Qual era la posta in gioco che portò agli scontri nella capitale somala l’undici gennaio 1948, che provocarono la morte di 54 italiani, 14 somali e al ferimento di un centinaio di persone? A chi interessavano le posizioni strategiche dei territori che la Gran Bretagna aveva fatto acquisire negli anni all’Italia?
Situazione generale
Tra le questioni rimaste irrisolte dalle discussioni per il trattato di pace tra l’Italia e i Paesi Alleati dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, vi fu la quella coloniale. I possedimenti italiani di Libia, Eritrea, Somalia e isole del Dodecanneso facevano gola agli interessi strategici dei vincitori.
La nascente divergenza tra Regno Unito di Gran Bretagna, Stati Uniti d’America, Francia con l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche costituì il nodo della problematica.
Dopo le operazioni belliche, i territori italiani d’oltremare (Somalia, Eritrea, Cirenaica e Tripolitania) passarono sotto l’amministrazione britannica attraverso la British Military Administration (BMA), ad eccezione del Fezzan che passò in mano all’amministrazione francese.
I ministri degli esteri dei quattro paesi non riuscirono a trovare una soluzione unanime per via delle divergenze di interessi tra le parti in causa. L’approccio che questa analisi prova ad apportare cerca di tener conto degli aspetti prevalentemente geostrategici.
La posta in gioco e i principali progetti
Il quadro internazionale non era semplice: tutti gli attori – come del resto accade da secoli – miravano ad ottenere una posizione di privilegio per i propri interessi nazionali. Procediamo con ordine, cercando di chiarire la situazione.
La posizione della Gran Bretagna
La nazione più sensibile alla questione coloniale italiana fu la Gran Bretagna per una serie di ragioni: prima fra tutti, i violenti combattimenti contro le truppe italiane durante il conflitto (Africa Orientale, ma soprattutto deserto libico); il secondo e più importante, per via della nascente crisi del sistema imperiale e della necessità di garantire la freedom of navigation tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano.
Londra, da sempre “protettrice” italiana in Africa, voleva far pagar cara la guerra all’ex alleato, con cui aveva intrattenuto ottimi rapporti fino alla guerra d’Etiopia.
I primi progetti di Londra per la sistemazione delle colonie italiane risalivano già all’occupazione del 1941 della tramontata Africa Orientale Italiana: occorreva preservare le linee di comunicazione dell’impero.
Per questo nel Corno d’Africa, Londra ipotizzò la creazione di una Grande Somalia che avrebbe dovuto riunire i territori popolati da genti somale (Somalia italiana, Somaliland Britannico, Somaliland francese o Gibuti, Ogaden – non ancora restituito all’Etiopia – e territori somali nel nord del Kenya ).
Nel Mediterraneo l’obiettivo britannico era la Cirenaica, che nel corso del conflitto si era rivelata un’area strategica e importante per il controllo del traffico del Mediterraneo.
Per questo, già durante il conflitto, i diplomatici di Londra avevano iniziato a corteggiare i leader religiosi della Senussia che controllava l’area cirenaica confinante con l’Egitto. Furono persino avanzate proposte di fare della Libia una provincia egiziana!
Dalle informative dei servizi italiani, le autorità britanniche avevano iniziato una campagna di propaganda contro il ritorno di Roma nei territori controllati dalla BMA. Tale attività di Londra prevedeva l’acquisizione di quei territori sotto qualsiasi forma amministrativa.
Se in Libia Londra supportava l’azione anti italiana dei Senussi, in Somalia consentì la nascita della Young Somali League (YSL) o Lega dei Giovani Somali, un movimento nazionalista che aspirava alla costituzione della Grande Somalia, formatosi nella zona del Somaliland Britannico.
L’Eritrea sarebbe diventata invece oggetto di scambio con l’Etiopia, che ne rivendicava il possesso adducendo motivazioni storiche di antica unità di quei territori all’impero abissino.
La posizione degli Stati Uniti
Gli USA portarono sul tavolo della ristrutturazione post bellica la proposta di un trusteeship, ovvero un’amministrazione fiduciaria, che nelle intenzioni della carta di San Francisco del 1945, avrebbe dovuto sostituire il mandato internazionale, applicato dopo la Prima Guerra Mondiale dalla Società delle Nazioni. L’aspetto politico di questa proposta era quello di presentare gli USA come una potenza lontana dalle aspirazioni coloniali degli stati europei, ma soprattutto disinteressata ad una zona di storico controllo britannico. Lo scopo dichiarato dagli USA era quello di portare tutti i territori controllati da potenze straniere ad una autonomia amministrativa e all’indipendenza.
