Il caso

Il paese di Rassa è uno dei tipici villaggi alpini in stile Walser, non è famoso ai più perché non ha impianti sciistici o altre attrazioni di massa. È in una piccola valle laterale della Valsesia, dove confluiscono i torrenti Sorba e Gronda. È qui che da qualche anno va avanti un progetto per realizzare una piccola centrale idroelettrica, tra zone protette e deroghe, incentivi e proteste. Recentemente si è fatta sentire pure Patagonia, azienda da sempre attenta alle tematiche ambientali, per proteggere il fiume ancora incontaminato. C’è da chiedersi però, come siamo arrivati a questo punto, se le cose siano andate avanti in maniera corretta e trasparente e se le proteste stiano avvenendo nel modo e nei tempi corretti.

Patagonia si schiera nettamente contro la realizzazione della centrale idroelettrica, nel contesto della campagna Blue Heart, dove sono usati slogan molto forti come “tutte le dighe inquinano”.

Cominciamo dall’inizio. Il Sorba scorre all’interno di una zona a protezione speciale, all’interno dell’area idrografica a elevata protezione del Sesia. In uno stato in cui le regole vengono scritte chiaramente, e rispettate senza eccezioni, basterebbe questo a chiudere la questione. Al contrario, lo stesso Comune di Rassa ha portato avanti un progetto per un impianto idroelettrico sulla confluenza dei due fiumi. Nulla di strano dal punto di vista storico, perché il Sorba è stato ampiamente sfruttato nel XX secolo, per le segherie idrauliche e i mulini ad acqua; questa potrebbe essere solo una modernizzazione di un mulino ad acqua, infatti il funzionamento non è molto differente tra una macina e una turbina. 

Particolare dell’abitato di Rassa. ©Alagna.it

Dal punto di vista normativo invece, il PTA della Regione Piemonte vieta ogni captazione di acqua per uso energetico. Parallelamente al Piano di Tutela delle Acque, ovviamente ci sono le deroghe, di cui il Comune ha usufruito in quanto il progetto sarebbe stato ritenuto “strategico”. 

In campo ambientale queste norme sono spesso molto soggettive e manipolabili, e gli inganni sono spesso celati dietro normative apparentemente positive. La VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) per esempio, sembrerebbero due ottimi strumenti, ma chi le svolge? La stessa persona che propone il progetto è tenuto a presentare anche VIA e VAS, ma è lui che sceglie la figura professionale abilitata a redigerla. È chiaro che se un tecnico redige una relazione troppo rigida, se ne troverà un altro che la renderà meno restrittiva.
Tanto l’ambiente, da solo, non può mica lamentarsi.

La procedura partecipata

Una volta partito il progetto, sono iniziate le proteste, la potenza in progetto è stata diminuita andando anche a perdere il suo carattere strategico. In Italia nel 2020 si parla ancora di “strategico” in termini puramente economici, siamo ancora fermi all’Analisi Costi – Benefici (ACB), come se fossimo fermi al secolo scorso, ignorando tutti gli indicatori per il monitoraggio ambientale che sono stati elaborati dopo che si è capito che l’Analisi Costi – Benefici non è adatta a valutare l’ambiente e la salute umana. 

Nell’ACB tutto viene riportato in termini economici (si’, anche la salute e la vita umana viene monetizzata) e l’intera faccenda si risolve in un numero. È positivo? Bene, allora si va avanti. Tutti sono contenti? Non è compito dell’ACB stabilirlo, vedi il caso della TAV, fatta con l’ACB ha portato i trattori in autostrada per protestare

Le proteste a cantiere avviato non portano benefici né a chi è a favore, né a chi e contro al progetto. Basterebbe mettersi d’accordo prima di aprire i cantieri. Nasce quindi la “Integrated Water Resources Management“ (IWRM), in cui il progetto viene affrontato come dev’essere, cioè come multi-obiettivo. In un progetto di sfruttamento idrico, ci sono molteplici portatori di interesse, compresi i contadini che usano 20 litri al giorno per irrigare l’orto, o chi fa Kayak sul fiume e potrebbe veder sfumare il suo parco giochi. 

