Don Antonio Coluccia è un giovane sacerdote di origine salentina che vive sotto scorta, a causa dell’intensa lotta contro le organizzazioni criminali che controllano San Basilio, quartiere alla periferia della Capitale ed una delle principali piazze di spaccio della città. Grazie alla collaborazione con la redazione di Telepace, abbiamo potuto seguire il prete coraggio che, armato di megafono, scende tra le strade della borgata per combattere la mafia.
Ogni giorno, da 8 anni, don Antonio Coluccia si reca nella borgata romana di San Basilio con l’obiettivo di combattere la criminalità organizzata che controlla il territorio. Lo fa semplicemente con la sua presenza e con la sua preghiera. Tutte le sere il sacerdote cammina per le strade del quartiere, armato di un megafono e della sua voce. Recita il Rosario, invoca la Vergine Maria, diffonde con l’altoparlante le parole che San Giovanni Paolo II aveva pronunciato contro Cosa Nostra alla Valle dei Templi di Agrigento, il 9 maggio 1993: «Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!». Parole che rimbombano, più attuali che mai, tra i palazzoni di San Basilio.
Il quartiere abbandonato
San Basilio, quartiere della periferia est di Roma, è una delle principali piazze di spaccio della città, famosa in tutta Europa. Un territorio completamente assoggettato alle organizzazioni malavitose, come ‘ndrangheta, camorra e consorterie romane, che controllano qualsiasi situazione di vita quotidiana. Qui, nella borgata “indipendente”, le Forze dell’Ordine non hanno vita facile nel far rispettare le legge, tanto che, ad esempio, non è difficile vedere le persone camminare senza mascherina o non rispettare le norme di distanziamento sociale.
Non solo spaccio di sostanze stupefacenti: il principale peccato strutturale della zona, infatti, sono le case, che spesso vengono occupate. Sono le conseguenze di un abbandono da parte dello Stato italiano, che trova le sue radici negli scorsi decenni e che ha portato gli abitanti a trovare soluzioni “di fortuna” per avere un tetto sopra la testa o per riuscire a portare del cibo in tavola. «Lo spaccio di droga a San Basilio è un fatto culturale, – sottolinea don Antonio ai microfoni di Telepace – occupare le case è un fatto culturale. È necessario vivere una cultura della legalità, per sottrarre il territorio a tutte quelle organizzazioni criminali che l’hanno occupato».
La processione che combatte lo spaccio
È attraverso un presidio di preghiera che don Antonio prova a liberare San Basilio dell’occupazione della criminalità organizzata. «L’obiettivo – spiega il sacerdote – è quello di far comprendere ai cittadini onesti che noi siamo con loro, che non sono soli». Per questo, ogni sera, armato di megafono, cammina per le strade del quartiere, recitando l’Ave Maria ed il Padre Nostro.
Così, giorno dopo giorno, con la sua presenza, don Antonio ha scardinato i pregiudizi che lo hanno accompagnato da quando ha deciso di intraprendere quest’azione sul territorio. Inizialmente era tutto buio: lampioni rotti e finestre sbarrate. «Spesso gli spacciatori bussano alle finestre delle abitazioni, perché nessuno deve vedere i traffici di sostanze stupefacenti». Oggi, però, grazie al suo impegno, sono tanti i cittadini che si affacciano, pregano con lui, lo salutano e lo ringraziano, mentre imperterrito continua a passeggiare in processione, annunciando il Vangelo. «Chi viene a parlarmi di questo o di quel problema, spesso viene minacciato di morte. È normale che la gente abbia paura», spiega il sacerdote, «ma io li incoraggio a prendere posizione, a non voltare la testa dall’altra parte: è l’insegnamento di Gesù».
Andate per le strada in tutto il mondo
Don Coluccia, però, non va a San Basilio solamente per i cittadini onesti, ma anche – e forse soprattutto – per coloro che vivono una vita all’insegna dello spaccio e del consumo di droga: si ferma a parlare con loro, li chiama per nome, li rimprovera, dice loro che gli vuole bene. «La maggior parte di questi ragazzi non ha mai provato cosa sia l’amore», sottolinea il sacerdote. È per questo che spesso hanno intrapreso la strada della criminalità. «Da educatore, il mio compito è quello di seminare e di annunciare la Parola di Dio, ma non si può annunciare il Vangelo nelle stanze dei bottoni». Bisogna farlo per le strade, soprattutto in quelle dove l’azione ed il controllo delle organizzazioni criminali ha tolto luce e speranza ai cittadini.
