A cura di Corrado Montagnoli
La Somalia unitaria fu una conseguenza del colonialismo, ma la nazione somala vive da secoli. Quali furono le origini dei moderni somali? Come si svilupparono le principali città-stato commerciali? Che rapporti ebbero i sultanati somali con le vicine potenze? In quale contesto si inserirono gli europei?
La giraffa alla corte dell’Imperatore
All’interno del serraglio di corte degli imperatori cinesi Ming si trovava ogni tipo di animale, anche il più esotico. Il più strano di tutti, un cavallo maculato dal collo lunghissimo era stata acquistato in un mercato incredibile, dove veniva venduto ogni bene di lusso e ogni spezia desiderabile. Proveniva da una ricca città molto lontana, Mogadischu, situata sulle coste orientali dell’Africa, abitate da un popolo che si autodefiniva somalo. La storia della Somalia è sempre stata legata a città che fecero la loro fortuna con il commercio marittimo. Comprese tra la Penisola Arabica, il Corno d’Africa e l’Oceano Indiano, le coste somale erano il naturale punto d’incontro tra occidente e oriente, tra il mondo mediterraneo e l’India.
Quali somali?
Prima di addentrarci nella storia somala è bene fare alcune precisazioni. I somali furono per secoli una nazione prima che uno Stato. Questa nazione si divide in sei grandi famiglie (o clan), di cui due storicamente dedite all’agricoltura e stanziate nel sud dell’attuale Somalia, e quattro tipicamente nomadi e pastorali. Le famiglie rurali ritengono di possedere un antenato comune chiamato Sab, mentre quelle nomadi discendono da Samaale, da cui probabilmente deriva il nome stesso Somalia.
Nonostante i somali siano stanziati in un territorio molto vasto, che dal Mar Rosso segue la costa fino al Kenya e penetra verso l’altopiano etiope, i clan mantennero sempre una forte coesione culturale. La lingua somala (somalo standard) fu il collante che mantenne culturalmente unite le grandi famiglie, preservandone l’integrità anche a seguito delle proficue influenze persiane e arabe.
Quale Somalia?
Non ci fu mai un’autorità politica abbastanza solida da comprendere tutte le genti di cultura somala. La massima espressione della statualità somala fu la città-stato, situata sulla costa per meglio cogliere le opportunità commerciali.
La creazione di uno Stato unitario fu conseguenza del periodo coloniale, terminato nel 1960, quando vennero fusi i territori della Somalia britannica e della Somalia italiana. Questo esperimento unitario terminò violentemente nel 1991 con lo scoppio della guerra civile e la secessione dell’ex porzione britannica.
Quando qui parleremo di Somalia, quindi, intenderemo i territori dell’attuale Repubblica Federale Somala, del Somaliland (Stato nato dalla secessione e non riconosciuto), del Djibouti (l’ex colonia somala francese) e dei territori dell’Ogaden etiope.
Alle origini della storia della Somalia: il paese di Punt
La storia somala affonda le radici in tempi remoti: pitture rupestri e luoghi di sepoltura testimoniano la presenza di civiltà pastorali già a partire dal IV millenio a.C. Ben presto, gli antichi somali si resero conto del vantaggio geografico dell’area. Raggiunto il mare, i pastori si tramutarono in mercanti: fonti antiche ci parlano del fiorente, quanto misterioso per noi, Paese di Punt, o “Terra di Dio” come lo chiamavano gli antichi egizi. Difficile stabilire l’esatta posizione di Punt: secondo gli studiosi, nel II millenio a.C. si estendeva all’incirca nei territori dell’odierna Somalia, del Somaliland, del Djibouti e dell’Ogaden etiope.
Gli antichi somali esportavano oro, incenso, cannella, avorio, ebano e spezie verso le corti dei faraoni d’Egitto, che influenzarono lo stile architettonico di Punt. I mercanti somali frequentavano anche i palazzi micenei e i porti fenici; secondo la Bibbia, i pregiati materiali di Punt decorarono il Tempio di Re Salomone a Gerusalemme. Al giorno d’oggi, la propaggine più settentrionale del Corno d’Africa porta ancora il nome di Puntland, in onore dell’antico regno.
Il misterioso regno dei Macrobi
Punt non è l’unico antico regno somalo circondato di mistero. Erodoto, nel V secolo a.C., riferisce la presenza del Regno di Macrobia, civiltà sorta “all’estremo sud del mondo conosciuto”, tra le coste del “Mare Australe” e il sud dell’Etiopia. Lo storico greco racconta di una civiltà di potenti guerrieri e di abili marinai, di bell’aspetto e prestanti fisicamente. Proprio quest’ultima caratteristica salvò i Macrobi dall’invasione persiana: secondo la leggenda, nel 525 a.C. re Cambise II di Persia pretese la sottomissione di Macrobia. Il re somalo propose una sfida: se Cambise fosse riuscito ad incordare un arco, allora i Persiani sarebbero stati i nuovi dominatori, altrimenti si sarebbero ritirati con imbarazzo, ringraziando gli dei di non essersi mai scontrati con i Macrobi. Nessun sovrano persiano mise mai piede in Somalia.
