglia e Toscana alle regionali 2020 e la necessità di maggior pragmatismo imposta dalla fase emergenziale ha creato una sorta di compromesso. Il “Prima gli Italiani” di Salvini ha continuato a dettare la rotta, venendo però sempre più coadiuvato dal “Prima il Nord” della lega giorgettiana lombarda e dalla corrente veneta del partito.
Non c’è contrapposizione né incoerenza in questo dualismo politico che oggigiorno plasma le rotte del Carroccio: la Lega è cresciuta proprio cavalcando un pluralismo di visioni e di rotte. Nel suo elettorato l’egemonia nel Nord produttivo e industriale si è saldata con la cattura delle fasce un tempo attratte dal polo moderato costruito da Forza Italia, con lo sfondamento nelle aree del Centro e del Sud vittime del depauperamento produttivo seguito alla Grande Recessione (con la particolarità dell’Umbria, divenuta fortino “verde”), con la conquista di fasce di elettorato dai Cinque Stelle. Una somma che ha subito, nell’ultimo biennio, flussi in uscita nell’elettorato più strutturalmente di destra verso un riferimento più tradizionale come Fratelli d’Italia ma ha visto opposti apparenti sommarsi in nome, soprattutto, della critica alle conseguenze politiche della fase apertasi con il governo Monti e conclusasi con le elezioni del 2018.
Nel partito hanno convissuto la linea filo-russa di Lorenzo Fontana e l’atlantismo di figure come Raffaele Volpi, eccellente presidente del Copasir dal 2019 ad oggi; l’animo liberale di un Garavaglia e il keynesismo del professor Alberto Bagnai, eletto senatore nel 2018; l’europeismo radicale dell’eurodeputata Gianna Gancia e la critica radicale del collega a Strasburgo Antonio Maria Rinaldi. Un ensemble classico per ogni partito interclassista e in via di espansione in Italia che il Carroccio ha livellato con il centralismo democratico plasmato attorno alla figura del segretario, dotato di consensi che sfuggivano al suo predecessore Umberto Bossi, facendo perno su un collegamento diretto col territorio nelle sue roccaforti (il trionfo di Luca Zaia in Veneto lo testimonia) e con l’opera di regia dei “colonnelli” come Giorgetti.
La Lega che entra nel governo Draghi ha, oggigiorno, risolto in maniera post-ideologica e pragmatica queste polarizzazioni interne, tornando al governo per partecipare alla cabina di regia del Recovery Fund e compattare il partito dopo anni complessi seguiti alla fine dell’esperienza gialloverde. I sondaggi premiano ancora il Carroccio come prima formazione interna, e compito di Salvini, Giorgetti e colleghi sarà gestire l’elevata multipolarità interna anche quando verrà il momento di ricompattare l’alleanza di centro-destra in cui Giorgia Meloni scalpita e sogna il “sorpasso”. Il Carroccio ha rotto la “solitudine dei numeri primi”, ovvero il tentativo di accerchiamento e di polarizzazione politica attorno alla figura del suo leader cavalcata dalla coalizione giallorossa tra il 2019 e il 2020 agitando lo spauracchio di un suo possibile ritorno al potere, al prezzo di un forte drenaggio di consensi; ora il rischio principale sarà quello di adattare il dualismo su cui la Lega costruisce le sue fortune elettorali ma su cui, dopo il Covid-19, sarà complesso riorientare completamente il suo asse politico interno. Specie se il Nord motore produttivo d’Italia chiederà risposte concrete in termini di ripresa economica e una dose extra di attenzione da parte del partito che ne è simbolo per eccellenza. Potremo assistere allora alla “solitudine del nome Prima”, alla scelta definitiva per la Lega tra “Prima gli Italiani” e “Prima il Nord”? Ancora presto per dirlo, ma la Lega dovrà prima o poi prepararsi all’eventualità di dover gestire una fase conflittuale in seno al suo gruppo dirigente su questi temi.
Un leader, un partito è il dossier di The Pitch e Osservatorio Globalizzazione che fa la radiografia ai principali partiti politici italiani.
Nelle precedenti tornate:
1 – Forza Italia: “Dopo di noi, il diluvio”.