Arriva per tutti, nella vita, quel momento in cui “o la va o la spacca”. Joao Gilberto era a quel punto mentre suonava davanti a Tom Jobim, che già da qualche anno godeva dell’unanime apprezzamento del pubblico brasiliano. Tom non poteva saperlo, ma quelle poche ore che aveva concesso a Joao erano destinate a cambiare profondamente la cultura e la musica brasiliana. Vinicius de Moraes, collezionista di grandi nomi e già amico di Tom, non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di entrare nella storia del proprio paese. Nemmeno lui poteva conoscere, però, la portata del cambiamento a cui aveva deciso di partecipare.
Quando Tom Jobim sentì suonare il campanello e si vide entrare in casa Joao Gilberto, rimase stupito dalla trasformazione che sembrava avere subito dall’ultima volta che lo aveva visto. Tom era forse uno dei pochi che si ricordava di quel ragazzo che vagava di notte per Copacabana con la testa su un altro pianeta e i capelli che cadevano sul colletto. Non erano mai stati grandi amici, ma Tom – che negli anni di esilio di Joao era diventato un compositore professionista della Odeon, ricercato e riconosciuto – aveva girato tutti i pianoforti dei locali notturni e ogni tanto aveva incrociato la propria strada con quella di Joao. Ma ciò che sorprese Tom ancora di più fu il materiale che Joao era venuto a mostrargli. Non soltanto aveva abbandonato la pedissequa imitazione vocale dei grandi cantori del passato per maturare uno stile più pulito, dall’intonazione precisa e con meno vibrato (molto vicino a quel Chet Baker che in quegli anni andava molto di moda), ma il ritmo che batteva sulla chitarra era qualcosa di mai ascoltato prima. Lo stupore era tanto più giustificato dal fatto che Joao, nella testa di Tom, era sempre stato un cantante prima che un chitarrista e quindi non lo associava direttamente allo strumento. Eppure, quella batida sembrava garantire la possibilità di esprimere tutte le libertà armoniche e melodiche che Tom stava studiando e dopo che Joao gli fece ascoltare un paio delle sue canzoni – ovviamente “Bim-bom” e “Ho-ba-la-là” – Tom si convinse che Joao era quello che gli serviva per fare il passo successivo nella propria carriera artistica.
Erano già alcuni anni che Tom lavorava a stretto contatto con una delle personalità di spicco nel panorama politico e letterario brasiliano del tempo. Nel 1953, aveva infatti incontrato e condiviso, dopo una serata nel Club de Chave, una cena a tarda notte – sarebbe meglio dire di prima mattina – con Vinicius de Moraes. Diplomatico riottoso, che spesso era stato volutamente mandato a ricoprire incarichi lontano dai confini nazionali. Nonostante questi continui “piccoli esili” gli avessero procurato non pochi bruciori allo stomaco, gli avevano anche permesso di passare molto tempo all’estero: era stato a Los Angeles a metà degli anni ’40, e dal ’53 era segretario d’ambasciata a Parigi. In Brasile, oltre a essere conosciuto per la sua provenienza da una famiglia molto facoltosa e per il suo essere un noto bon vivant, era molto apprezzato come poeta, compositore, cantante e drammaturgo e aveva iniziato una collaborazione stretta con Tom Jobim quando era ancora un pianista sconosciuto ai grandi palchi. Tom e Vinicius, nonostante due caratteri quasi opposti, si erano trovati da subito e il loro duo era destinato a incidere profondamente sulla cultura brasiliana.
Tom era rimasto ipnotizzato dalla batida di Joao e si era messo a cercare nel proprio repertorio qualcosa che si prestasse a quel tipo di ritmo: bisognava studiarlo bene, componendoci sopra o tentando di adeguarvi qualche canzone già pronta. Dai cassetti strapieni del suo studio, tirò fuori una musica che aveva scritto a margine di un importante lavoro fatto con Vinicius. Era composta su un chorinho molto complesso che aveva sentito intonare da una domestica nella casa materna. La naturalezza con la quale la donna intonava una melodia così difficile lo aveva colpito, tanto che aveva pensato di tentarne una riproposizione. Il risultato non sembrava potesse avere grande futuro, ma Tom decise di presentarlo in ogni caso a Vinicius che, nonostante avesse le valigie già pronte per Parigi, restò volentieri per tentare di scrivere un testo per quella strana samba-cançao. Anni dopo, Vinicius avrebbe confessato quanto fosse stato difficile scrivere un testo che si adattasse metricamente e melodicamente a quello strano andirivieni di armonie che gli aveva proposto Tom, sebbene, da un punto di vista del contenuto, il testo si presentasse fin troppo semplice. I pochi che l’avevano letto, infatti, si erano accaniti contro alcune scelte di Vinicius: sua moglie Lila aveva criticato la rima tra bacini e pesciolini definendola una vera e propria sciocchezza, ma Vinicius l’aveva liquidata sottolineandole il suo borioso snobismo. Del resto, Tom e Vinicius l’avevano trattato fin dal principio come un gioco (un po’ di “riposo” tra un lavoro e l’altro) e il destino della canzone era rimasto molto incerto finché la resurrezione di Joao Gilberto aveva fatto sì che Tom se ne ricordasse e che Chega de saudade uscisse dal dimenticatoio.