Il processo dell’IWRM a cura di ©American rivers

La procedura risale ormai agli anni 2000, e si pone come obiettivo quello di trovare un accordo che vada bene a tutti, migliorando la qualità della vita di tutti i portatori di interesse, ambiente incluso. Un esempio italiano è la regolazione del Lago Maggiore: dopo anni di lotte tra agricoltori e rivieraschi si sono fatti i conti e si è trovata una soluzione migliorativa per tutti. Questa procedura è stata adottata con successo in Europa e nel mondo, resta ancora da chiedersi come mai non venga adottata di default.

Modalità e obiettivi delle proteste

Una volta assodato il fatto che la procedura decisionale per questo tipo di progetti fa acqua da tutte le parti, nonostante si conoscano procedure migliori, veniamo alle proteste. Le proteste sui social e sulle varie testate si concentrano su due obiettivi principali: la deturpazione del fiume “incontaminato” e la definizione di “strategico”.

In entrambi i casi le informazioni sono sempre molto soggettive poco basate sui numeri. Il fiume era incontaminato anche prima delle segherie ad acqua, che allo stesso modo toglievano acqua al torrente. Con il progetto in questione verrebbe sottratto il 25% della portata, garantendo il Deflusso Minimo Vitale (DMV) stabilito dalla legge. È anche per questo che il progetto ha passato con successo tutte le fasi come da normative statali e di ARPA Piemonte. Inoltre, il Comune di Rassa sostiene che il tratto interessato sia comunque impraticabile ed inaccessibile per gli sport d’acqua. Sport che lo stesso comune promuove.

A sinistra, Bety Brabcova [©Bety Brabcova Blogspot] impegnata ai Teva Extreme Outdoor Games a Rassa. A destra, un flashmob organizzato nel medesimo comune, contro la relalizzazione dell’impianto idroelettrico [©NotiaziaOggi.it]

La definizione di “strategico” è ovviamente più complessa da formulare, ma ci sono gli indicatori adatti per farlo, e chi ha a disposizione tutti i dati del progetto ha la possibilità di calcolarli. Se, come sostiene il Comune, il progetto è a consumo di suolo nullo, non impatta sugli sport d’acqua praticati sul torrente, non distrugge l’ecosistema fluviale (a questo serve il DMV) ed evita emissioni di CO2 grazie a fonti energetiche rinnovabili, non si vedono grosse motivazioni a definire il progetto come strategico. 

Nuovi obiettivi

Tutte queste proteste non si sarebbero accese in questo modo se il processo decisionale avesse incluso tutti i portatori di interesse, come da procedura IWRM. Anzi, i portatori di interesse avrebbero potuto contribuire a migliorare questo progetto, con più benefici per tutti. Le proteste quindi, non sono da rivolgere contro chi ha sviluppato il progetto seguendo tutte le norme vigenti, ma contro le norme stesse.

La definizione di aree a protezione speciale, ma con la possibilità di deroghe in base a criteri pressoché soggettivi, è un tipico meccanismo italiano, per esempio. Se il DMV non fosse sufficiente a garantire la salute dell’ecosistema si potrebbe protestare contro questo aspetto. Chiedere di utilizzare una procedura partecipata sarebbe una battaglia riguardante i problemi di tutti i fiumi d’Italia, non solo di un piccolo comune. 
In questo caso si potrebbe ribaltare la citazione in “pensare locale, agire globale”, nel senso di concentrare i propri sforzi per chiedere di migliorare il modo in cui sono normati i processi decisionali, invece che accanirsi contro chi porta avanti piccoli progetti che – con le norme attuali – non hanno nulla di illegale. 

Fare battaglie e slogan senza basi numeriche o scientifiche, nel 2020, è anacronistico e sconveniente dal punto di ambientale. Si darebbero solo basi a chi cerca di screditare gli ambientalisti.