“Sindacalcio” è il nuovo approfondimento di Olympia sull’evoluzione del professionismo nel calcio. Dall’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento, dove il dilettantismo era un privilegio dell’aristocrazia londinese e gli operai reclamavano uno stipendio per potersi dedicare al calcio, fino ai giorni nostri, in cui campioni affermati ricevono lauti ingaggi spesso concordati solo al termine di estenuanti trattative, arrivando da qualche anno persino a scindere le prestazioni sportive dai diritti di immagine. Non da meno è la questione sudamericana dove, ancora oggi, la proprietà dei cartellini non appartiene solo alla squadra di militanza, ma a fondi di investimento e ai calciatori stessi.
Ma come si è arrivati a questo? Nel 25° anniversario dalla Sentenza Bosman – il più importante passo in avanti della storia moderna sulla regolamentazione contrattuale dei giocatori – la redazione di Olympia cerca di analizzare e comprendere i cambiamenti avvenuti negli anni.
L’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento sta vivendo un periodo di profondo rinnovamento sociale grazie all’avvento e alla diffusione di fabbriche tessili, metallurgiche ed estrattive. Un processo che durerà fino alla fine del XIX secolo e che vedrà coinvolto, almeno in parte, anche il football. A livello sociale e culturale il paese è, però, ancora profondamente diviso: da una parte la ricca e colta aristocrazia – fatta di Lords, Dukes, e Marquesses – che controlla il sistema economico, culturale e politico e vive a Londra; dall’altra, invece, la cosiddetta working class, povera, sottopagata e analfabetizzata, che vive al Nord, nelle grandi città industriali e nelle Midlands. Potrebbero essere, quasi, due popoli appartenenti a nazioni diverse, ma in realtà una delle due impone la propria egemonia sull’altra.
Il calcio – o football, per i puristi – in realtà imperversa già dall’inizio del secolo, quando i rampolli della buona società lo praticavano nei college. Così, il 26 ottobre 1863, undici club sportivi rigorosamente di Londra si ritrovarono alla Freemasons’ Tavern per codificare ufficialmente le regole del gioco: nasceva la Football Association. Il nuovo regolamento introduceva il divieto di toccare il pallone con le mani e di praticare l’hacking (i calcioni sulle tibie, antico retaggio del calcio fiorentino). Le novità introdotte non furono condivise dai rappresentanti del College di Rugby, che si chiamarono fuori dalla FA, fondando così l’omonimo sport.
È chiaro che, almeno fino al 1879, il calcio è esclusiva proprietà di quella nobiltà che l’ha inventato e codificato. Infatti, nonostante esistessero già alcune realtà locali a livello operaio, non poteva esserci confronto tra chi era nato in una buona famiglia e poteva nutrirsi nel modo migliore e chi invece per pochi penny si spaccava la schiena e le mani con lavori usuranti in fabbrica. Le cose, però, stanno rapidamente evolvendo.
Il cambiamento epocale che sta per stravolgere il gioco avviene nel Lancashire, una contea delle Midlands, che geograficamente si trova appena sopra le due grandi città di Manchester e Liverpool. È un territorio dove sono numerose le industrie che lavorano alacremente, in particolare nel settore tessile, e che con la Rivoluzione Industriale ha visto proliferare diversi piccoli centri, abitati dagli operai, che permettono di conciliare casa e lavoro in un unico borgo. Ed è proprio in una di queste cittadine industriali, Darwen, che gioca il primo calciatore professionista.
Il Darwen Football Club viene fondato nel 1875, abbandonando il rugby e sostituendolo con il calcio. Ma è solo uno delle decine di squadre che nascono nel Lancashire. Infatti, i proprietari delle industrie della zona intravedono nel calcio una valvola di sfogo per la classe operaia, ma anche un modo per promuovere la propria cittadina ed i propri interessi. Le fabbriche diventano velocemente il motore di diffusione del gioco e, in pochi anni, arriveranno a mettere in discussione l’egemonia delle squadre londinesi. Nello stesso anno, William Kirkham, un giovanissimo tintore, lascia la cittadina del Lancashire per trasferirsi a Patrick, nei sobborghi di Glasgow. Il calcio lo ha fatto innamorare. Così, insieme ad alcuni colleghi, fonda il Patrick Football Club, per il quale giocherà tre anni. Nel 1878, però, il richiamo di casa è troppo forte, così Kirkham fa le valige, saluta la Scozia e torna a casa. Naturalmente, appena rientrato a Darwen, entra a far parte della squadra locale. È il battito di farfalla che sta per rivoluzionare il gioco per sempre.