Le vedette
Le sedie disseminate per le strade del quartiere sono centinaia: sono il “luogo di lavoro” di molti ragazzi che fanno le vedette, ovvero “gli occhi dello spaccio“. Un lavoro al servizio delle organizzazioni criminali, che prevede il controllo capillare del territorio. Sono loro che avvisano dell’arrivo di don Antonio Coluccia, o di pattuglie delle Forze dell’Ordine, a San Basilio. Lo fanno al grido, in dialetto romano, di «Levate!». A loro volta, le vedette sono controllate da alcuni ragazzi che girano per il quartiere in bicicletta, con lo scopo di accertare che il lavoro di spaccio prosegua senza intoppi. «La cosa che mi colpisce – racconta – è che questi ragazzi, che non hanno finito le scuole dell’obbligo e quindi in molti casi non sanno ne leggere ne scrivere, si ricordano a chi appartengono le targhe delle macchine che entrano nel quartiere»: un vero e proprio controllo “militare” del territorio.
«Una volta, – prosegue nel suo racconto don Antonio – ho provato a chiedere ad un ragazzo: ma tu andresti a fare il cameriere per 20 euro all’ora? No, perché per fare la vedetta prendi dai 100 ai 150 euro al giorno». Dunque, è difficile immaginare che questi ragazzi, provenienti da famiglie molto povere, possano lasciare la via della criminalità, ovvero un sistema al quale sono abituati fin da piccoli. Ed infatti, spesso, giustificano le loro azioni sottolineando la necessità per cui questo avviene, ricordando l’abbandono, ormai decennale, da parte dello Stato.
La palestra di pugilato
L’obiettivo iniziale del sacerdote è stato quello di promuovere un’attività di contrasto e di prevenzione, sia attraverso le sua presenza che attraverso il dialogo con i cittadini, ma ormai è chiaro che bisogna fare di più. In particolare, attraverso una sinergia che coinvolga tutte le istituzioni. «Al territorio bisogna dare, – sottolinea don Antonio – sono necessarie delle proposte che risveglino culturalmente il quartiere».
È proprio grazie a questa sinergia tra le istituzioni che don Antonio, grazie alla collaborazione delle Fiamme Oro della Polizia di Stato, sta ristrutturando un locale confiscato alla mafia per renderlo una palestra di pugilato, uno sport che spesso cresce nelle periferie e nelle situazioni di povertà. «L’obiettivo – spiega don Antonio – è quello di educare i ragazzi alla legalità attraverso lo sport». Ma non solo: in quel locale sorgerà anche un doposcuola sociale, perché il risveglio di San Basilio deve essere innanzitutto culturale. «È la cultura che salva», sottolinea.
La medicina del Vangelo
Don Antonio Coluccia, prete salentino, vive ormai da anni con una scorta di secondo livello, che lo accompagna ovunque vada. «Ho dovuto rimodulare la mia vita da quando vivo sotto scorta: ogni volta che desidero fare qualcosa devo rapportarmi con il capo scorta», racconta il sacerdote. «Volevo rifiutare, ma poi mi hanno spiegato che c’era un pericolo di vita». Nonostante questo, don Antonio vive una vita da uomo libero: «Lo sono anche se vivo con la scorta, perché sono libero di parlare e di annunciare il Vangelo».
Dal 2012, il sacerdote salentino vive presso la struttura dell’Opera Don Giustino Onlus, da lui stesso fondata. La comunità accoglie giovani con un passato di problemi di droga o di appartenenza alle organizzazioni malavitose e che chiedono di cambiare vita. Qui don Antonio e i suoi ragazzi vivono, pregano, mangiano insieme, proprio come facevano gli Apostoli. «I ragazzi, quando arrivano in questa casa, firmano un patto di legalità, come battezzati, in riferimento al Vangelo, e come cittadini, in riferimento alla Costituzione».
La Parola di Dio e l’Eucarestia sono i principali strumenti con cui don Antonio accompagna i ragazzi della comunità. «Questi ragazzi che troppo spesso vengono giudicati per i loro errori, – sottolinea – quando in realtà è necessario abitare la loro vita per poterne comprenderne la sofferenza. Ed è proprio lì che c’è il Vangelo: come un medico prescrive un antibiotico, così il Vangelo è un antibiotico naturale che guarisce ed aiuta, ma soprattutto che salva».