Dal film alla vera storia” è la rubrica mensile di The Pitch – Olympia, che svela retroscena, curiosità, personaggi, fatti reali che caratterizzano e differenziano le trasposizioni cinematografiche delle più belle storie dello sport mondiale. Un excursus tra realtà e fantasia, in cui la prosa del reale diventa poesia della finzione e su cui i maestri del cinema appongono la ciliegina finale, grazie alle magistrali interpretazioni dei protagonisti e la firma d’autore di registi e sceneggiatori.

Undici secondi, vi restano dieci secondi, stanno contando alla rovescia in questo momento… Morrow passa a Silk, restano cinque secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!

Al Micheals

Queste sono le parole di Al Michaels, commentatore sportivo per la ABC alle Olimpiadi invernali di Lake Placid 1980, mentre davanti ai suoi occhi scorrono gli ultimi istanti della partita di hockey su ghiaccio tra USA-URSS.

Se il nostro Nando Martellini mise la firma in calce al Mondiale di Spagna 1982 col suo triplice «Campioni del mondo», se Victor Hugo Morales trasformò in commovente letteratura il secondo gol di Maradona all’Inghilterra al Mondiale di Mexico 1986, Al Michaels regala alla storia gli ultimi 10 secondi più emozionanti di sempre. Lo sport è gonfio della retorica del “se vuoi puoi” e di tutti i suoi derivati, questa però resta una storia singolare, nel vero senso della parola, particolare perché irripetibile. Sfugge alla reiterata e banale iperbole del racconto sportivo. Herb Brooks, colui che per primo ha creduto nella realizzazione di un sogno apparentemente impossibile, diceva ai suoi ragazzi: «Se pensate di vincere solo con il talento, signori, devo dirvi che non avete abbastanza talento». Questa è la storia della nazionale statunitense di hockey e di come, contro ogni pronostico, vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Lake Placid, nel 1980. La loro impresa passò alla storia come Miracle on ice, il film che la racconta è “Miracle“.

Miracle è un film della Walt Disney Production, girato in soli 3 mesi nel corso del 2003 ed uscito nella sale nel 2004. La pellicola, diretta da Gavin O’ Connors, è interpretata da Kurt Russel, nel ruolo del protagonista, il coach Herb Brooks, da Patricia Clarkson che qui veste i panni della moglie Patty e che abbiamo già potuto apprezzare ne “Gli Intoccabili“, “Il Miglio verde” e “Basta che funzioni“, solo per citare alcune delle sue più celebri interpretazioni, e da Noah Emmerich, anche lui già più volte apparso sul grande schermo in film come “Pazzi in Alabama“, “The Truman show” e “Pride and Glory“. Non ha ricevuto particolari premi o riconoscimenti, resta il fatto che è un bellissimo sports-movie, si fa guardare volentieri, anche più volte.

Gli allenamenti dei ragazzi di Herb Brooks, in preparazione alla spedizione olimpica di Lake Placid 1980.

Jim Craig, Jack O’Callahan, Rob McClanahan, Mark Johnson, Mike Ramsey, Mark Pavelich, Steve Christoff, Phil Verchota, Mike Eruzione. Questi sono solo alcuni dei componenti della nazionale di hockey a stelle e strisce che sta per partecipare alle Olimpiadi di Lake Placid. Sono tutti studenti universitari, protagonisti nel campionato NCAA. Herb Brooks, coach dell’università del Minnesota, ha vinto il titolo per ben 3 volte, nel 1974, nel 1976 e nel 1979 e in quell’estate la federazione, che ha bisogno di un nuovo tecnico che possa guidare la squadra USA alle Olimpiadi, lo sceglie per questo ruolo. Ma solo perché i 2 allenatori interpellati prima di lui, ritenendo il compito troppo gravoso, declinano l’offerta. Non solo: non gli viene nemmeno chiesto di vincere, ma solo di migliorare la quinta posizione ottenuta nel 1976. A Brooks, comunque, tutto questo non interessa, vuole fortissimamente quell’incarico e alla fine lo ottiene.

Herb ha un chiodo fisso: battere l’Unione Sovietica. Sconfiggere con una pattuglia di studenti una squadra che ha già vinto la medaglia d’oro nel 1956, nel 1964, nel 1968, nel 1972 e nel 1976. Vincere contro giocatori che vivono e si allenano insieme da anni, e che qualche mese prima dell’inizio dei Giochi hanno battuto agevolmente la squadra All-Star della NHL, per 6-0. Nessuno lo crede nemmeno lontanamente possibile. Sarebbe, per fare un esempio banale, come se la Nazionale italiana di basket del CUS battesse il Dream Team alle Olimpiadi. Vero, non è proprio così, i campionati universitari americani sono l’anticamera del professionismo, non lo si può equiparare all’italico Cus, però la sproporzione in termini di valori non è portata all’estremo, anzi, è molto realistica.