Nell’autunno di quell’anno, infatti, Kirkham viene contattato da un ex compagno scozzese. È James Love, attaccante robusto, abile nel dribbling, nel gioco di squadra e letale sotto porta. Il giovane “Jimmy” – questo il suo soprannome – si trova sommerso dai debiti ed anziché recarsi in tribunale, che quasi certamente lo condannerà alla prigione, decide di lasciare la Scozia e farsi una nuova vita nel Lancashire. I soci del Darwen FC, su consiglio di Kirkham, non vogliono lasciarsi sfuggire il giovane talento e decidono di offrirgli un lavoro fittizio che gli permetta di poter entrare in squadra, visto che i gentleman di Londra hanno categoricamente vietato che le squadre partecipanti alla FA Cup paghino i propri calciatori. A loro dire, per non inquinare il gioco.
Poche settimane dopo, un altro scozzese decide di raggiungere Love nelle Midlands. Si tratta di Fergus Suter, tagliapietre di professione. Il giovane “Fergie” è disoccupato a causa della crisi e nella città di Darwen intravede la possibilità di una vita economicamente migliore, che gli permetta di mantenere anche la madre e la sorella. Per aggirare le regole sul professionismo imposte dalla FA viene assunto da uno scalpellino in città, ma lascia il lavoro dopo appena due settimane perché – a suo dire – «le pietre inglesi sono troppo dure». Da quel giorno, il suo lavoro diventa solo ed esclusivamente il calcio. Suter è un difensore parecchio diverso da quelli che circolano al tempo: non ha uno strapotere fisico sugli avversari, è basso ed esile, ma bilancia i limiti fisici con una grande capacità di sfilare il pallone agli avversari senza andare in contrasto ed una capacità di anticipare le intenzioni mai vista fino ad allora. In più, è dotato di una tecnica strabiliante che gli permette di impostare il gioco dalle retrovie.
Suter e Love diventeranno poi famosi con il soprannome di scotch professors, i professori venuti dalla Scozia ad insegnare il verbo del football agli operai del Lancashire. Il Darwen, ovviamente, beneficia dei due nuovi innesti, tanto che nel corso di quella stessa stagione diventano la prima squadra della working class ad accedere ai quarti di finale di FA Cup, trovandosi di fronte gli Old Etonians di Arthur Kinnaird.
La figura di Kinnaird merita un approfondimento a parte. Figlio di un banchiere della nobiltà londinese, il giovane Arthur ha studiato al college di Eton. La storia, però, lo ricorda per essere il primo grande fuoriclasse del football. Infatti, è il massimo esponente del dribbling game, un sistema di gioco basato sull’individualismo e la forza fisica. Kinnaird, che fuori dal campo è un vero gentleman, per di più molto attento alla istanze della classe operaia, quando mette i calzoncini diventa vittima di una vera e propria metamorfosi, in cui la buona educazione lascia spazio ad una condotta spesso ai limiti del regolamento. Da attaccante interno del 2-2-6 con cui si gioca all’epoca, ha la possibilità non solo di segnare numerosi gol, ma anche di farsi valere in fase difensiva. Dopo aver vinto tre FA Cup con il Wanderers Football Club, decide di fondare, insieme all’amico Francis Marindin, gli Old Etonians, ovvero la squadra degli ex studenti di Eton, dove i due avevano studiato. E proprio alla prima stagione della loro storia, gli Old Boys si trovano ad affrontare il Darwen di Suter e Love.
Gli scotch professors hanno una concezione del gioco completamente diversa da quella di Kinnaird e compagni. Grazie alla speciale intesa maturata negli anni al Patrick, hanno intuito che il futuro del gioco passa attraverso un sistema corale, fatto di una fitta rete di passaggi e di un ampliamento delle spaziature in campo: è il passing game, destinato a cambiare il calcio per sempre. Così, nei quarti di finale della FA Cup 1878/79, il match tra Old Etonians e Darwen non è solo lo scontro tra due classi sociali, tra padroni e operai, ma anche la sfida tra due modi già completamente opposti di intendere il gioco.
