Una delle novità annunciate fin da subito da Mario Draghi è il Ministero della Transizione Ecologica. Per capire cosa significa questo nuovo ministero abbiamo intevistato Mattia Mezzetti di L’EcoPost.

A cura di Francesco Chirico

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Che cosa significa per l’ambiente avere Draghi come premier?

«Poco ci è dato sapere sulle posizioni personali del neo-premier Mario Draghi in tema d’ambiente. Molto importante, però, sembrerebbe essere l’impronta green che l’ex presidente BCE vuole dare al suo governo fresco di giuramento.

La questione ambientale, infatti, sembra essere tra le più centrali per l’esecutivo, addirittura una delle prioritarie. Com’è noto, qualche giorno prima dell’insediamento del 13 febbraio, il premier incaricato promise a Beppe Grillo, capofila della delegazione M5S alle consultazioni, la creazione di un Ministero della Transizione Ecologica che non solo sostituisse il Minambiente, bensì incamerasse anche alcune mansioni energetiche e di tutela precedentemente di pertinenza dei dicasteri allo Sviluppo Economico e alle Infrastrutture e ai Trasporti. In realtà, il nuovo ministero appare piuttosto ridimensionato rispetto a quelle che erano le richieste dei pentastellati.

La fondazione del dicastero è ascrivibile alla necessità di disporre di uffici preposti all’intercetto degli ampi fondi Recovery che l’UE assegnerà nei prossimi mesi, per molti, però, il motivo principale di questa istituzione sarebbe quello di accontentare Grillo e far salire anche il Movimento sulla barca del governo, allargandone la maggioranza.

La svolta verde è davvero così in alto nella to-do list di Mario Draghi? Pressoché ogni partito, nella conferenza stampa al termine delle sue consultazioni con il premier, ha sottolineato come l’ambiente fosse stato uno dei temi più dibattuti durante quegli incontri. Il fatto che poi Draghi abbia insistito per incontrare Legambiente, WWF e Greenpeace fa ben sperare. L’annuncio della creazione del Ministero, come qualcuno ricorderà, fu dato proprio da Donatella Bianchi, presidentessa di WWF.

Ciò posto, è presto per esultare.

Ormai sono anni che i partiti italiani, da questa o quell’altra parte del fiume, si riempiono la bocca di proclami per l’ambiente. Nel concreto, però, il clima non è mai stato davvero prioritario per nessuno. Per quanto ne sappiamo, Draghi potrebbe essere soltanto l’ultimo esponente ad autografare questa triste lista. Ricordiamo infatti che la sua maggioranza è composita in maniera tale da trovarsi davvero poco d’accordo: la Lega vuole un ambientalismo senza ideologie – forse sapranno loro che diamine significhi questa definizione – mentre PD e M5S hanno fatto del verde un vero e proprio cavallo di battaglia. Sullo sfondo c’è anche Italia Viva che propugna continuamente la sua voglia di cantieri.

D’altra parte, i tempi appaiono ormai maturi – tanto che presto marciranno – per impegnarsi in maniera seria e concreta su questo fronte. L’UE spinge forte in direzione di una svolta verde e il premier è molto in sintonia con chi ha i bottoni in mano a Bruxelles; l’Italia inoltre avrà un ruolo di primo piano nell’organizzazione di COP26, la conferenza sul clima che si terrà a Glasgow tra qualche mese. Il nostro Paese inizierà a breve anche la sua presidenza della conferenza G20».

Qual è il significato di un Ministero per la Transizione Ecologica? Ci sono esempi all’estero?

«Il significato teorico di questo ministero è davvero importante. Si tratta di una struttura preposta a fare da timoniere in un’epoca storica come quella che viviamo, in cui è di fondamentale importanza lasciare le fonti energetiche fossili e nocive negli specchietti retrovisori. Un simile dicastero – ben organizzato e non amputato in alcuna delle sue mansioni, s’intende – potrebbe superare gli attriti, le incomprensioni e i vuoti decisionali che limitano la celerità delle decisioni ambientali. Spesso e volentieri, infatti, accade che un decreto resti a far polvere sulle scrivanie di questo o quell’altro ministero in quanto per procedere occorre un nulla osta dal Minambiente prima, dal Mise poi e infine da altri funzionari. E nel frattempo il nostro Paese si avvelena.

La transizione ecologica è una chiave dorata, capace di aprire la serratura che ci separa da un futuro pulito e sostenibile. Tale serratura, però, deve essere trovata oliata e non seccata dalle pretese industriali e lobbistiche che hanno ogni interesse a prolungare l’agonia del fossile.

All’estero abbiamo alcuni esempi virtuosi: in Europa i migliori provengono da Austria e Spagna. Entrambi questi governi hanno dato fondi e potere decisionale a questi enti, dando loro prestigio e giurisdizione su moltissime norme relative al clima. A Vienna – soprattutto, data la competenza e la cura della Verde Leonore Gewessler – si stanno già vedendo ottimi risultati; a Madrid, probabilmente, accadrà presto lo stesso. Teresa Ribera Rodriguez guida il Ministero alla Transizione e alla Sfida Democratica in Spagna e la sua azione, instancabile, sta già contribuendo alla diffusione a macchia d’olio delle fonti rinnovabili. In Francia, Macron ha istituito un ministero che si occupi di transizione – anche in questo caso guidato dai Verdi, nella persona di Barbara Pompili, dopo la breve parentesi del celebre ecologista Nicolas Hulot – ma il dipartimento appare avere le mani ben più legate. Si pensi che Hulot si dimise poiché non riusciva a resistere alle pressioni degli industriali e si sentiva abbandonato dalla politica.

All’estero, invece, va preso in considerazione il bell’esempio della Costa Rica, Paese attentissimo alla tutela e salvaguardia ambientale, il cui Ministero alla Transizione Ecologica gode di prestigio e potere senza alcun pari, ad oggi.»

Roberto Cingolani, il nuovo Ministro dell’Ambiente della Transizione Ecologica, a colloquio con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo scorso 15 novembre – Foto Ufficio Stampa Quirinale/Paolo Giandotti/LaPresse 15-05-2018 Genova

Di quale autonomia godrà il ministro Cingolani? Sarà sottoposto ai diktat dei suoi omologhi all’economia e allo sviluppo economico?

«Ci auguriamo che sia il Ministero alla Transizione a fare da metronomo agli altri due. È però legittimo dubitarne, dal momento che le scrivanie sono andate a due figure di peso come Giancarlo Giorgetti (sviluppo economico), sempre più influente all’interno della Lega, e a Daniele Franco, fedelissimo di Draghi e con una lunga carriera in Banca d’Italia alle spalle.

La risposta a tale domanda andrebbe fatta a un indovino, visti i tanti dubbi che aleggiano attorno alla nascita di questo esecutivo e la presenza di ben 23 ministeri. Dato il passato di Draghi e il difficile momento storico è possibile che l’economia abbia la priorità su tutto e tracci le linee da seguire per ogni dicastero. Auspichiamo che le decisioni prese dal Mef siano sempre allineate con quelle proposte dai colleghi preposti alla transizione ecologica.»