Negli anni ’90 il calcio africano salì alla ribalta anche grazie a figure come quella di George Weah. In un mondo lontano dall’avvento di Internet, nel quale i passaparola e le soffiate erano ancora fondamentali, i club erano sempre alla ricerca di nuovi talenti sconosciuti. Così accadde che Ali Dia, attaccante trentenne con un passato nelle serie minori francesi, riuscì a ottenere un contratto nella massima serie finlandese grazie al suo legame di sangue con Weah. La parentela con l’attaccante liberiano era ovviamente una gigantesca menzogna, che non impedì però a Dia di “fare carriera” e di esordire in Premier League.
Arrivare a calcare i campi di serie A può a volte sembrare uno scherzo. Molti fantallenatori e tennici da bar hanno speso pomeriggi deridendo questo o quell’altro brocco, che ha inspiegabilmente giocato o non è stato sostituito ed ha sbagliato un facile gol, dimenticando che per sbagliare bisogna, in primis, esserci. Insomma, per dirla con una massima calcistica, i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.
L’abilità nel crearsi il momento può ovviamente avere molte forme. C’è chi se lo costruisce con il sudore, chi con i soldi, chi con la furbizia. Come nel caso di Ali Dia, il calciatore dilettante che con determinazione, fortuna e molta furbizia, è riuscito a esordire in Premier League e a crearsi il momento che avrebbe potuto, per sempre, cambiare la sua vita.
Ali Dia, una carriera senza sussulti
La storia è in realtà abbastanza semplice. Nel 1996 Ali Dia era un attaccante trentunenne che rincorreva insistentemente il suo sogno di diventare un calciatore professionista, non realizzando che se probabilmente non lo era ancora diventato, un motivo doveva esserci.
Dopo aver speso gran parte della carriera nelle serie minori francesi, senza mai riuscire a vivere davvero di calcio, a trent’anni raggiunse la sua personale vetta grazie alle 5 presenze in Prima Divisione finlandese con il FinnPa. Pare che il quotidiano finlandese Helsingin Sanomat abbia riassunto la sua terza presenza (la prima da titolare) più o meno così:
Ma come era arrivato un giocatore sconosciuto delle serie regionali francesi alla serie A finlandese?
Il calcio africano alla ribalta
Nella metà degli anni ’90 il calcio africano era in netta ascesa. Figure come George Weah, fresco vincitore del Pallone d’Oro e forse ai tempi l’africano più famoso al mondo dopo Nelson Mandela, avevano esportato un mondo di nuove possibilità in tempi nei quali, non esistendo ancora il web, i passaparola e le soffiate erano ancora fondamentali.
Pare che fin dai primi giorni in Finlandia, Ali Dia – almeno secondo il suo ex compagno di squadra Kalle Lehtinen – si vantasse di essere in qualche modo imparentato con George Weah. Ed a quanto pare anche la dirigenza gli aveva creduto, ingaggiandolo con lo stipendio più alto della squadra. In un’intervista l’ex difensore del FinnPa, Simo Valakari, disse a proposito di Dia:
Infatti, una delle particolarità di Dia, confermata da numerosi compagni di squadra, era la sua attitudine a sparire nel nulla, proprio così come era arrivato. «Ali è andato al funerale di sua madre, in Francia o in Senegal, non lo so. Doveva tornare martedì e secondo il mio calendario è martedì» ha detto una volta l’allenatore della squadra, Heikki Suhonen.
Le esperienze infruttuose di Ali Dia
Insomma, Dia non convinse nessuno e dopo cinque mesi venne scaricato. Tentò il riscatto, nello stesso anno, sempre in Finlandia con il PK-35 Vantaa (durata dell’ingaggio: due mesi), e poi in Germania con il Lubecca.
