Se nella vostra vita non avete avuto la fortuna di vedere sciare Alberto Tomba, vi siete persi qualcosa. Dopo Sordi, se si pensa all’Albertone nazionale non c’è possibilità di sbagliarsi, è di lui che si parla. Un personaggio istrionico, un guascone, se c’è uno stereotipo dello “sborone” bolognese, lui lo rappresenta perfettamente. Ma soprattutto è stato un atleta fantastico, un campione di quelli che ne nascono pochi, un talento mostruoso unito a una potenza fisica devastante e col pensiero più veloce della luce. Oggi, 25 anni fa, coglieva una delle sue più belle vittorie in carriera, nello Slalom Speciale ai Mondiali in Sierra Nevada.
Il 23 dicembre 1984 è una domenica. A Milano è certamente una frenetica giornata di acquisti dell’ultimo momento, a due giorni dal Natale. In quel pomeriggio è in programma una gara di sci, proprio nel capoluogo lombardo. Non proprio una gara, ma piuttosto un’esibizione. Al parco Monte Stella, è stata ricavata una collinetta artificiale con la risulta degli scavi effettuati per la costruzione della linea metropolitana. Per i milanesi quella diventerà per sempre “la montagnetta”, che, tra parentesi, oggi è uno dei luoghi sacri per i runners meneghini. Uno degli sponsor della Nazionale Azzurra di sci, ha voluto questo evento per celebrare insieme ai tifosi l’avvento delle feste, portando in città i campioni dello sport invernale per eccellenza. È in programma uno slalom parallelo: scendono due atleti alla volta, su un percorso parallelo appunto, il primo a tagliare il traguardo passa al turno successivo, come in un tabellone di tipo tennistico, fino ad arrivare alla finale.
Solo un anno prima c’era stata una delle nevicate più clamorose della storia della città, ma quel giorno la temperatura è quasi primaverile, occorre quindi imbiancare la Montagnetta con neve artificiale. Per rimpolpare la starting list, vengono invitati anche alcuni atleti della squadra B della Nazionale, tra i quali uno diciottenne con un cognome che a scuola certamente non gli avrà reso la vita facile: Tomba. Alberto Tomba. Quello sconosciuto deve sentirsi a suo agio in quella stranissima location, perché uno dopo l’altro elimina tutti gli avversari e vince, nella sorpresa generale. La Gazzetta dello Sport probabilmente non ritiene importante questo exploit, tanto è vero che nel titolo del pezzo che parla della manifestazione, l’indomani, non cita nemmeno il nome del vincitore. In fondo non è una gara di Coppa del Mondo.
Alberto, invece, che ben presto tutti impareranno a conoscere, considererà per sempre quella come la sua prima vittoria assoluta, nonostante non fosse una gara ufficiale. Nato a Castel de’ Britti, in provincia di Bologna, il 19 dicembre 1966, le colline, artificiali o naturali che fossero, evidentemente erano nel suo destino. Lui e il fratello Marco sono due appassionati di sport, ne praticano diversi, tra i quali lo sci. A Bologna però non ci sono montagne, così d’inverno quando cade un po’ di neve sulla collinetta vicino alla loro casa, la innaffiano d’acqua, aspettando che durante la notte la morbida coltre ghiacci, dando così vita a sfrenate discese l’indomani. Il padre iscrive entrambi al CAI. Nonostante la sua giovane età, Alberto ha un talento e una personalità incredibile. Ricorda Flavio Roda, che nel 2012 diventerà Presidente della Federazione Sport Invernali: «Dalle mie parti, a Corno alle Scale, c’era una gara giovanile, facevo da apripista. Alberto avrà avuto al massimo 10 anni, sarebbe sceso col pettorale numero uno. Poco prima di cominciare la discesa sento quel ragazzino che mi dice di sbrigarmi, altrimenti mi sarebbe passato sopra».
Tomba la bomba, come verrà presto soprannominato, è uno sciatore eccezionale. Il fisico è possente, sembra più un discesista, invece eccelle nelle discipline tecniche: Slalom Speciale e Gigante. In carriera coglierà 50 successi in Coppa del Mondo, conquistando 8 coppe di specialità e una assoluta. Nel 1987 arrivano i primi risultati importanti: la prima vera vittoria la coglie nello Slalom Speciale di Sestriere, seguita da una medaglia di bronzo ai mondiali di Crans Montana, in Gigante. Il 1988 è l’anno in cui si fa conoscere al grande pubblico: va vicinissimo a conquistare la Coppa del Mondo Generale, resta in vetta alla classifica per quasi tutta la stagione, ma nelle ultime 3 gare cade due volte e Zurbriggen lo scavalca, aggiudicandosi il trofeo. In compenso quello stesso anno alle Olimpiadi di Calgary vince due medaglie d’oro. Clamoroso, per l’epoca (ma forse lo sarebbe anche oggi), ciò che accadde al palinsesto Rai, che la stessa sera in cui Tomba si accinge a vincere il secondo oro, prevede la finale del Festival di Sanremo, sul primo canale. La manifestazione canora si interrompe per seguire la seconda manche, che viene trasmessa sul grande schermo dell’Ariston, a cui segue l’ovazione di tutto il teatro quando l’azzurro trionfa.