L’età classica delle città-stato somale
Se il regno di Macrobia è più leggenda che storia, certa è l’importanza che rivestirono numerose città-stato lungo le coste somale. Mentre nel Corno d’Africa settentrionale fioriva l’Impero di Axsum, queste città divennero insostituibile nodo di comunicazione tra occidente e oriente, grazie a proficui rapporti economico-culturali con i persiani e il mondo arabo pre musulmano. Le città-stato commerciarono, nei secoli, con i Fenici, le poleis greche, l’Egitto Tolemaico, i Parti e l’Impero Romano.
Come testimonia il Periplo del Mar Eritreo, documento greco del I secolo d.C., i mercati somali erano passaggio obbligato per le rotte che dal Mediterraneo solcavano i mari fino all’India, Ceylon e l’arcipelago indonesiano. Da qui salpava inoltre la variante marittima della Via della Seta, che congiungeva Roma all’Impero Cinese. Le città più importanti in questa fase furono Malao, Mundus, Mosullon, Tabai, Opone e Saylac, poi conosciuta come Zayla. Fu proprio quest’ultima la “porta” che permise agli arabi di penetrare nelle terre del Corno d’Africa.
Il medioevo della storia della Somalia: il Sultanato di Ifat
I frequenti rapporti con i mercanti persiani e arabi favorirono la rapida diffusione della religione islamica nelle città somale. Mentre a nord l’Impero di Axsum vedeva i suoi ultimi giorni e il Corno d’Africa entrava nella sua fase medievale, le coste somale sul Mar Rosso passarono sotto il controllo dei sultani arabi (VIII-X secolo). I porti settentrionali di Berbera e Zayla aumentarono il proprio potere. Proprio intorno a quest’ultima, nel 940 nacque il Sultanato di Ifat.
Nominalmente dipendente e tributario dell’imperatore etiope, per quasi quattro secoli, Ifat fu la spina nel fianco dei Negus, finché, dopo prolungate e continue guerre religiose, venne definitivamente sconfitto dall’Impero Etiope nel 1415. Alla sua massima estensione, Ifat controllava l’odierno Djibouti, Somaliland e parte dell’Etiopia orientale. Zayla tuttavia rimase il punto focale della resistenza musulmana contro l’Etiopia copta e in breve tempo emerse un’altra entità politica: il Sultanato di Adal.
L’età dell’oro di Mogadishu: i Ming nella storia della Somalia
Contemporaneamente, lungo le coste somale meridionali, il Sultanato di Mogadishu viveva la sua età dell’oro. Fondata nel X secolo dagli arabi, Mogadischu divenne rapidamente il porto islamico più potente e ricco dell’Oceano Indiano. Ibn Battouta, celebre esploratore marocchino che visitò tutto il mondo islamico, nel 1331 definì la città “estremamente grande e opulenta, governata da sultani somali ma abitata da mercanti ugualmente fluenti nelle lingue somale e arabe”.
Mercanti vietnamiti e cinesi frequentavano regolarmente la piazza della città. Nel 1416, Mogadishu inviò ambasciatori e doni alla corte dell’Imperatore cinese Yongle: fu Zheng He, il più famoso navigatore ed esploratore cinese, a ricambiare la cortesia nel 1430. Zheng He ripartì poi con la stiva carica di zebre, cammelli e giraffe destinate al serraglio imperiale della corte Ming.
Una piccola parentesi sul presente: in questi anni in cui la Cina ha nuovamente rivolto la propria attenzione all’Africa, l’insieme delle politiche estere cinesi nei confronti dei paesi africani viene spesso chiamato “diplomazia della giraffa“, in riferimento ai gloriosi viaggi di Zheng He.
Le guerre di religione: il Sultanato di Adal e il Ghazi
A nord invece, tornavano a soffiare venti di guerra, ancora una volta partendo dalla città di Zayla e dal Sultanato di Adal. Mentre gli Ottomani imperversavano nel Mediterraneo e le prime navi portoghesi apparivano all’orizzonte, l’Impero etiope era scosso da profonde contrapposizioni interne, tra città e periferie e tra cristiani e musulmani. Le terre somale erano inquiete. Questo contesto fu il teatro di una spaventosa guerra santa, che sconvolse il Corno d’Africa e che mise a repentaglio l’esistenza stessa dell’Etiopia.