Mentre Tom e Vinicius si fregavano le mani, se qualche creditore avesse rivoltato le tasche di Joao avrebbe trovato solo una manciata di ragnatele. Dormendo per terra nella piccola pensione di Botafogo che divideva con un amico, Joao incrociava le dita pregando che Tom si rivelasse utile almeno la metà di quanto sperava. Per ora viveva ancora con pochissimi soldi e molti debiti, saltuariamente qualche nottata a suonare la chitarra, giusto per farsi vedere un po’ in giro: come sempre, nulla di concreto e niente che potesse assicurargli il pane in tavola (e forse, in breve tempo, neanche la tavola). Sembrava che nulla fosse cambiato rispetto a quando, anni prima, aveva deciso di scappare dall’ombra del Redendor. Eppure iniziava a respirare un’aria diversa, anche se forse ancora inconsciamente.
La prima versione di Chega de saudade uscì nel 1958 e a cantarla fu Elizete Cardoso in un LP che si intitolava Cançaco do amor demais, che non solo era il primo interamente dedicato al duo Tom-Vinicius, ma vedeva anche Joao Gilberto come chitarrista principale in due brani, cioè Outra vez e, ovviamente, Chega de saudade: per la prima volta nella storia della musica, veniva incisa la batida tipica della bossa nova.
Ma Joao non era per niente soddisfatto. Elizete trattava le canzoni come fossero parte di un repertorio sacro e rifiutava i suggerimenti di Joao (a detta dei presenti, parecchio pedanti) sul modo di cantare, sull’intonazione, sulla metrica da usare: era troppo impostata, troppo seriosa, mentre Joao la voleva dolce, leggera e sussurrata. Elizete aveva fatto capire chiaro e tondo a Joao che dei suoi consigli non aveva bisogno e lui si era lentamente messo sempre più in disparte, sentendosi quasi un corpo estraneo durante le prove e le registrazioni. Anche le sue parti di chitarra, che pure avevano lasciato ammaliati coloro che le avevano ascoltate, non lo avevano convinto: quello era l’album di Elizete, non il suo. Il suo nome non compariva né in copertina né sul retro. Il perché né Tom né Vinicius si fossero premurati di inserirlo resta a tutt’oggi un mistero.
Ma Tom lo aveva preso sotto la sua ala protettiva: si era già mosso perché Joao potesse incidere la propria versione di Chega e farla sentire a qualche discografico. Nel giro di qualche mese fu la Odeon a dare carta bianca per la registrazione di un piccolo LP con due lati: Chega de saudade e Bim-bom. Questo avrebbe dovuto abbattere i costi e Tom aveva assicurato che le registrazioni sarebbero state poco costose e veloci, con arrangiamenti semplici e poche richieste. Nonostante sia lui che Vinicius godessero di ottima reputazione e non avessero grossi problemi a ottenere ciò che chiedevano, a tutti pareva impossibile che il pezzo cantato da Elizete (che non aveva entusiasmato il pubblico) potesse cambiare radicalmente se cantato da un sostanziale sconosciuto. Non c’erano margini di errore; tempo e budget non erano illimitati. Ovviamente, Joao era di un’altra opinione. Bastarono pochi minuti in studio di registrazione perché tutti capissero quanto sarebbe stato complesso lavorare con lui. Se non fosse bastata l’iniziale richiesta di due microfoni, che in Brasile non si usavano se non in casi eccezionali e facevano lievitare i costi, Joao tenne tutti in apnea con una serie di litigi furiosi con praticamente tutti i suoi strumentisti, che erano, ovviamente, molti più di quelli preventivati alla casa discografica: pare che in sala registrazione ci fossero ben quattro percussionisti. A cosa servissero esattamente sembrava saperlo solo Joao.
