Questo approfondimento è stato realizzato con il contributo del progetto Una Donna A Caso e di Vera Gheno, sociolinguista e autrice di Femminili singolari.
Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia.
Oggi parliamo della nomina di Ngozi Okonjo-Iweala alla direzione della WTO (World Trade Organization – l’Organizzazione Mondiale per il Commercio).
Durante il mese di agosto 2020 Roberto Azevêdo, allora a capo della WTO, ha dato le dimissioni, con un anno di anticipo rispetto al termine naturale del suo mandato. Sono serviti mesi di trattative e sedute negoziali prima di approdare al nome di chi guiderà l’Organizzazione. Ngozi Okonjo-Iweala, in realtà, aveva già una forte base di consenso (162 Stati membri su 164) per diventare direttrice generale, ma si è scontrata con il mancato sostegno di Trump e della Corea del Sud, che supportava la connazionale Yoo Myung-hee, attuale Ministra del Commercio. Okonjo-Iweala, quindi, è stata nominata con mesi di ritardo proprio a causa dell’ex presidente degli USA, che imponendo il veto ha bloccato le attività della WTO, imputando all’Organizzazione una politica a favore dell’economia cinese e a svantaggio di quella americana. Quando all’inizio di febbraio la nuova amministrazione statunitense Biden-Harris ha dato il suo supporto alla candidata nigeriana, il suo nuovo ruolo di direttrice generale è stato confermato. Per entrare in vigore mancano solo le ultime procedure.
Chi è Okonjo-Iweala? Un’economista che ha lavorato per 25 anni alla Banca Mondiale e ha presieduto a lungo il consiglio della Gavi (Global Alliance for Vaccines and Immunisation). Inoltre ha ottenuto due mandati come Ministra delle Finanze e uno come Ministra degli Esteri in Nigeria, la 22esima economia mondiale per PIL (l’Italia è all’11esimo posto) e tra le prime del continente africano. I suoi obiettivi in questi anni sono stati il contrasto della corruzione e la riduzione del debito accumulato nei confronti del Club di Parigi. Oltre a presiedere diversi enti che promuovono lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico nel continente africano, è la fondatrice del NOI-Polls, dedicato a intercettare l’opinione delle persone nigeriane su svariati temi socioeconomici, e del C-SEA (Center for the Study of Economies of Africa), con sede ad Abuja. Si è laureata in Economia a Harvard e ha conseguito il PhD al Massachussetts Institute of Technology. Inoltre ha ricevuto quindici lauree ad honorem da università di tutto il mondo.
La notizia della sua nomina a direttrice generale della WTO è stata data il 6 febbraio. Nonostante molte testate, come ad esempio La Stampa e Il Messaggero, non abbiano inserito il suo nome nel titolo dell’articolo, La Repubblica condensa nell’apertura della notizia tutti i dati fondamentali: il nome completo di Ngozi Okonjo-Iweala, il ruolo di Biden e, naturalmente, il contesto della WTO. Proseguendo nel testo, si sceglie di declinare sempre al maschile il ruolo della neo direttrice dell’Organizzazione e anche quello della candidata concorrente, Yoo Myung-hee, definita «il ministro del Commercio sudcoreano».
Il Corriere della Sera, invece, sceglie come titolo «Wto: chi è Ngozi Okonjo-Iweala, la (prima) signora del commercio mondiale». Non ne viene indicata la carica, ma si opta per un generico «signora», che forse richiama il Madam inglese ma che in italiano ha poco di professionale. Di Roberto Azevêdo, il precedente direttore, avrebbero scritto lo stesso? L’articolo è inoltre strutturato in vari box di approfondimento e quello che riporta i fatti essenziali della notizia ha come titolo «La presidente», declinato al femminile. Siamo davanti a una delle poche testate ad approfondire la figura dell’economista, raccontando del suo ruolo nella società di consulenza Lazard, dell’incarico ricevuto dall’OMS per l’acceleratore Act e dall’Unione Africana per il Covid-19. Il profilo della neodirettrice della WTO viene chiuso, però, con queste parole: «È orgogliosa e grata per i suoi successi: i suoi quattro figli».
Il cognome Okonjo-Iweala viene inserito nel titolo anche dal Sole 24 Ore, che associa più volte alla WTO il ruolo di simbolo della globalizzazione. Nel testo dell’articolo la Ministra Myung-hee viene nuovamente nominata con la sua carica al maschile. Si riporta poi la dichiarazione dell’Ufficio del rappresentante per il commercio degli USA, traducendo l’originale «The Biden-Harris Administration is pleased to express its strong support for the candidacy of Dr. Ngozi Okonjo-Iweala as the next Director General of the WTO», in cui next Director General in inglese non ha genere, come «[l’amministrazione Biden-Harris è] lieta di esprimere forte sostegno alla candidatura di Ngozi Okonjo-Iweala come prossimo direttore generale della Wto», scegliendo il genere maschile. Il genere femminile della nuova guida dell’Organizzazione viene tralasciato anche quando viene definita ex Ministro e quando si dice che è emersa come «il front-runner» nella corsa alla direzione. Nel secondo caso sarebbe bastato omettere l’articolo per farne una forma semanticamente ambigenere.