Ahmed Ibn Ibrahim, conosciuto dalle fonti arabe come Al-Ghazi (il “conquistatore”) o come Grañ (il “mancino”, in aramaico) da quelle cristiane, assurse al ruolo di sultano di Adal e guida spirituale. Si diceva di lui: “non chiamatelo né sultano né emiro, egli è l’imam dei veri credenti”. Le ostilità si aprirono nel 1521, quando il Ghazi si rifiutò di pagar tributo al Negus.
Furono gli etiopi a prender l’iniziativa militare ma in pochi anni subirono una serie di catastrofiche disfatte. Sotto lo stendardo del jihad, l’esercito del Ghazi, composto per lo più da somali e dotato di moderne armi da fuoco, conquistò l’Harar, lo Shewa, e l’Amhara. Il centro storico dell’Etiopia venne investito dalle forze dell’Adal e solo a nord, nel Tigrè, il Negus ebbe modo di resistere (1535). Mentre il tessuto sociale etiopico era in rovina e i monasteri cristiani devastati, il Negus chiese aiuto ad un altro regno cristiano: il Portogallo.
L’intervento portoghese e la fine del Jihad
Lisbona, in piena competizione con i mercanti islamici per il controllo dell’Oceano Indiano, acconsentì ad intervenire, non potendo tollerare la presenza di un forte Stato musulmano in Africa orientale. Le forze portoghesi sbarcarono nel 1541, agli ordini di Cristóvão da Gama, figlio del celebre navigatore Vasco. Tuttavia, la superiorità tecnica europea non bastò, nelle prime fasi, a fare la differenza: Etiopi e portoghesi riuscirono a riprendere possesso di aree limitate e Cristóvão rimase ucciso in battaglia.
La fortuna iniziò ad esser favorevole per il Negus quando, nel 1543, il Ghazi venne colpito e ucciso, quasi accidentalmente, da un fucile portoghese. Lo sbandamento delle truppe di Adal diede la possibilità all’Imperatore etiope di respingere lentamente le armate musulmane. La guerra contro Nur Ibn Mugiahid, il successore del Ghazi, si protrasse fino al 1559. La battaglia finale avvenne il 23 marzo 1559, presso Fatagar. Le armate musulmane furono sconfitte ma l’Imperatore cadde in battaglia. Dopo più di trent’anni di ostilità, le due potenze in guerra ne uscirono stremate. L’Adal, quale potenza militare, terminava la sua esperienza.
Il Sultanato di Ajuraan
L’impero somalo più potente del periodo medievale fu senz’altro il Sultanato di Ajuraan. Sorto a partire dal XIII secolo, il regno ereditò negli anni le fortune del Sultanato di Mogadishu. Caratterizzato da una solida amministrazione centrale, Ajuraan si estendeva nell’Ogaden etiope e lungo buona parte delle coste meridionali somale, fino ai confini con il Kenya. Il Sultanato possedeva un forte esercito permanente, armato di moschetti e cannoni forniti dall’Impero Ottomano. I confini erano difesi da una fitta rete di castelli e fortezze, ora in rovina, che ricordano da vicino le costruzioni europee medievali. L’abilità militare permise all’impero Ajuran di resistere con successo al confronto con il Portogallo, potenza europea che nel XVI secolo aveva stabilito la sua presenza lungo le coste del Kenya.
La guerra con il Portogallo
Nel 1542 i portoghesi misero gli occhi sul porto di Mogadishu e tentarono l’occupazione dell’area. La città venne gravemente danneggiata e saccheggiata ma il Sultanato di Ajuraan riuscì a difendersi e costrinse i portoghesi a firmare la pace. Dopo diverse decadi di tensione e di reciproci attacchi corsari, le due potenze ripresero a guerreggiare nel 1580. Lisbona riprovò l’occupazione di Mogadishu ma l’Ajuraan non solo riuscì a difendersi ma passò all’attacco, cacciando i portoghesi dai possedimenti africani di Pate, Mombasa e Kilwa. Nonostante il Portogallo fosse riuscito a recuperare i domini kenyoti, non tentò più alcuna offensiva ai danni delle coste somale. L’impero Ajuraan entrò in declino alla fine del XVII secolo e dalla sua disintegrazione nacquero numerosi piccoli regni, il più importante dei quali fu il Sultanato di Geledi.
Le terre somale all’alba dell’imperialismo
I somali riemersero dalla decolonizzazione con una coscienza nazionale unitaria. Tuttavia, nel XIX secolo non esisteva ancora uno stato somalo. Le coste settentrionali affacciate sul Mar Rosso gravitavano intorno alle città di Berbera e Zayla, che a partire dal XVII secolo conobbero un’età dell’oro, pur rimanendo formalmente influenzate dall’Impero Ottomano. Tra il 1841 e il 1861, le due città, insieme a Tadjoura, costituirono uno stato mercantile unitario ma di breve durata, sotto la guida dell’imprenditore somalo Sharmarke Ali Saleh.