La partita si gioca al Kennington Oval di Londra e termina con un pareggio pirotecnico per 5-5, dopo che i pupilli di Eton sono andati a riposo addirittura in vantaggio per 5-1. Le regole dell’epoca prevedono che i tempi supplementari vengano giocati solamente se sono stati concordati prima dell’inizio dell’incontro, così Kinnaird e compagni, consapevoli di essere vicini alla sconfitta, rifiutano di giocare l’extra-time. I ragazzi di Darwen devono quindi tornare a casa e ripresentarsi a Londra, dopo un intero giorno di viaggio in treno, per giocare il replay. Il club non può permettersi una seconda trasferta nella capitale, così gli abitanti di Darwen ricorrono ad una raccolta fondi che permetta ai loro beniamini di sfidare nuovamente gli Old Etonians e tenga vivo il sogno della città di vincere la FA Cup. Il secondo incontro finisce nuovamente in parità, anche se questa volta dopo i tempi supplementari. Si rende quindi necessaria un’altra raccolta fondi e una terza trasferta a Londra. I darweners si presentano al Kennington Oval stremati dalle trasferte e dal lavoro in fabbrica e, nonostante Suter e Love, escono sconfitti per 6-2.
Il mancato approdo alle semifinali di FA Cup non intacca lo straordinario risultato del Darwen FC, che per la prima volta ha messo seriamente in difficoltà uno dei club londinesi. Ma soprattutto testimonia l’indissolubile legame che si è creato tra la squadra e il territorio. Gli operai, che all’epoca guadagnano meno di 2 sterline alla settimana, non hanno esitato ha contribuire alle spese del club per continuare a sperare nella coppa. La FA Cup è il loro sogno quotidiano, il loro desiderio di rivalsa sociale contro i padroni, la loro valvola di sfogo da una vita, onestamente, parecchio dura. Per di più, senza alcun tipo di possibilità di vedere l’incontro, ma facendosi bastare le notizie telegrafiche sul risultato. Un’interdipendenza, quella tra gli abitanti dei borghi operai e le squadre che li rappresentano, che la working class inglese trasmetterà, insieme ai fondamentali del gioco, agli argentini, quando all’inizio del XX secolo emigreranno in terre sudamericane.
Suter lascia il Darwen d’estate, allo stesso modo in cui era arrivato, improvvisamente. Il Blackburn Rovers riesce a strapparlo ai “vicini di casa” grazie ad stipendio più lauto: è nato il calciomercato. L’ambizioso acquisto puntava a rinforzare una rosa già estremamente competitiva, composta dai migliori giocatori-operai del Lancashire, per dare l’assalto alla nobile FA Cup. L’obiettivo, alla prima stagione di “Fergie” con la nuova maglia, viene quasi raggiunto. I Rovers perdono la finale del 1882 contro i soliti Old Etonians di Kinnaird: sarà l’ultima FA Cup vinta da un club dilettantistico.
Per il primo successo di un club al di fuori di Londra, si dovrà aspettare l’anno successivo, quando i cugini del Blackburn Olympic sconfiggeranno gli ex studenti di Eton nell’ultima finale disputata da Arthur Kinnaird. Per Suter e compagni, la gloria arriverà l’anno dopo ancora, dando il via ad un triennio di dominio assoluto.
Darwen FC e Blackbourn Rovers diedero così il via al primo derby di calciomercato. Il caso-Suter risultò però di grande importanza per lo sviluppo del calcio: la questione principale portata alla luce fu quella della parità di opportunità tra giocatori di diverse classi sociali. Sul finire dell’Ottocento, i dilettanti erano i privilegiati, mentre i professionisti rappresentavano la voglia di vincere dei poveri e degli sfavoriti. Inutile dire quanto sia cambiato il calcio da allora: oggi la situazione è completamente ribaltata ed i dilettanti rappresentano il sogno della classe operaia in paradiso.