“Sindacalcio” è l’approfondimento di Olympia sull’evoluzione del professionismo nel calcio. Dall’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento, dove il dilettantismo era un privilegio dell’aristocrazia londinese e gli operai reclamavano uno stipendio per potersi dedicare al calcio, fino ai giorni nostri, in cui campioni affermati ricevono lauti ingaggi spesso concordati solo al termine di estenuanti trattative, arrivando da qualche anno persino a scindere le prestazioni sportive dai diritti di immagine. Non da meno è la questione sudamericana dove, ancora oggi, la proprietà dei cartellini non appartiene solo alla squadra di militanza, ma a fondi di investimento e ai calciatori stessi.
Ma come si è arrivati a questo? Nel 25° anniversario dalla Sentenza Bosman – il più importante passo in avanti della storia moderna sulla regolamentazione contrattuale dei giocatori – la redazione di Olympia cerca di analizzare e comprendere i cambiamenti avvenuti negli anni.
Sono passati 25 anni dalla sentenza Bosman che ha stravolto per sempre le regole del calcio moderno, garantendo ai giocatori maggiori diritti e contratti più ricchi. A guardare bene, però, gli attriti contrattuali sono ancora oggi all’ordine del giorno e addirittura più frequenti di 30 anni fa. Se alla fine del 1990 l’ex calciatore belga iniziava la sua battaglia legale per svincolarsi e tornare sul campo, oggi i litigi tra società e giocatori hanno origine dalle richieste sempre più esose di quest’ultimi, avidi di denaro e manovrati alle spalle dai loro procuratori.
Nonostante gli ingaggi milionari, sono molti i giocatori che, spinti dai propri agenti, si presentano di frequente dai club per ridiscutere i termini del loro contratto e ottenere un aumento. Questa situazione, oltre ad appesantire i bilanci già in crisi di molte società, alimenta un imbarazzo generale attorno all’ambiente, con i tifosi delusi dai propri beniamini, i dirigenti spazientiti e le voci di calciomercato sempre più fastidiose e insistenti. E non ce ne vogliano i nostalgici di questo sport, ma mai come ora ci è concesso dire che «no, non esistono più i giocatori di un tempo».
Già, perché se si è arrivati a tutto questo è anche “colpa” del calciomercato, nato dalla libera circolazione dei calciatori tanto richiesta da Bosman. La sua vittoria in tribunale ha infatti stravolto le abitudini del calcio moderno: se un tempo erano unicamente i club a controllare una trattativa, adesso non è più così. Al giorno d’oggi i giocatori possono beneficiare di un forte potere in fase di trattativa che prima non avevano e di una posizione di vantaggio rispetto al club, che si riflette nelle continue richieste salariali. Le società, dal canto loro, hanno cercato di allungare la durata dei contratti sottoscritti, in modo da garantirsi le prestazioni di un giocatore per diversi anni. Al giorno d’oggi però, ai club è venuta meno anche questa certezza, con i giocatori – supportati dai propri agenti – che ogni 1 o 2 anni pretendono un ritocco del proprio ingaggio.
I recenti casi Donnarumma e Icardi sono solo alcuni dei più celebri del nostro campionato, ma fotografano benissimo i difetti di un sistema vizioso e totalmente fuori controllo, non solo nel nostro paese ma in tutto il panorama calcistico.
L’intento della sentenza Bosman era quello di garantire maggiori diritti ai calciatori, ma nel corso degli anni non sono mai state poste limitazioni alle trattative e si è giunti così alla triste situazione attuale. Il calcio moderno è diventato uno sport totalmente schiavo del denaro, dove i più ricchi fanno la voce grossa e i calciatori non stanno di certo a guardare, anzi.
Lo stesso Bosman in un’intervista di qualche anno fa si era detto profondamente deluso dalla situazione attuale, riconoscendo come la ricchezza fosse concentrata nelle mani di pochi e non ridistribuita equamente fra tutti.
Certo, il calcio moderno è ben più ricco di quello del passato grazie all’avvento dei diritti tv, ma senza il calciomercato e senza le contese tra club i giocatori si dovrebbero “accontentare” di quanto gli viene offerto. D’altronde è proprio sul concetto di domanda-offerta che i procuratori fanno le fortune loro e dei propri assistiti, arricchendosi in un mercato sempre più ricco e irrazionale.
Di mancanza di ragione parla anche Karl-Heinz Rummenigge, amministratore delegato di un Bayern Monaco che domina in Europa da diversi anni, evidenziando i problemi di un calcio gonfiato dagli stipendi milionari.
Su questo tema, però, il punto di vista di Rummenigge è abbastanza controverso. Lo stesso AD infatti, in un’intervista rilasciata qualche mese fa al quotidiano tedesco Der Spiegel, si era detto contrario alla proposta di pubblicazione degli stipendi dei calciatori, avanzata dal presidente della Lega Calcio Tedesca Fritz Keller. Probabilmente perché una assoluta trasparenza sull’argomento porterebbe alla luce anche gli stipendi dei manager del pallone, lui compreso, facendo storcere il naso a molti.
In ogni caso è doveroso riconoscere come le cifre astronomiche percepite attualmente dai calciatori derivino in gran parte dai ricavi da diritti televisivi che, tolto il periodo di pandemia, sono in costante crescita. L’avvento nel business del calcio dei nuovi colossi dell’intrattenimento come Amazon, Netflix, Google e Apple, infatti, porterà nelle casse dei club ancora più soldi, ma chissà se lo stesso accadrà anche per i giocatori, ormai pagati per le loro prestazioni dentro e fuori dal campo o se le federazioni questa volta sapranno porre delle limitazioni.
Perché se il calcio è stato lo sport più bello del mondo per moltissimi anni il motivo è da trovare nella passione e nei sentimenti dei suoi protagonisti, e non certo tra gli zeri di un contratto appena firmato.