“Mercoledì di Coppa” è il nuovo speciale della redazione di Olympia, che vuole analizzare e contestualizzare la nascita e lo sviluppo delle competizioni UEFA per club. Dalla Coppa dei Campioni nata nel 1955, fino alla possibilità, di cui si parla ormai da tempo, di creare una nuova Superlega con tutti i migliori club d’Europa. Il viaggio, in questi 75 anni, è stato lungo e tortuoso ed ha visto il fiorire di diversi tornei di differente importanza: Champions League, Europa League, Coppa delle Coppe, Mitropa Cup, Intertoto, Europa Conference League.
Ogni trofeo ha la sua storia, è nato in momenti storici diversi ed è cambiato insieme al calcio. La redazione prova a riannodare i fili partendo dal principio, con lo scopo di cercare di capire qual è il futuro che ci attende.
Il 20 maggio 1992 è il giorno della finale di Coppa dei Campioni. A Wembley si affrontano il Barcellona, allenato da Joahn Cruyff, e la Sampdoria di Vujadin Boskov, che per tutti, però, sarà più che altro la Samp dei gemelli del gol, Vialli e Mancini. Oggi sarebbe una partita senza storia, ma allora è un confronto tra due squadre molto forti. A quei tempi, il calcio italiano è al suo zenit.
In quel decennio, infatti, tante volte le coppe europee trovano spazio nelle bacheche delle rappresentative nostrane. Per i blucerchiati è l’occasione della vita perché, con tutta probabilità, non avranno un’altra opportunità di salire sul tetto del calcio continentale. Ma è chance da non fallire anche per i catalani, che incredibilmente, fino a quel momento, non sono mai riusciti ad alzare al cielo la “coppa dalle grandi orecchie“. Tre anni prima le due squadre si erano già incontrate nella finale di Coppa delle Coppe, ma in quella occasione il risultato non ammise repliche: 2-0 per i blaugrana. Questa volta invece l’incontro è molto più equilibrato, anzi, le occasioni più ghiotte sono proprio per la Sampdoria, che però non riesce a sfruttarle. Il match si decide ai tempi supplementari al minuto 112′, quando una punizione dal limite dell’area dello specialista Ronald “Rambo” Koeman termina la sua corsa in rete, fuori dalla portata delle mani protese di Pagliuca. Uno a zero e trofeo al Barcellona, mentre ai doriani restano solo le lacrime: sanno bene che, per la maggior parte di loro, non ci sarà una seconda occasione. Solo Vierchowood, Vialli e Lombardo, passati alla Juventus tre anni più tardi, avranno una seconda chance, riuscendo a coglierla, nella finale contro l’Ajax.
In quella edizione della Coppa dei Campioni, oltre all’inedita finale, c’è un grande cambiamento nel format. Dopo i primi due turni a eliminazione diretta, con partite di andata e ritorno, anziché disputare i quarti di finale, le otto squadre superstiti vengono suddivise in due gruppi da quattro. Le prime due classificate dei rispettivi raggruppamenti, disputano la finale. Quindi ad ognuno dei club rimasti in gioco vengono garantite, comunque vada, sei partite. La novità, che incontra i favori del pubblico, non solo garantisce un maggior numero di incontri, ottimo in ottica futura (vedi alla voce diritti televisivi), ma consente maggiori incassi al botteghino, oltre al non trascurabile pregio di non perdere troppe big nel corso dei primi mesi della competizione.
Infatti, uno dei grossi problemi della Coppa dei Campioni, che fino a quel momento si è disputata integralmente con la formula degli incontri ad eliminazione diretta, è stato quello di lasciare per strada squadre molto forti già in autunno. In una competizione che, prima della finale, prevede soltanto quattro turni eliminatori, di cui solo il primo con una certa garanzia per le teste di serie: un lusso insostenibile a livello economico e di credibilità del torneo.
Quello che, inizialmente, è solo un esperimento, diviene la nuova formula del massimo trofeo continentale. A partire dall’edizione 1992-1993 la fase a gironi del torneo, solo quella, assume il nome di Champions League, mentre la finale resta con la denominazione di Coppa di Campioni fino al 1995, per una questione di diritti televisivi. Oltre ai motivi già elencati, la spinta maggiore alla nascita dalla Champions League arriva dall’esigenza della UEFA di dare una risposta alla voglia di Superlega, che, oggi come allora, il massimo organismo del calcio europeo vede non solo come il fumo negli occhi, ma come una vera e propria spada di Damocle. Tra i maggiori promotori dell’epoca c’è Silvio Berlusconi. Il suo Milan sta rivoluzionando il calcio, non solo per il gioco, ma anche per il modello societario, che infatti è preso ad esempio sia in Italia che in Europa. Anche club molto tradizionalisti come Juventus e Real Madrid tentano di replicare, senza successo, il modello-Milan. Si capisce come le parole del presidente rossonero abbiano un peso specifico importante. In una intervista rilasciata sulla rivista “Forza Milan” nel 1989, ipotizza una giornata di campionato dove il Milan affronti il Liverpool, la Juventus si opponga all’Ajax, il Porto rivale del Bayern Monaco e così via. Insomma, i grandi club vorrebbero farsi il loro campionato. La nascita della Champions League, da un lato, vuole sventare il pericolo, mentre dall’altro andare incontro ai desideri e alle esigenze delle grandi squadre.