A partire dal 1839, la Gran Bretagna si stabilì ad Aden, sull’altra sponda del Mar Rosso: da quella data le città costiere somale accusarono l’influenza e la competizione commerciale inglese, subendo anche per un breve periodo la dominazione dell’Egitto, al tempo protettorato britannico. Lungo le coste nord orientali, nell’attuale Somaliland, era presente il Sultanato di Warsangali; nella regione del Puntland si stabilì il Sultanato Majeerteen, in perenne conflittualità con il vicino Sultanato di Hobyo. Ancora più a sud, nel Benadir, persisteva il decadente Sultanato di Geledi, al tempo formalmente sottoposto al sultano di Zanzibar. Con l’apertura nel 1869 del Canale di Suez, l’area del Corno d’Africa acquisì nuovo valore strategico, attirando su di sé gli occhi europei.
L’arrivo delle potenze europee
I primi a stabilirsi nell’area furono i francesi, che comprarono la proprietà del porto di Obock nel 1859, base dalla quale nacque, nel 1896, la colonia della “Costa francese dei Somali”, corrispondente all’odierno Djibouti.
Si aggiunsero gli inglesi, che nel 1882 ricevettero dall’Egitto le stazioni commerciali poste sulle sponde somale del Mar Rosso. Successivamente nel 1884, stabilirono un protettorato nel Warsangali, in difesa del golfo di Aden. Come nel caso eritreo, la presenza italiana venne favorita dalla Gran Bretagna, come stratagemma per bilanciare la presenza tedesca nell’area.
La Compagnia Filonardi e l’inizio della presenza italiana
Appena il parlamento approvò l’intenzione di espandersi lungo le coste somale, nel 1885 l’esploratore Antonio Cecchi sbarcò a Zanzibar per trattare con il sultano, ottenendo un primo accordo di amicizia, senza alcuna cessione territoriale. Probabilmente, nelle intenzioni del sultano, vi fu il desiderio di svincolarsi dalle pressanti richieste di Parigi, Londra e Berlino: Roma pareva una potenza molto più gestibile.
L’anno successivo, il finanziere del Banco d’Italia Vincenzo Filonardi accettò l’offerta di Zanzibar di rilevare alcuni porti, tra cui Kysmau e Mogadishu: iniziava così un lento processo di acquisizione del Benadir. Sempre con il benestare britannico, il Regno d’Italia riuscì a ottenere il protettorato sui Sultanati di Majeerteen e Hobyo. Ancora una volta l’artefice fu Filonardi, di certo aiutato dalla presenza di alcune navi militari italiane al largo delle coste somale (1888-1889). Quando l’”affare del Benadir” sembrava siglato, Filonardi ingenuamente insultò il sultano locale: solo grazie all’intervento di Londra, l’imprenditore romano riuscì a chiudere l’accordo. Dal 1893 le bandiere della Compagnia Filonardi, creata ad hoc per la gestione dei territori somali, sventolarono sull’Oceano Indiano.
Dalla Società Anonima Commerciale Italiana del Benadir alla creazione della Colonia della Somalia Italiana
Roma non esercitò, dunque, il controllo diretto sulle terre somale ma, come accadde in Eritrea, si fece scudo con alcune società private, per evitare le critiche degli oppositori in patria. La fortuna della Filonardi terminò presto: sull’orlo della bancarotta e costantemente accusato di inefficienza da parte di Antonio Cecchi, nel 1896 la società dell’imprenditore romano venne sostituita dalla Società Anonima Commerciale Italiana del Benadir (di cui, neanche troppo segretamente, facevano parte parenti di Cecchi). Anche la Società del Benadir ebbe vita breve: Cecchi morì assassinato nel 1897, mentre la società venne chiusa nel 1905 a seguito di scandali relativi al traffico umano, nonostante Filonardi avesse già formalmente abolito la schiavitù nel 1893.
Nel 1908 anche il decadente Sultanato di Geledi divenne protettorato italiano e così anche l’ultimo territorio indipendente somalo. A partire dal 1905, con la chiusura della Società del Benadir, il Regno d’Italia assunse direttamente la guida dei possedimenti d’oltremare. Nel 1908 il Parlamento italiano approvò l’accorpamento di tutti i domini somali in un’unica entità: nasceva così la Colonia della Somalia Italiana.
Per approfondire
- Giampaolo Calchi Novati, Il Corno d’Africa nella storia e nella politica. Etiopia, Somalia e Eritrea fra nazionalismi, sottosviluppo e guerra, SEI, 1994
- I.M. Lewis, A Modern History of Somalia. Nation and State in the Horn of Africa, James Currey, 2002
- Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002
Le fotografie sono state tratte dall’Archivio Fotografico della Società Geografica Italiana, consultabile qui