Li rimproverava per il tempo delle entrate, obbligandoli a fermarsi e a ripetere in continuazione e, quando per puro caso l’ingresso fosse giusto, era l’intonazione a non piacergli, o l’intenzione, o altre piccolezze che sembrava sentire solo lui. Possibile fossero diventati tutti sordi tranne Joao? Quando arrivò lo scontro titanico con lo stesso Tom Jobim, per un momento, tutti pensarono che la registrazione sarebbe andata a gambe all’aria e iniziarono a farsi i conti in tasca per capire come pagare le penali che ne sarebbero conseguite. Per fortuna di tutti, lo screzio tra Tom e Joao si concluse a battute e grosse risate. Finalmente, il 10 luglio del 1958, Chega de saudade e Bim-bom videro la luce.
Dopo questo lavoro estenuante non restava che lanciare il disco e vedere la risposta del pubblico. Per quanto oggi possa sembrare strano, la Odeon sperava soprattutto in un riscontro positivo tra il pubblico più giovane che sembrava condividere la stessa voglia di novità che aveva animato Joao negli anni della ricerca musicale. Nei primi mesi dall’uscita non successe assolutamente niente: l’attenzione di tutta la nazione era rivolta da un’altra parte. Poco più di un mese prima, un diciassettene di nome Pelè aveva alzato la Coppa Rimet schiantando con una doppietta in finale la Svezia di Nils Liedholm. L’intero Brasile non aveva occhi e orecchie che per questo trionfo in terra Europa e dalle radio usciva solo “La Taça do Mundo è nossa” (“La Coppa del Mondo è nostra”), canzone che aveva accompagnato la vittoria del Brasile. Nessuno poteva immaginare che mentre la Seleçao si guadagnava la gloria tra i ghiacci di Solna e festeggiava la consacrazione della sua nuova divinità calcistica, dai torridi studi della Odeon fosse pronta a uscire una delle stelle più luminose dell’intero firmamento artistico brasiliano. Almeno all’inizio, Joao fu costretto a inghiottire l’ennesimo boccone amaro della sua carriera.
Ma Joao aveva aspettato anni per vedere la sua musica prendere finalmente vita e non aveva di sicuro paura di aspettare qualche altro mese prima di vederle riconosciuto il giusto valore. Era anzi assolutamente determinato a non sciupare questa enorme occasione, anche perché la miseria in cui si trovava non gli dava alternative.
L’ultimo colpo in canna della Odeon per la promozione dell’album era il lancio del 78 giri sul mercato di San Paolo, il più grosso mercato dell’intero Brasile. Non che la cosa fosse facile. La filiale paulista della Odeon aveva i suoi direttori e, almeno al primo ascolto, quella strana samba-cançao cantata in quel modo sussurrato da un semi-sconosciuto di nome Joao Gilberto non li aveva particolarmente colpiti, sebbene alla fine si fossero decisi ad investire. Dopotutto si parlava pur sempre di Vinicius de Moraes e Tom Jobim, senza contare che una serie di persone di spicco nel panorama musicale e discografico brasiliano si erano mosse in prima persona, confermando la bontà del lavoro. Dopo qualche mese di campagna promozionale in cui Joao si convinse a seguire tutta l’umiliante trafila di comparsate, pubblicità, piccole apparizioni e primi (a volta anche fallimentari) concerti, l’album riuscì a sfondare sul mercato di San Paolo e le vendite aumentarono esponenzialmente in brevissimo tempo. A quel punto, l’effetto di ritorno a Rio era solo una questione di tempo, anche se il successo della canzone non pareva destinato a fermarsi ai confini nazionali. Lentamente si stava affacciando sui mercati europei, portato dai più attenti e curiosi scout discografici europei: l’accoglienza sembrava ottima (forse anche migliore che in Brasile). Dopo le quindicimila copie venduta tra agosto e dicembre del ’58, nel gennaio-febbraio del 1959 un nuovo LP registrato con lo stesso titolo avrebbe fatto il tanto sospirato boom, vendendo in brevissimo tempo più di trentacinquemila copie. Nessuno poteva immaginare che, al 1990, avrebbe superato il tetto dei cinquecentomila dischi e che quel minuto e cinquantanove avrebbe sconvolto il panorama musicale mondiale.