Ma perché l’URSS può mandare i suoi giocatori migliori alle Olimpiadi, mentre gli USA solo degli studenti? Fino all’edizione del 1988 era vietata la partecipazione degli atleti professionisti, solo i dilettanti potevano prendere parte alle gare. In Unione Sovietica però lo sport professionistico non è contemplato. Gli sportivi, in teoria, hanno tutti un’altra occupazione, anche quelli di altissimo livello, come sono appunto quelli della nazionale di hockey. Ci sono diverse forme di dilettantismo, se ogni Paese regolamenta lo sport in modo diverso e in ogni caso, queste erano le regole all’epoca. Ad aumentare la pressione ci si mette anche la Guerra Fredda. L’Urss invade l’Afghanistan, si teme per il fragile equilibrio del pianeta. Gli americani non intervengono in modo diretto, ma fanno pervenire armi ai mujaheddin, affinché possano resistere all’invasione. Il Presidente Carter, inoltre, minaccia il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca previste per l’estate del 1980, cosa che si verificherà. Si pensa che i sovietici possano ricambiare lo sgarbo in quel di Lake Placid, ma quando dal Cremlino annunciano che invieranno tutti i loro atleti migliori, lo sport tira un sospiro di sollievo.

Il compito più difficile di un allenatore che guida una nazionale: rendere squadra un insieme di giocatori.

In una altalena di sentimenti si arriva all’apertura dei Giochi. Per Herb Brooks non è stato facile fare dei suoi ragazzi una squadra: ha messo insieme giocatori che provengono da università che non si amano tra loro, con parecchi ruvidi trascorsi sul ghiaccio. Spiccano soprattutto le rivalità tra Minnesota e Boston, e tra quest’ultimi e l’ateneo del Wisconsin. Alla fine, però, è riuscito a trovare la giusta sintonia tra di loro, anche grazie al contributo del capitano della squadra: Mike Eruzione. Mike è il coprotagonista del racconto. Di chiare origini italiane, è stato in qualche modo imparentato con il nostro Giorgio Chinaglia: sua cugina Connie, infatti, sposerà in prime nozze Long John. Fedelissimo di Herb, Eruzione gioca sotto la sua guida per 5 anni nei Golden Gophers, squadra dell’università del Minnesota. Insieme vincono 2 campionati. Non ha offerte per passare nella NHL ed il 1979 è l’ultimo anno a sua disposizione per giocare nell’NCAA. È prossimo al ritiro quando, a sorpresa, Brooks lo inserisce nella lista dei convocati. Rizzo, come verrà soprannominato dai compagni, è forse quello con meno talento, ma coi suoi 25 anni è anche quello con più esperienza. Le sue indiscusse doti di leadership, lo pongono come perfetto anello di congiunzione tra la squadra e il suo tecnico. È tutto pronto. Si accettano miracoli.

L’URSS non tradisce le attese, nel suo girone eliminatorio vince tutte le partite, alcune con risultati davvero imbarazzanti: infligge 18 gol al Giappone, 17 all’Olanda e 8 alla Polonia. Batte poi anche Finlandia e Canada, chiudendo la prima fase in testa alla classifica con 51 gol realizzati. Seconda si piazza la Finlandia, anch’essa ammessa alla seconda fase. Gli Stati Uniti invece hanno un debutto non facile contro Svezia, il risultato finale è di 2-2. Potrebbe essere un pareggio accettabile, ma Brooks è furioso con i suoi. Nelle partite successive però fanno filotto anche loro, avendo la meglio su Norvegia, Romania, Germania Ovest e sorprendentemente anche sulla Cecoslovacchia, ritenuta la seconda forza del torneo. Gli Usa chiudono in testa il proprio girone, passando al secondo turno insieme alla Svezia.

Il discorso di Herb Brooks nello spogliatoio del palazzo del ghiaccio di Lake Placid, prima della sfida contro l’URSS. 22 febbraio 1980.

Il 22 febbraio 1980 è il giorno che tutti gli americani stanno aspettando. O forse no. Sembra incredibile, ma la partita che si disputò nel pomeriggio venne trasmessa soltanto in differita, a tarda sera. Questo dimostra come, nonostante gli USA fossero arrivati al girone delle medaglie, il grado di fiducia restasse basso, anche negli addetti ai lavori. In compenso il tifo all’Olympic Field House Arena, oggi Herb Brooks Arena, è incandescente. E tutto per i padroni di casa, naturalmente. Dopo pochi minuti, Vladimir Krutov devia il disco scagliato da Kasatonov mandandolo fuori dalla portata del portiere, Jim Craig. Tutto sembra mettersi nel modo previsto per i sovietici, ma il pareggio ad opera di Schneider è inatteso e naturalmente sgradito al tecnico Tikhonov, che comunque, probabilmente, non si sta preoccupando eccessivamente. Infatti, Makarov realizza la seconda rete per i suoi. Manca un solo secondo alla fine della prima frazione quando Dave Cristian scaglia una sassata verso Tretiak, il portiere russo respinge, ma sulla ribattuta è pronto Mark Johnson: è 2-2. Intanto sulla panchina dell’URSS vi è un misto di rabbia e incredulità: protestano perché sono certi che il tempo sia scaduto quando il disco supera la riga, ma gli arbitri convalidano.