La formula della neonata Champions League, però, continua a prevedere la partecipazione delle sole vincitrici del campionato nazionale, più la detentrice del trofeo. Troppo poco perché somigli a una Superlega. In quegli anni le squadre classificate in seconda, terza, quarta e quinta posizione dei maggiori campionati partecipano alla Coppa Uefa, che infatti, pur essendo nelle gerarchie della Uefa il trofeo meno nobile dei tre esistenti (c’è anche la Coppa delle Coppe), è in realtà il più difficile. Per risolvere questa contraddizione, dalla stagione 1997-1998 le nazioni col ranking UEFA più alto possono iscrivere fino a quattro squadre, previa disputa di un turno preliminare per la terza e la quarta classificata in campionato, mentre i Paesi con un basso ranking vengono relegati in Coppa Uefa. I criteri di partecipazione non sono variati granché da allora, le novità fondamentali sono state grossomodo due: da molti anni la squadra campione in carica non è più qualificata di diritto all’edizione successiva (anche se con quattro posti disponibili è difficile perdersi per strada i detentori del trofeo), mentre in tempi più recenti è maturata la decisione di sottoporre al purgatorio del turno preliminare solo pochi reietti, sempre nell’ottica di garantire la partecipazione ai club più blasonati.
Il format invece è variato molte volte. Se all’inizio la fase a gironi partoriva direttamente le due finaliste, in seguito si è tornati alla disputa delle semifinali, prima in partita unica, poi in match di andata e ritorno. Dall’inizio del nuovo Millennio sono tornati anche i quarti di finale e dal 2009 gli ottavi. La formula Champions League ha reso questa competizione – senza nulla togliere al Coppa Libertadores e all’Intercontinentale, ora Mondiale FIFA – la più prestigiosa a livello di club. Allo stesso tempo, però, rende più difficoltoso un exploit, sul modello del Nottingham Forrest, per intenderci. Se le squadre più forti hanno più possibilità di sbagliare, senza pagare dazio, è più complicato farle uscire dal torneo, se non proprio nelle fasi conclusive. Anche se qualche sorpresa si è manifestata comunque nel corso degli anni. Squadre come il Marsiglia nel 1993, o il Porto nel 2004 vinsero contro ogni pronostico. Oppure il Valencia, che arrivò in finale nel 2000 e nel 2001 senza però riuscire a cogliere il successo finale. Stesso destino per il Bayer Leverkusen, che nel 2002 si arrese solo al Real Madrid e a un gol fantascientifico di Zidane.
Di certo è aumentata la spettacolarità. Lo testimoniano le finali del 1999 e del 2005 con le rimonte di Manchester United e Liverpool, o il clamoroso 6-1 con cui negli ottavi di finale del 2017, tra Barcellona e PSG, gli spagnoli riescono a ribaltare il 4-0 della gara d’andata in favore dei francesi.
Il calcio, dopo anni di immobilismo, sta vivendo una rivoluzione. È arrivato il VAR, di poco preceduto dalla Goal Line Technology. L’estate del 2021 avrebbe dovuto essere quella del primo Campionato Mondiale per Club (altro ammiccamento alla Superlega), ma a causa dell’emergenza Covid-19 il suo posto verrà preso dal Campionato Europeo, rimandato di un anno, sempre a causa della pandemia.
In settembre, inoltre, la UEFA restituirà la terza competizione all’Europa del calcio, istituendo la Conference League Cup, una sorta di Europa League di Serie B, destinata a squadre minori e che permetterà alla vincitrice di guadagnerà il diritto di partecipare all’EL dell’anno successivo. Le acque sono ancora molto agitate ed ulteriori saranno i cambiamenti nel decennio appena iniziato. Mai come nel prossimo futuro la Uefa si potrebbe trovare di fronte all’ineluttabilità della Superlega: le squadre più blasonate vogliono la loro NBA, un po’ come è già avvenuto nel basket con l’Eurolega. A fronte di questa eventualità si tenterà una ennesima riforma della Champions League a partire dal 2024 col rischio che, questa volta, potrebbe davvero non bastare.
PUNTATE PRECEDENTI
1. Coppa Campioni: la nascita di un’Europa calcistica