Strategicamente, grazie all’esperienza maturata durante le operazioni di sbarco in Sicilia nel 1943, anche gli USA avevano appreso l’importanza di avere delle posizioni in mezzo al Mediterraneo. La crescente crisi internazionale con l’Unione Sovietica, infatti, portò, il 21 gennaio 1948, gli USA a rimettere in funzione la base aerea militare di Mellaha presso Tripoli.
Nel Corno gli Stati Uniti spalleggiavano la politica del Negus nei confronti dell’Eritrea. Dal punto di vista territoriale gli USA ottennero la possibilità di stabilirsi in Etiopia con basi militari per evitare l’ingresso sovietico nell’area.
La posizione dell’Unione Sovietica e della Francia
Mosca prese posizione sulla sistemazione delle colonie italiane durante la conferenza di Posdam (17 luglio- 2 agosto 1945), dove Molotov avanzò il diritto sovietico di ottenere delle posizioni nel Mediterraneo. Sia Stalin che Molotov premevano affinché in tale conferenza fosse inserito l’ordine del giorno relativo alle colonie italiane, sostenendo la necessità di affidare in amministrazione fiduciaria quei territori, in conformità con la carta di San Francisco, in maniera congiunta ai vincitori del conflitto, specificando l’interesse russo per la Tripolitania.
Diverso fu l’approccio francese, per De Gaulle l’Italia doveva ritornare in possesso dei suoi possedimenti – senza il Fezzan strategico per Parigi.
La posizione italiana
Dal canto suo l’Italia aveva presentato un suo Memorandum sulla questione coloniale – inviato durante i governi di unità nazionale e da tutti i partiti condiviso – così sintetizzato:
- legame storico con le colonie;
- ridurre la pressione demografica;
- investimenti e miglioramenti apportati ai territori d’oltremare nel corso degli anni della colonizzazione;
- valore di prestigio internazionale.
In termini strategici le Additional notes al Memorandum evidenziavano che:
Da queste poche righe del Memorandum si capisce come l’avventura coloniale sia stata un «accidente» della politica estera britannica – come afferma lo storico Nicola Labanca in Oltremare: storia dell’espansione coloniale italiana – e come tale si sarebbe potuta concludere.
Con la firma del trattato di pace del 10 febbraio 1947 l’Italia rinunciava ufficialmente alle sue colonie, rimandando ai vincitori la decisione di quei territori, pur proponendosi come interessata ad un eventuale affidamento.
Come si arrivò ai fatti di Mogadiscio
Dopo la firma del trattato, l’Italia rimise in funzione l’apparato informativo del Ministero dell’Africa Italiana (MAI) in tutte le colonie.
In Somalia, dopo quasi otto anni di occupazione britannica, la rete si era indebolita, tanto da utilizzare come informatori alcuni funzionari di secondo ordine rimasti in Africa per tutto il periodo delle BMA, perché non deportati in Kenya in quanto ritenuti innocui.
Gli interessi italiani in Somalia furono portati avanti dalla Conferenza della Somalia una compagine politica in cui confluirono tutti i partiti formati da i capo quabila vicini all’amministrazione italiana durante il periodo coloniale, appartenente, prevalentemente, ai gruppi tribali dei Rahawin e degli Hawiye.
La conferenza era in aperto scontro con la SYL: rifiutava il programma dei giovani somali facendosi portatrice di valori e regole legati alla tradizione dei clan.
Come si è già accennato, le potenze vincitrici, prima di demandare la questione coloniale italiana alle Nazioni Unite, provarono a trovare una soluzione.
L’arrivo della commissione
All’inizio del 1948 era stata programmata una missione della Four Powers Commission per verificare la volontà degli ex sudditi italiani per trovare una soluzione amministrativa.
La commissione era stata concepita come un organo super partes che avrebbe dovuto stilare un rapporto sulla situazione somala da presentare alle quattro potenze vincitrici.
La Conferenza e la Lega potevano legittimare il proprio operato e mostrare le proprie ragioni alla commissione, sbarcata intanto a Mogadiscio il 6 gennaio 1948.