Questo episodio, dimostra come Tomba sia stato uno di quegli sportivi andati al di là dello sport stesso, divenendo icona e vero e proprio fenomeno di costume. Un po’ come accadeva a Muhammad Alì, nonostante fosse molto amato per la sua indubbia classe, una parte del pubblico detestava i suoi atteggiamenti molto, troppo spavaldi. Così gli italiani, la domenica, si svegliavano alle 8 di mattina, chi per vederlo vincere e chi per vederlo mancare una porta o ruzzolare giù per un pendio. Nel 1989 è atteso al varco da entrambe le fazioni, ma a gioire sono solo i suoi detrattori: si frattura una clavicola in seguito a una caduta, compromettendo la stagione. Poche soddisfazioni anche nel 1990 e nel 1991, mentre nel 1992 in pratica si assiste alla replica dl quanto accaduto nel 1988. Vince altre due medaglie alle Olimpiadi di Albertville, questa volta una d’oro e una d’argento, perdendo nuovamente la Coppa del Mondo per un soffio. Questa volta a beffarlo è quasi un parvenu, lo svizzero Paul Accola, autore di una stagione incredibile ma che poi scompare dai radar. Accola, che al contrario di Alberto disputa tutte e quattro le specialità, coglie più che altro piazzamenti. L’italiano, pur vincendo un numero maggiore di gare, si piazza alle spalle dell’elvetico.
Nel 1994 vince l’ennesima medaglia, l’ultima alle Olimpiadi: è argento nello Speciale. Poi nel 1995, finalmente, vince la Coppa del Mondo di sci al termine di una stagione in cui pratica vince tutte le gare a cui partecipa: nessuno può raggiungerlo questa volta, in cima alla classifica, nemmeno i combinatisti. Dopo aver conquistato l’agognato trofeo, discende a valle sciando praticamente in costume da bagno. Poi dal podio scorge un fotografo che qualche settimana prima lo aveva paparazzato e gli lancia addosso la coppa, che è fatta in cristallo e va in mille pezzi, ferendo il malcapitato. Servirà un accordo economico extragiudiziale per non affrontare il processo. Ecco, le mattane: non sono gradite dai suoi compagni di Nazionale, fatta perlopiù da gente cresciuta in montagna, persone silenziose, introverse, disciplinate. Una sera, durante un ritiro, arriva alla cena con un’ora di ritardo, vestito in giacca e cravatta perché reduce da un appuntamento chissà dove. Mentre gli altri sono in tuta e sorseggiano brodo, lui ordina bistecche. Pare ne mangerà 5. «Avevo fame», dirà. È facile capire come la convivenza tra loro non sia solo difficile, ma decisamente impossibile, così la federazione acconsente affinché Alberto abbia uno staff tutto suo.
In Coppa del Mondo, dopo il successo del 1995 la morsa si allenta, servirebbe un’altra annata impeccabile per ripetersi, ma Alberto è stanco del sacrificio che comporta il duro allenamento, non ha più la spinta necessaria, forse neanche la fame, per disputare un’altra stagione da cannibale. Nel 1995 si sarebbero dovuti disputare anche i Mondiali di Sci, in Sierra Nevada. Ma la scarsità di neve caduta induce a rinviare la manifestazione di un anno. Molti pensano sia un peccato, Tomba avrebbe quasi sicuramente conquistato l’oro mondiale, l’unico che nella sua bacheca non ha ancora trovato posto. Invece, il 1996 lo vede comparsa e non protagonista, vince una solo gara in coppa, sembra difficile immaginarlo sul gradino più alto del podio ai mondiali.
Il 23 febbraio si aggiudica la medaglia d’oro nello Slalom Gigante, sfatando così l’ultimo tabù della sua carriera. Il capolavoro però, l’affresco che resterà impresso nella memoria degli appassionati, lo dipinge due giorni più tardi, il 25 febbraio 1996. Alberto al termine della prima manche è sesto, distanziato di 81 centesimi dal primo, il norvegese Jagge. Tutti sperano in una seconda manche migliore, la vittoria tuttavia appare irraggiungibile. Si scende nell’ordine di classifica alla rovescia, quindi Alberto sarà il sestultimo. Esce dal cancelleto come una furia, una tigre delle nevi, la farinosa coltre che solleva è molta, ma non è attrito, quanto piuttosto la straordinaria pressione che è capace di esercitare sui suoi attrezzi, cosa che gli permette di guadagnare velocità e poi dribblare rapidamente i paletti che si susseguono con la rapidità dei battiti di ciglia, grazie a cambi di direzione che solo i suoi quadricipiti rendono possibili. Al traguardo è primo, ma ora devono scendere i primi cinque. Il telecronista Rai è certo: «Non vincerà, ma è stato autore di una seconda manche pazzesca».
Anche i suoi tifosi del Tomba Club Castel de’ Britti, interpellati da Ivana Vaccari, pensano che Alberto possa ambire a salire sul podio. Invece ,uno dopo l’altro, Michael Von Grunighen, Jure Kosir, Sebastian Amiez, Mario Reiter e Finn Christina Jagge finiscono alle spalle del bolognese. È una vittoria incredibile, una delle più belle della sua carriera. Sarà anche una delle ultime. Dopo altri due anni, trascorsi più che altro a vivacchiare sulle piste, lascerà vacanti sci e scarponi. Proverà con scarso successo la carriera cinematografica: il suo tutt’altro che indimenticabile “Alex l’ariete” è allo stesso tempo prima pietra e pietra… tombale, sulle velleità artistiche. Ciò che però ha fatto coi colori azzurri sulle nevi di tutto il mondo, resterà inimitabile a lungo.