A cura di Francesco Chirico
Solitamente il Polo Nord a dicembre è nei sogni di tutti i bambini, come casa di Babbo Natale. In questo strano dicembre in cui il Natale passa quasi in secondo piano causa pandemia, il Polo Nord è comunque monitorato dal National Snow & Ice Data Center, nonché dalle compagnie commerciali che mirano a rimettere le prue delle navi da carico sulla storica Northern Sea Route, il cosiddetto passaggio a nord-ovest.
Come sta il Polo Nord
Con i satelliti e i potenti algoritmi di analisi delle immagini, il National Snow & Ice Data Center monitora giorno per giorno, ora per ora, tutte le variabili d’interesse per l’ambiente polare. Dal report pubblicato a dicembre, sappiamo che l’artico non ha mai visto così poco ghiaccio nel mese di ottobre come nell’ottobre 2020, almeno da quando si hanno rilevamenti satellitari. In generale, il ghiaccio artico è diminuito dell’8,9% ogni 10 anni, a partire dalla fine degli anni ‘70.
Novembre ha invece visto una rapida crescita del ghiaccio, fenomeno abbastanza normale andando verso il pieno inverno. Ottobre non ha mollato il colpo però, e gli effetti si vedono sulle temperature dei mari. L’acqua ha un calore latente molto alto infatti, e rilascia quindi il calore molto lentamente, cosa che – come ci hanno ripetuto per anni a scuola – permette un clima mite nelle aree costiere. Qui di clima mite non si può proprio parlare, ma si possono vedere delle zona più o meno calde nel Mar Glaciale Artico.
Le aree rosse vengono classificate come hotspot di temperatura, e in questo caso sono localizzate in mare aperto. Qui le masse d’acqua stanno rilasciando ancora grandi quantità di calore, portando la temperatura dell’acqua anche 12°C in più rispetto alle medie di novembre calcolate sul lungo periodo.
Arctic Oscillation
Potrebbe sembrare che questi dati interessino solo Alaska, Siberia, Groenlandia e le renne di Babbo Natale, invece hanno una grande incidenza sull’andamento del nostro inverno.
La pressione atmosferica nelle zone artiche significa il ritorno di una fase fortemente positiva dell’Arctic Oscillation, come era successo per lo scorso inverno (2019 – 2020). A partire dagli ultimi giorni di novembre l’Arctic Oscillation Index è tornato a valori neutri, e per ora lì è rimasto.
La differenza di pressione tra l’artico e le medie latitudini, da cui si ricava l’Arctic Oscillation Index, descrive la forza del vortice polare. Senza entrare nei dettagli, quando si è nella fase negativa, il vortice polare è destabilizzato, e ciò comporta severe ondate di freddo alle medie latitudini. Quando invece si ricade nella fase positiva, il freddo viene concentrato alle alte latitudini, e dominano le miti correnti atlantiche occidentali, soprattutto in Europa.
Dalle condizioni climatiche del Polo Nord dipende quindi l’inverno di tutti i paesi che si trovano alle nostre latitudini. Recentemente però, l’artico è anche uno dei posti più colpiti dal cambiamento climatico, e questo, oltre ad attivare una serie di feedback positivi e negativi, attira l’attenzione di chi cerca nuove rotte commerciali.
La Northern Sea Route
Se guardiamo un planisfero, le proiezioni usate per visualizzare una superficie sferica su di un supporto piatto, non ci rendiamo conto delle dimensioni delle aree polari. Un mappamondo rende giustizia ai poli, e qui possiamo capire quali siano le reali distanze. Si scopre quindi che per andare dall’Asia Orientale fino ai porti dell’Europa Occidentale, si risparmia il 40% di strada se si passa dall’artico, invece che dalla classica rotta del Canale di Suez.
Fino a una quindicina di anni fa era impensabile percorrere la Northern Sea Route senza essere aiutati da navi rompighiaccio. Nel 2008 sono risultati percorribili per la prima volta entrambi i passaggi (nord-est e nord-ovest) contemporaneamente. Nel 2017 una nave ha percorso per la prima volta la Northern Sea Route senza rompighiaccio. Si tratta di una nave cargo che trasportava gas naturale liquefatto, appartenente alla società pubblica russa SovComFlot.
Questo viaggio simbolico porta entusiasmo soprattutto nella compagnia petrolifera TOTAL, che ha uno dei giacimenti di gas naturali migliori ben al di sopra del circolo polare artico, nel Mare di Barents e sulla penisola russa di Yamal.
Ci sono diversi effetti scatenati da queste notizie. Il più preoccupante dal punto di vista ambientale è la corsa all’oro nero nell’estremo nord, ricco di giacimenti, ma fino ad ora praticamente impossibile da sfruttare. Questo significherebbe un grosso aumento di traffico navale estivo intorno al Polo, spesso per navi commerciali che trasportano idrocarburi. La prima a mettere le mani avanti è stata la Norvegia, che si è rivolta all’IMO (International Maritime Organisation) e ha spostato le rotte di vela più a nord, per aumentare il tempo di allerta in caso di un eventuale incidente.
Un altro rischio è quello legato invece alle navi turistiche, che in maggior numero si spingeranno verso l’estremo nord. Qui il rischio di incidenti è alto: le imbarcazioni non sono spesso adatte, e le carte navali non sono precise come in altre aree del globo ben più battute. In caso di incidente, il soccorso in queste zone è spesso molto complesso e può richiedere molto tempo.
La possibilità di accorciare le rotte navali può quasi essere considerato un feedback negativo “antropico” del cambiamento climatico: l’aumento della CO2 in atmosfera causa una fusione rapida del ghiaccio polare, le navi possono passare dall’Artico accorciando le rotte e diminuendo i consumi, con i consumi ridotti viene ridotta anche l’emissione di CO2 in atmosfera. Chiaramente questa è una goccia in mezzo al mare, non si può essere contenti per questo evento.
Nel frattempo, il maggior numero di navi che solcheranno le acque polari emetteranno una maggior quantità di fuliggine, che depositandosi sul ghiaccio diminuirà l’albedo del ghiaccio, facendo aumentare la sua fusione.
La riduzione dei ghiacci polari, causata dal Climate Change, porta ad un evento negativo, ovvero la riduzione dell’albedo dell’Artico, che aumenta a sua volta il Climate Change. L’unico effetto che potrebbe essere positivo è la riduzione dei consumi grazie alle rotte navali più brevi, ma che per l’Artico non sono positive.