Di primo acchito apparirebbe semplice identificare i connotati politici della grande industria del cinema occidentale. Hollywood è democratica perché i repubblicani il cinema non lo fanno, non è cosa loro: uomini e donne di questo tipo non hanno il tempo né la sensibilità per dedicarsi alle arti e vanno dritto al sodo. Oppure quando lo fanno è per veicolare una propaganda: antimodernista, anticomunista, antiprogressista. Come spiegheremmo però John Wayne, Barbara Stanwyck, Jimmy Stewart, Clark Gable, Fred Astaire, James Cagney e altri? Ovvero, come spiegheremmo il fatto che i più grandi divi classici votavano per il Partito Repubblicano? Anzitutto con una questione storica. Hollywood cioè non è sempre stata quella che conosciamo noi oggi, così come parimenti è cambiata l’America e con lei sono mutati anche i due rispettivi partiti. Il Gop di Eisenhower poco o nulla ha a che vedere con quello che conosciamo noi oggi, ma è anche diverso dal Gop di vent’anni fa.


Barbara Stanwyck ©BFI

Uno tra i motivi edotti alla fede conservatrice di numerosi divi pertiene il tema fiscalità. I divi di Hollywood guadagnavano molto ed è probabile che tra loro alcuni votassero repubblicano per una questione di tassazione e null’altro. Niente di più probabile, ma la delucidazione non sarebbe esaustiva. Qualcuno potrebbe mai sospettare che il Generale d’aviazione Stewart e il granitico John Wayne – vivente monumento di sé stesso –  non siano stati dei ferventi conservatori?

Andiamo con ordine, perché abbiamo citato personaggi importanti appartenenti al periodo classico. Un periodo forse a predominanza repubblica, ma in fin dei conti in bilico. I Dem a Hollywood c’erano anche nella Golden Age, e non pochi. Nemmeno sfiguravano. Poi venne a metà degli anni ’50 il maccartismo, la caccia alle streghe che ridefinì gli equilibri della politica americana a Hollywood, facendo emergere gli ultraconservatori, quelli che si spendevano per un nazionalismo bieco e senza senso, forse spaventati a morte dalla minaccia comunista, ma anche allevando una leva di uomini che si rifiutarono di rientrare in questo delirio. Delatori e spie entrarono come avventurieri in questa vicenda della storia d’America, ma anche uomini coraggiosi come Humphrey Bogart che rifiutarono di testimoniare.

Katherine Hepburn ed Henry Fonda erano i capostipite democratici di quel periodo, quest’ultimo amicissimo del repubblicano Stewart; la figlia di Fonda, Jane, farà poi politica per anni, anche in maniera sospinta, con la causa democratica e antimilitarista. Alcune sue foto saranno materia di scandalo durante la guerra del Vietnam.

John Wayne a una Convention nazionale del Partito Repubblicano

Alla Hepburn e a Henry Fonda faceva compagnia Burt Lancaster, che Nixon inserì tra i 575 personaggi “critici” e il suo amico e compare Kirk Douglas, che per i personaggi interpretati sullo schermo non avrebbe potuto essere che Dem. Fu anche il periodo del maccartismo a definire però i connotati di alcuni repubblicani, Robert Taylor in primis e sua moglie Barbara Stanwyck appresso a lui: una donna sanguigna (qualcuno ha ancora negli occhi, per dire, Quaranta pistole?) che fu anche tra i pochi personaggi pubblici del dopoguerra a schierarsi apertamente contro Roosevelt. Ovviamente l’archetipo dell’attore di destra e di un certo conservatorismo suprematista rimaneva John Wayne il cui soprannome, Il Duca, lasciava scarso spazio a interpretazioni arbitrarie.  

Col finire dei ’50 si aprì nell’Industria americana una nuova sensibilità, di nuovi attori, meno divi dei precedenti, che raccontavano insieme ai registi che li dirigevano di un mondo nascente, quello di giovani afflitti dal malessere, dal problema delle droghe, da famiglie che si disfacevano. Problemi sociali soprattutto. Allora fiorì una generazione di importanti attori Dem, o simpatizzanti tali. Marlon Brando e Paul Newman ne erano i vessilli più rappresentativi. Entrambi parteciparono alla marcia su Washingont del ’63, quella in cui era presente anche –e far sorridere a leggerlo– Charlton Heston, che divenne poi Repubblicano e presidente della National Rifle Association. Anche Reagan e Sinatra seguirono queste orme: democratici prima, poi convintamente dall’altra parte.

Con la New Hollywood l’ambiente cinematografico californiano proseguì nella direzione Dem; all’impegno politico di Paul Newman si affiancò quello di Robert Redford, ma una pedina fondamentale di quel periodo fu anche Warren Beatty, il fratello di Shirley McLaine. Beatty ebbe una lunga amicizia col repubblicano Senatore McCain che può sorprendere fino a un certo punto, visto che McCain, che apparteneva a quella corrente del Gop piuttosto tiepida, era uno degli uomini più stimati dall’altra parte della barricata.  Ma in quegli anni non mancarono Star un po’ eterodosse che si fecero testimonial del Gop. Due li troviamo nel cast del Padrino, James Caan (molto conservatore, ora forse una delle vecchie star più a destra) e Robert Duvall, il quale si è stancato oggi del Partito – forse più precisamente di Trump- e da anni ne ha preso le distanze. Uno degli ultimi divi di un vecchio mondo hollywoodiano e non solo a rimanere di destra fu Robert Mitchum, l’uomo con la malinconia cucita nel volto. Era un magnifico perdente e sullo schermo incarnò sempre il fatalismo oscuro del noir.

Paul Newmann alla convention democratica del 1968

Oggi Hollywood è ultradem. Si sprecano i discorsi sull’ecologia e sul progresso e a fasi alterne paiono atti compilatori tanto che c’è da domandarsi quanto siano diventati una routine oltre la mera sincerità dei singoli che li pronunciano. Clooney, Di Caprio, Hanks, Pitt, insomma i grandi divi del nostro tempo mettono tutti la croce sull’asinello.

I pochi repubblicani che sopravvivono al sistema fanno un po’ macchia: Schwarzenegger traslò da Hollywood alla California, poi ci sono James Woods e Robert Downey Jr. tra i volti più noti. Il mito repubblicano che poteva essere considerato John Wayne nei ’50 e ’60 passa negli ultimi decenni il testimone a Clint Eastwood, che però a differenza del Duca più che il tipo conservatore incarna quello del libertario, tanto da essere estraneo persino alle logiche del partito che ha sempre sostenuto. Certo il vecchio Clint non si è mai presentato coi tratti dell’uomo moderno. In linea di massima la destra è più eterogena dei progressisti, anche se – di contro – il suo tipo sullo schermo è più facilmente identificabile: più malinconico e paternale, talvolta romanticamente legato ai grandi spazi del West, poco incline a conformarsi all’ipocrisia della borghesia “civilizzata” dell’Est.