9 gennaio 2021. A distanza di poche ore, Carlo Tavecchio e Letizia Moratti tornano a sedere in posizioni di comando in Lombardia. L’ex-presidente della FIGC assume il comando del Comitato Lombardo della LND, mentre l’ex-Sindaco di Milano diviene assessore al Welfare e vicepresidente della Regione.
Due scelte che testimoniano come il rinnovamento e la necessità di scelte coraggiose, tanto sbandierate a parole, si scontrino con l’immobilismo ed il masochismo tipico dell’Italia, riesumando due figure discutibili. Quando si dice che lo sport è specchio della società.
“Ci son cascato di nuovo / pensi sia un gioco / vedermi prendere fuoco”
Achille Lauro, Me ne frego
Il rapper, figlio di un magistrato della Corte di cassazione, nel 2020 con queste strofe ha spopolato al Festival di Sanremo. E così potrebbe cantare il calcio italiano dopo l’elezione di Carlo Tavecchio come Presidente del Comitato lombardo della Lega Nazionale Dilettanti (LND).
Per un movimento che era in evidente difficoltà da ben prima dell’avvento della pandemia e che ora dovrà reinventarsi quasi totalmente per poter rifiorire, una scelta simile può essere un ulteriore ostacolo per una futura ripresa. Per di più, l’elezione è avvenuta nella Regione con il più alto numero di calciatori tesserati nella Federazione (182.000 atleti tra squadre dilettantistiche e settore giovanile scolastico). Come se non bastasse, in consiglio federale ha fatto il suo ingresso anche Mario, il nipote di Tavecchio. Non si dubita delle sue potenzialità per cambiare in meglio il pallone italiano, ma è un episodio che accade sicuramente con il tempismo sbagliato e fa sorgere quantomeno qualche dubbio.
Carlo Tavecchio torna nel mondo del calcio, e lo fa ricoprendo lo stesso ruolo da cui era partito nel lontano 1987. Nativo di Ponte Lambro, è stato sindaco della cittadina in provincia di Como per quattro mandati, dal 1976 al 1995, durante i quali ha ha anche dato una spinta al calcio locale, fondando l’Associazione Sportiva Pontelambrese nel 1974. In quattro decenni, Tavecchio ne ha fatta di strada: dalla presidenza del piccolo club locale a quella della FIGC, nel 2014. Una escalation sorprendente, non priva di polemiche. La massima figura della Federazione Italiana Giuoco Calcio è finita nell’occhio del ciclone a causa di controversie legali, frasi razziste e accuse di molestie. Insomma, non proprio il miglior biglietto da visita.
Per il calcio italiano, in un discorso estendibile alla politica, si invoca ora più che mai una ventata di aria fresca, di innovazione e di scelte coraggiose. Invece, il movimento arranca e nelle stanze che contano continua a conservare sempre le stesse facce. I risultati di questa riluttanza al cambiamento cominciano a essere tangibili: parliamo di una Federazione che sta retrocedendo sempre di più nelle gerarchie del calcio europeo, incapace di vendersi, come testimoniano i dati impietosi relativi ai diritti televisivi, con la Serie A che ha aumentato del 46% i ricavi dal 2010 al 2018, contro il 258,9% della Premier League ed il 340,3% della Bundesliga.
Un movimento rappresentato, sempre di più, da persone attaccate alla poltrona e con poca capacità di rinnovamento. Il presidente della FIGC, Gabriele Gravina (67 anni) è uno dei più anziani tra i massimi dirigenti delle principali federazioni calcistiche europee, secondo solo al presidente francese Noël Le Graët (79 anni). E che dire degli impianti? In Italia sono solo cinque i club che hanno uno stadio di proprietà: Atalanta, Frosinone, Juventus, Sassuolo e Udinese. Troppo pochi per una nazione che sogna di tornare nell’élite del calcio. Qui entra in gioco, o meglio dovrebbe, la politica: senza supporto ed incentivi per le società, la fine del tunnel sarà sempre pura utopia.
Alla luce delle enormi carenze, ci serviva proprio un Tavecchio bis? Era proprio necessario dare un’altra possibilità ad un personaggio che annovera tra le sue frasi più celebri:
Esternazioni che, come sempre, abbiamo dimenticato troppo facilmente. La domanda, allora, sorge spontanea: meritiamo ancora un personaggio che è stato uno degli artefici del punto più basso della storia recente della Nazionale italiana, la mancata qualificazione ai mondiali 2018, incapace di assumersi le proprie responsabilità del fallimento?
Ma i guai, si sa, non vengono mai da soli. In un periodo in cui le nuove idee vengono meno, lasciando spazio a personaggi discutibili, la Lombardia sforna due cavalli di ritorno in un brevissimo lasso di tempo. Contemporaneamente all’elezione di Tavecchio, il governatore Attilio Fontana nomina Letizia Moratti come vicepresidente e assessore al Welfare della Regione. Sebbene siano due ambiti distinti tra loro, la ricomparsa di queste due figure è sinonimo di impreparazione, incapacità di rinnovarsi, che si tramuta quasi in masochismo. Perché rimettere due personaggi così controversi e discussi al “centro del villaggio”? Perché voler sempre riscaldare la minestra? Se è vero che il calcio è lo specchio della società, questa “coincidenza” ne è ulteriore prova.