Anche qui, stando a quanto dichiarato dall’allenatore dei tedeschi, Michael Lorkowski, Dia si presentò con il curriculum da cugino di Weah. Cinque goal nella prima amichevole, poi due pessimi spezzoni di partita in 2. Fußball-Bundesliga e valigie pronte alla porta d’ingresso dopo quattro mesi.
All’inizio del 1996 Ali Dia ci riprovò e si trasferì in Inghilterra per unirsi al Blyth Spartans, squadra alla prima storica partecipazione in Northern Premier League (settima serie).
L’approdo di Ali Dia in Inghilterra
Anche stavolta Dia non riuscì a spiccare, e a un certo punto deve aver pensato che i suoi insuccessi non potessero dipendere solo da lui, ma anzi, che proprio lui doveva prendere la situazione in mano per dare una svolta alla propria carriera.
Ed ecco l’idea, geniale nella sua semplicità. Se creare un finto curriculum mi ha permesso di giocare fino ad ora nelle serie inferiori, perché non provare con quelle superiori? Questo è quello che deve aver pensato in quel momento.
Il punto oscuro è come Ali Dia sia riuscito a entrare in possesso dei numeri di telefono di alcuni allenatori di Premier League. Fatto sta che dopo aver chiamato l’allenatore del West Ham, Harry Redknapp, senza risultati, il numero successivo era quello del coach del Southampton, Graeme Souness.
Non è chiaro se sia stato lo stesso Dia a telefonare o abbia preferito lasciar fare a un amico, il quale si spacciò per George Weah in persona. Secondo il fantomatico “king” George, suo cugino Ali Dia veniva direttamente da una positiva stagione in seconda divisione tedesca, aveva giocato nel PSG e pochi giorni prima aveva anche indossato la casacca della nazionale senegalese, segnando due goal.
Graeme Souness in quel momento attraversava un brutto periodo a causa degli infortuni nel reparto offensivo della sua rosa e, trovandosi davanti George Weah in persona che parlava così bene di questo attaccante, decise di dargli una possibilità:
Incredibilmente a distanza di pochi giorni, il 23 novembre, a causa di una drastica penuria di attaccanti, Ali Dia si ritrovò seduto in panchina nello stadio di Southampton, di fronte a 15mila spettatori accorsi per l’incontro di Premier League contro il Leeds.
Matt Le Tissier, forse il più grande giocatore di sempre dei Saints, ha ammesso in un’intervista di aver pensato, dopo aver visto per la prima volta giocare Dia, che si trovasse lì dopo aver vinto un qualche concorso per tifosi. Rimase sbalordito nel vederlo il sabato in panchina, e probabilmente questo influì sulla sua scelta di forzare un polpaccio dolorante e provare comunque a giocare.
Purtroppo dopo mezz’ora di gioco il dolore diventò insopportabile e Le Tissier fu costretto a chiedere il cambio. Tra lo stupore e la curiosità dell’intero stadio Ali Dia, con il numero 33 sulle spalle, esordiva in Premier League.
Forse, il modo migliore per descrivere la prestazione del calciatore senegalese è proprio usando le parole di Matt Le Tissier:
In effetti, Ali Dia venne sostituito nel secondo tempo, dopo essere comunque riuscito a sfiorare il goal grazie a un tiro, o forse un passaggio, svirgolato dal lato destro dell’area avversaria.
Era il suo momento, e quel calcio sbilenco al pallone, uguale a tanti, avrebbe potuto cambiargli la vita. Chissà, se quel tiro fosse entrato…
L’ennesima sparizione di Ali Dia
A fine partita un giornalista chiese a Souness se «l’ingresso del nuovo attaccante senegalese fosse stato dettato da un barlume di ottimismo». La risposta del coach è stata:
Purtroppo però il giorno dopo qualcuno chiamò George Weah per chiedergli delucidazioni su suo cugino, e capire se davvero fosse il campione decantato la settimana precedente. Possiamo facilmente immaginare la conversazione, ma ciò che è più difficile da realizzare è il fatto che da quel giorno, a Southampton, nessuno ha più visto Ali Dia.