Una delle poche testate a declinare al femminile tutte le cariche relative sia a Okonjo-Iweala sia a Myung-hee è Il Post, che però non inserisce il nome della nuova direttrice nel titolo, optando per un più generale «capo della WTO» (volendo, avrebbero potuto scegliere capa, lemmatizzato nei dizionari più recenti). Questa è tra le testate che ha dato maggior rilievo e spazio alla notizia, ricostruendo anche il quadro politico ed economico internazionale in cui la nomina si è collocata: le dimissioni di Azevêdo, il veto di Trump, la posizione di candidata di consenso e ora l’approdo quasi definitivo alla direzione.
In generale, si notano alcune tendenze trasversali a tutti i quotidiani. Parallelamente alla mancata declinazione al femminile degli incarichi di Okonjo-Iweala, spesso il genere e la provenienza geografica prevalgono sulla sua persona. Non tutti i titoli delle testate analizzate ne riportano il nome e sono molti i giornali online e cartacei che si sono limitati a scrivere che a capo della WTO ci sarà Una donna nigeriana o La candidata della Nigeria. Indicarne la discendenza e il genere non è un problema in sé, lo diventa quando questi sono gli unici elementi su cui si concentra la narrazione della notizia. Al posto di raccontare la figura di Okonjo-Iweala, i suoi meriti professionali e le ragioni per cui è arrivata a tale carica, i fatti vengono appiattiti sulla novità che incarna: una donna nera come direttrice della WTO.
Si pone così l’attenzione sull’aspetto pionieristico della vicenda. A livello giornalistico è indubbiamente interessante, ma questo lato della notizia potrebbe coesistere con un approfondimento maggiore dell’identità della persona in questione. Tale narrazione sottolinea ancora di più la straordinarietà dei traguardi femminili e, al posto di avvicinare a livello culturale i ruoli apicali a un numero sempre maggiore di donne, la sottotraccia è che la loro collocazione al vertice sia insolita. Si comunica quindi che quelle cariche non sono naturali per le donne.
Questa tendenza è molto diffusa ed è messa in luce sui social dal progetto Una Donna A Caso, che si occupa di tenere traccia dei titoli di giornale in cui i nomi degli individui di genere femminile coinvolti non vengono citati, per lasciare posto al generico “una donna”. Parallelamente l’iniziativa mette in luce il filtro pionieristico che copre la narrazione di queste vicende, con lo scopo di aumentare la consapevolezza nei confronti delle notizie e del modo con cui vengono trasmesse.
Come sempre i fatti vengono accompagnati da una serie di strategie comunicative che, in modo più o meno consapevole, ne modificano la percezione. Concentrarsi sul nome e sulla carriera di Ngozi Okonjo-Iweala significa allora riconoscerne l’intera identità e non unicamente il suo genere o la nazionalità. Fermarsi a “una donna nigeriana”, invece, è sicuramente un modo più immediato di trasmettere e apprendere la notizia, ma la visione della realtà che ne emerge risulterà a sua volta ridotta.
Come ricorda Vera Gheno, sociolinguista e autrice di Femminili singolari, «nonostante l’evidente impegno di alcune testate, prevale ancora una narrazione basata sull’idea che ci sia una “norma”, anche considerando le caratteristiche dell’essere umano, per cui finisce per fare notizia tutto ciò che devia da tale supposta normalità: la donna fa notizia rispetto all’uomo, la provenienza africana fa notizia rispetto… alla pelle bianca. Anche dove si fa attenzione a non soccombere completamente all’abitudine di appiattire la persona sulle sue caratteristiche “curiose”, ci si impantana nel normocentrismo. Occorre fare un passo ulteriore, nella direzione non tanto dell’inclusività (che presume sempre una differenza di status tra chi include e chi viene incluso), ma della convivenza delle differenze, secondo la felice definizione di Fabrizio Acanfora. Quando gli -ismi sono sottotraccia, come in alcuni degli articoli citati, un buon modo per renderli più evidenti ai nostri occhi sta nel fare una piccola prova di commutazione: in questo caso, un maschio bianco sarebbe stato trattato allo stesso modo, anche solo specificando che “È orgoglioso e grato per i suoi successi: i suoi quattro figli”?».