Questa visita era anche l’occasione internazionale per la BMA per verificare l’effettiva realizzazione del progetto della Grande Somalia. L’azione dell’amministrazione britannica si concretizzò nella scelta dei somali chiamati a rispondere ai quesiti della commissione. Secondo quando riporta il saggio di Urbano-Varsori, il comandante della BMA era in ottimi rapporti con il rappresentante di Londra della commissione.
Ciò che fece aumentare la tensione fu l’arresto, nei mesi precedenti all’arrivo della commissione, di noti esponenti filoitaliani che secondo l’amministrazione britannica erano colpevoli di violenze scoppiate a ottobre del 1947 nella capitale somala. Tali fatti, seppur legati alla YSL, furono attribuiti ad appartenenti alla Conferenza.
Per porre rimedio alle azioni della BMA, gli agenti del MAI iniziarono a foraggiare i somali vicini alla causa italiana. Tale attività portò anche all’organizzazione di manifestazioni di piazza a favore del ritorno italiano. La YSL aveva fatto trapelare di voler organizzare una manifestazione che avrebbe dovuto suscitare un forte impatto nei confronti della commissione.
Intanto durante alcune manifestazioni dei giorni 6 e 7 gennaio c’erano stati dei tafferugli tra le fazioni. In tali circostanze, i gruppi filoitaliani iniziarono una fitta sassaiola nei confronti della BMA schierata.
L’eccidio
Il 10 gennaio, simpatizzanti della Lega e della Conferenza erano confluiti nella capitale: erano in programma una grosse manifestazioni per il giorno 11.
I membri della Conferenza credevano di avere «una sorta di diritto esclusivo sul territorio di Mogadiscio». Essi non gradivano la presenza della Lega, radicata soprattutto nelle zone periferiche della Somalia. Atteggiamento legato più alle relazioni tra i clan somali che alla partita politica tra Regno Unito e Italia.
L’11 gennaio 1948 erano previste nella capitale due manifestazioni: una della Lega dei Giovani Somali, l’altra della conferenza. La mattina dello stesso giorno il vice comandante della Gendarmeria della BMA, R.E. Thorne, ritirò l’autorizzazione, precedentemente accordata alla Conferenza, consentendo solo quello della Lega. Intorno alle 11 di mattina il corteo della Lega si diresse verso il centro di Mogadiscio. La manifestazione, senza apparente motivo, degenerò ed i somali iniziarono ad attaccare gli italiani.
I manifestanti entrarono nelle case di proprietà di cittadini italiani colpendo chiunque si trovasse a tiro, passando poi a saccheggiare e devastare le proprietà italiane. Nel giro di poche ore furono uccisi 54 italiani, 12 somali.
Reazioni
La notizia arrivò a Londra e Roma nei giorni successivi. La stampa italiana iniziò ad accusare la BMA di aver agevolato un eccidio di italiani. Dal punto di vista politico la questione sembrava propizia per avanzare nuove richieste a Londra in merito alle colonie. Probabilmente l’accordo Bevin-Sforza fu incentivato dai colloqui tra i due dopo i fatti di Mogadiscio.
Dal punto di vista britannico venne nominata una commissione di inchiesta con a capo il maggiore Flaxman, che ebbe come risultato solamente la rimozione di alcuni vertici della BMA.
La questione coloniale italiana non si risolse dopo i fatti di Mogadiscio, anzi tenne banco per quasi un anno, fino alla decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 21 novembre 1949 di affidare all’Italia l’Amministrazione Fiduciaria della sola Somalia.
Ciò che emerge, invece, dalla vicenda dell’undici gennaio è l’atavica divisione clanica della Somalia, che non fu compresa, anzi venne alimentata sia dagli italiani che dai britannici, contribuendo ad evidenziare le spaccature in una società fortemente legata al faan (vanto di ciascuna tribù) che ha avuto le conseguenze che vediamo ancora oggi nell’area; mentre in Italia nel tempo si è perso il ricordo delle vittime di una ragion di Stato che bramava di ritrovare una sintonia geopolitica con il vecchio protettore d’oltremanica, ma soprattutto di inserire la nuova Italia come protagonista in un sistema internazionale.
Per Approfondire:
- Annalisa Urbano, Antonio Varsori, Mogadiscio 1948. Un eccidio di italiani fra decolonizzazione e guerra fredda;
- Antonio M. Morone, L’ultima colonia. Come l’Italia è tornata in Africa;
- Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana;
- Gianluigi Rossi, L’Africa Italiana verso l’indipendenza.