Lo stesso Le Tissier ha raccontato di come, il giorno dopo la partita, Dia si sia presentato lamentando un non meglio specificato dolore muscolare e abbia lasciato il centro sportivo dopo una seduta con il fisioterapista.
Pare che Dia sia “scappato” verso nord, lasciando la sua stanza d’albergo così velocemente da dimenticare di pagare il conto. Secondo alcune fonti pochi giorni dopo era in campo per un’amichevole tra il Port Vale e il Sunderland.
Una nuova esperienza per Ali Dia
Qui decise di chiamare Peter Harrison, suo coach al Blyth e, all’epoca, titolare di un negozio di articoli sportivi. Pochi giorni dopo Dia viene tesserato dal Gateshead, infilato come regalo in un ordine per forniture da allenamento effettuato dal manager della squadra, Colin Richardson.
Il Gateshead in quel momento se la passava male e il presidente John Gibson aveva disperatamente bisogno di un acquisto per placare dirigenza e tifosi:
Al suo esordio contro il Bath City, Dia segnò un goal e fornì un assist. Il giorno dopo sul Sunday Mirror un articolo rivelò la truffa di Dia-Weah, spiegando come avesse provato il trucco con Bournemouth, Gillingham e Port Vale e che le affermazioni di aver giocato per Bologna, Paris Saint-Germain o Senegal erano nulla più che pura fantasia.
Pare che nello spogliatoio della sua nuova squadra, messo di fronte a queste accuse, Ali Dia abbia semplicemente scrollato le spalle, affermando di aver appena segnato per il Senegal in una partita di qualificazione ai Mondiali contro la Guinea. Partita che ovviamente non era mai stata giocata.
Intervistato dal Post, Dia si lamentò di essere stato ritratto come un truffatore e un poveraccio, ma «non sono né l’uno né l’altro e intendo dimostrare che le persone si sbagliano».
Alla domanda diretta del giornalista «Conosci George Weah?» Dia ha risposto di non conoscerlo personalmente ma di non sapere se Weah lo conoscesse e se avesse realmente chiamato per raccomandarlo.
Dia concluse l’intervista affermando: «Sono ovviamente deluso di non essere riuscito a farcela in Premier, ma ho fiducia nelle mie capacità e la mia unica preoccupazione ora è il Gateshead. Il mio contratto è solo fino alla fine della stagione ma, se le cose vanno bene, potrei restare più a lungo».
Non andò così. Con prestazioni altalenanti, il più delle volte deludenti, Dia non riuscì a farsi rinnovare il contratto e a fine stagione, e nonostante diversi tentativi di entrare in prova in altre società, decise di appendere le sue scarpette quasi intonse al chiodo.
Il misterioso Ali Dia nella cultura popolare
Qui le tracce diventano confuse. Secondo alcuni Dia si è successivamente laureato in economia, secondo altri non è mai esistito un giocatore di nome Ali Dia. Non c’è traccia di Ali (o Aly) Dia nel registro elettorale del Regno Unito, e secondo Harrison «potrebbe aver cambiato nome, o forse non è mai stato davvero il suo nome».
L’intera vita di Dia è avvolta in una coltre che rende impossibile perfino capire se il ragazzo venisse realmente dal Senegal. Una delle poche cose che ci restano della sua esperienza è proprio il ricordo del suo esordio e la certezza che, anche se in un modo forse improprio, quel ragazzo è riuscito a creare da sé il suo momento topico, quello che può cambiare la vita.
Purtroppo per Dia (e forse anche per noi che godiamo e viviamo per storie come questa) la sua possibilità è andata persa con quel pallone finito sul fondo del campo invece che in fondo alla rete. Ma d’altronde, per quanto possiamo sforzarci di deriderlo e compatirlo, c’è una verità di fondo con la quale dovremo sempre fare i conti, e cioè che i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.