Tikhonov forse pensa che la colpa sia tutta del suo estremo difensore, titolarissimo da molti anni, così nel secondo tempo viene sostituito da Mishkyn. Fetisov, che giocò quella partita e che sarebbe diventato Ministro dello Sport sotto la presidenza Putin, sosterrà che quella decisione consegnò la vittoria agli americani. Malcev, comunque, non vuole sentire ragioni e porta avanti la sua squadra per la terza volta. Finisce anche il secondo periodo e inizia il terzo. A Mark Johnson sembra invece non importare chi gioca in porta, infatti, fa gol anche Myshkyn: 3-3. I sovietici riprendono ad attaccare furiosamente, arrivano da tutte le zone della pista e scagliano dischi a ripetizione verso la porta degli Usa, ma Craig ha eretto un muro. Un vero e proprio catenaccio per la squadra di Books: in fondo un pareggio contro i più forti del mondo sarebbe un bellissimo risultato. Ora però, se questa non fosse una storia vera, verrebbe da pensare che essendo un film Disney, il finale non possa che essere… disneyano. Ma come abbiamo già visto tante altre volte, la realtà sa essere più fantasiosa della fantasia stessa. Il capitano, Il luogotenente di Herb Brooks, quello dal talento più discutibile ormai a un passo dal ritiro, riceve il disco completamente libero da avversari, realizzando il gol vincente: Mike Eruzione, manda in paradiso compagni e tifosi. USA-URSS finisce 4-3.

Le immagini dell’originale Miracle on ice. 22 febbraio 1980, Lake Placid.

Nell’immaginario collettivo e volendo scrivere un vero e proprio happy ending, quella tra Stati Uniti e Urss sarebbe dovuta essere la finale. Ma non è stato così. Non è stata nemmeno la semifinale, come viene narrato nel film. Proprio come al Mondiale di calcio del 1950, vi è un girone con quattro squadre finaliste, sarà poi la classifica a determinare la squadra vincente. Tra l’altro, non è stata nemmeno la partita decisiva, cioè l’ultima, come invece accadde tra Brasile e Uruguay, il giorno del Maracanazo. Gli Usa batteranno anche la Finlandia nell’ultima partita, col risultato di 2-1, classificandosi in prima posizione e conquistando l’oro.

Mike Eruzione sarà l’unico dei suoi compagni a ritirarsi al termine delle Olimpiadi, non diventando mai un professionista. Disse che nessuna altra vittoria avrebbe potuto regalargli una emozione più grande. Mark Johnson invece sarà l’unico a vincere la Stanley Cup, lo farà per ben 3 volte. Giocherà anche in Italia, all’Hockey Milano. L’URSS tornerà a conquistare l’oro olimpico nel 1984, confermandosi anche nel 1988 e nel 1992, dopo di che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si scioglierà per sempre. Brooks andrà vicino a bissare il successo alle Olimpiadi del 2002, a Salt Lake City, venendo sconfitto soltanto in finale, contro il Canada. Un anno più tardi, sarà vittima di un tragico incidente stradale e perderà la vita. Non vedrà mai questo il film, ma come i produttori scriveranno sui titoli di coda: «Non l’ha visto, l’ha vissuto».

Do you belive in miracles?
La storia della medaglia d’oro degli USA nell’hockey su ghiaccio a Lake Placid 1980.

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Giuseppe Di Girolamo
La passione per lo sport e la scrittura hanno tracciato un indelebile solco, che non ha solo segnato la mia vita, ma l'ha decisamente indirizzata e caratterizzata. Scrivo sul sito il corsivosportivo.it, portale di interviste ed editoriali. All’interno di esso ho aperto la rubrica Off Peak, che tratta di argomenti vari, quali ad esempio, costume, politica, società, cultura e spettacoli. Nel corso degli scorsi anni alcuni dei miei articoli sono apparsi anche sul sito www.gazzetta.it, inoltre sono stato per un breve perdiofo un collaboratore della rivista “FUORIGIOCO” e del sito Gazzettafannews.it. Ho recentemente conseguito un master in giornalismo sportivo, proprio presso Rcs-Gazzetta dello Sport. Le mie collaborazione attualmente in corso riguardano il sito The Pitch e la rivista settimanale Noi Brugherio. Lo sport oltre a raccontarlo, lo pratico: sono infatti un podista a livello amatoriale, ho corso molte della maratone più importanti al mondo tra le quali: Boston, New York, Berlino, Londra, Roma, Valencia e Siviglia.