Vi sarà capitato di pensare di qualcuno che sia pieno di pregiudizi e di stereotipi e di considerarlo, per esempio, razzista. Allo stesso modo potrà esservi successo, in alcune occasioni, di aver paura di essere considerati razzisti o sessisti. 
Come vi comportate quando vi incontrate per la prima volta con una persona di colore? Cercate di farle capire che non siete razzisti? Siete completamente a vostro agio?

Sebbene quasi tutti siano concordi nel ritenere pregiudizi e stereotipi un problema sociale, si tratta ancora di fenomeni diffusi.
La questione è complessa, perché nella formazione dei pregiudizi e degli stereotipi intervengono fattori culturali e di contesto, ma anche modalità di elaborazione delle informazioni automatiche e profonde.

Per affrontare l’argomento è necessario fare una distinzione tra pregiudizio e stereotipo.

Il pregiudizio è un atteggiamento che crea o mantiene relazioni di status gerarchico tra gruppi, e si esprime tipicamente come una valutazione negativa di un altro gruppo. In alcune forme, ad esempio nel sessismo benevolo, si maschera come politically correct, riconoscendo alle donne una serie di qualità positive (come sensibilità, accoglienza, empatia ecc.) definendole esseri speciali, preziosi, da vezzeggiare e proteggere. Tale atteggiamento protettivo rimarca però, seppur implicitamente e con “affetto”, una loro minorità e un ruolo subalterno a quello maschile.

Bisogna distinguere inoltre tra il pregiudizio esplicito, consapevole e intenzionale, da quello implicito, che si attiva automaticamente, spesso senza consapevolezza. Quest’ultimo a volte è il riflesso di una paura inconscia, rispetto a persone e a gruppi per i quali non si prova a livello cosciente un sentimento negativo.

Lo stereotipo invece rappresenta una generalizzazione, l’attribuzione di determinate caratteristiche ai membri di una categoria.

Entrambe sono condotte discriminatorie, comportamenti e atteggiamenti scorretti verso i membri di un gruppo, solo in virtù dell’appartenenza allo stesso. La discriminazione può basarsi su moltissimi fattori tra i quali l’etnia, la religione, il genere, l’essere portatori di un particolare handicap.

Ma se, come accennato all’inizio, probabilmente nessuno può dirsi davvero completamente libero da pregiudizi e stereotipi, perché questi fenomeni sono così difficili da eradicare?

Le scorciatoie della mente

Le ragioni alla base dei nostri preconcetti sono da ricercarsi nei limiti della nostra mente.  Secondo una prospettiva recente i fenomeni di discriminazione possono essere letti come maggiormente imputabili alle macchinazioni della mente piuttosto che alla malizia del cuore. Gordon Allport, uno dei più noti studiosi di Psicologia Sociale, lo spiega nei termini di economia cognitiva: nel confrontarci con il mondo dobbiamo massimizzare l’energia mentale in alcuni compiti molto importanti (come il lavoro o lo studio) e semplificare il resto della realtà.

Il cervello umano è un processore a capacità limitata, dotato di due modalità principali di pensiero: deduttivo e induttivo. Il primo è logico, basato sull’analisi dei dati e la ricerca di prove, su un’analisi profonda e dispendiosa in termini di energie mentali. Il pensiero induttivo invece è una modalità di affrontare i problemi che si basa più sull’intuizione che sulle prove. L’evoluzione dell’uomo ha premiato soprattutto il ragionamento induttivo, più rapido anche se impreciso. Se i nostri antenati avessero fatto attente analisi davanti ad ogni animale per decidere se fosse una preda o un predatore probabilmente sarebbero morti sbranati o denutriti.

Classificare le persone in gruppi ci permette quindi di non studiare ogni singolo individuo che incontriamo, ma di reagire automaticamente alle diverse categorie. Un bel risparmio di energia. Ma purtroppo questo tipo di classificazione comporta un elevatissimo costo sociale.

La nostra mente ci inganna inoltre anche per darci una coerenza di pensiero. La ricerca degli ultimi decenni ha mostrato, per esempio, che per sostenere le nostre credenze, e quindi anche i nostri pregiudizi, tendiamo a rilevare e registrare solo i dati che confermano le nostre ipotesi. Allo stesso modo siamo propensi ad accentuare le somiglianze tra i membri di un gruppo e ad essere ciechi alle loro differenze. Quando un comportamento conferma lo stereotipo, la nostra mente non cerca più spiegazioni e fattori motivazionali, ma accetta la nuova prova come una conferma della propria credenza.

Non è un caso se le giurie tendono a ritenere più probabilmente una persona innocente quando si presenta vestito bene e curato, mentre tendono a ritenerlo colpevole quando ha un aspetto strambo.

I nostri pregiudizi sono le nostre amanti; la ragione è al meglio nostra moglie, molto spesso necessaria, ma raramente considerata.

Lord Chesterfield

Possibili strategie

Lavorare sulla nostra consapevolezza può aiutarci a superare pregiudizi e stereotipi. La ricerca in psicologia sociale, inoltre, ha sottolineato come esistano alcune condizioni favorevoli all’attenuarsi delle condotte discriminatorie.

In particolare, il contatto intergruppo e la ricategorizzazione sono risultate strategie di intervento efficaci.

Le esperienze di contatto promuovono la riduzione del pregiudizio e la qualità del contatto sembra più importante della frequenza delle interazioni. A volte le opportunità di contatto diretto possono essere limitate, per esempio a causa della distanza fisica. In queste condizioni si possono usare forme indirette, come la simulazione mentale di esperienze di contatto positive (contatto immaginato) e le interazioni virtuali mediate dalla tecnologia, per esempio dai social network.

Alcuni interventi si sono concentrati sul fenomeno della classificazione stessa dei gruppi. Si parla di ricategorizzazione quando si incoraggiano le persone a concentrarsi sugli elementi condivisi tra i gruppi (per esempio, viviamo tutti in Italia, oppure siamo tutti giovani, siamo tutte donne ecc.) e a percepire così un livello sovraordinato (un “noi”) che avvicina i gruppi nella mente delle persone. Si parla di decategorizzazione quando si incoraggiano le persone a valutare le caratteristiche dei singoli membri, riconoscendo le differenze che sussistono sempre anche fra gli individui che fanno parte dello stesso gruppo.