La guerra italo-turca fu l’ultima soluzione di un trentennale tentativo italiano di penetrazione nell’area nord Africana del vilayet (unità amministrativa ottomana, equiparabile ad una regione) di Tripoli a cui appartenevano i Sanjak (unità amministrativa ottomana, equiparabile ad una provincia) di Bengasi e del Fezzan.
Il territorio nord africano di interesse italiano si presenta come un una grossa distesa desertica, priva di corsi d’acqua perenni a causa del clima. Verso l’interno si hanno dei piccoli rilievi arrivando ai quasi 2300 metri s.l.m. dek Bikku Bitti. Le oasi si rivelano dei punti chiave del territorio dove popolazioni nomadi di pastori hanno sempre trovato ristoro. Questi snodi carovanieri hanno sempre avuto un ruolo chiave nella geografia umana del territorio libico, allora come oggi centri di sosta dei traffici, leciti o meno, del Sahara. La posizione al centro del Mediterraneo ha reso la Libia il naturale punto di sbocco delle arterie subsahariane.
Fu soltanto nel 1911 che il governo di Giovanni Giolitti, consolidata la situazione economica e assicuratisi gli appoggi diplomatici necessari, decise di chiedere al governo ottomano il riconoscimento degli interessi italiani attraverso la concezione di un protettorato; non si voleva subito aggredire l’impero ottomano, ma l’arrivo al potere dei giovani ottomani a Istanbul cambiò lo scenario. Immediatamente la politica italiana, sicura di un appoggio dalla popolazione libica, annunciò l’avventura coloniale. In fase di pianificazione mancò l’integrazione tra la politica e il mondo militare. La fretta con la quale le operazioni dovettero iniziare impose tuttavia una accelerazione dei tempi di alcuni giorni, tanto che la prima occupazione di Tripoli fu effettuata con forze di marina in attesa del corpo di spedizione, al comando del Generale Caneva, in transito nel Mediterraneo.
I primi mesi videro gli italiani fortificare le zone costiere, mentre gli ottomani insieme ai libici si rifugiarono nell’entroterra per tentare degli attacchi, soprattutto notturni. Il primo vero scontro vi fu il 24 ottobre 1911 nella zona di Sciara Sciat: un attacco alle postazioni fortificate italiane che causò centinaia di morti: lo spettro di Adua iniziò ad aleggiare a Roma. L’evento condizionò Caneva che ridusse ancora di più il perimetro difensivo italiano. Intanto da Roma veniva chiesta una azione offensiva importante. L’evento di Sciara Sciat diede, anche indirettamente, impulso alla tecnologizzazione del conflitto.
Gli aeroplani costituirono, insieme alla radio portata al fronte direttamente da Marconi, la vera novità tecnologica della campagna. L’impiego di aerei consentì l’esplorazione ad ampio raggio e in maniera sicura. Le azioni nella terza dimensione, seppur non ancora dottrinalmente teorizzate, costituirono una innovazione. Si ricordano il lancio di una granata Haasen da 2kg sugli accampamenti ottomani e il primo lancio di volantini, in una sorta di operazioni psicologiche. La pressione governativa portò alle prime azioni che l’otto giugno portarono al primo grande scontro di Zanzur. Mentre l’occupazione italiana in Tripolitania prendeva forma, sia pure lentamente, in Cirenaica le posizioni italiane erano invece sempre pressoché assediate dal nemico; Giolitti decise allora un cambio di gestione. Il 2 settembre Caneva fu sostituito nel comando da due generali, Ragni e Briccola, rispettivamente responsabili delle operazioni in Tripolitania e Cirenaica, e in Libia furono avviati ulteriori rinforzi che portarono il totale a oltre 100.000 uomini.
I nuovi comandanti ripresero dunque l’offensiva, riscuotendo altri due successi: il 17 settembre Briccola sconfiggeva Enver a Res el Leben nell’entroterra di Derna e tre giorni dopo Ragni occupava infine Zanzur, completando l’occupazione della regione attorno a Tripoli.
Non si trattava però di successi definitivi. La resistenza proseguiva infatti nel cuore del deserto.
Per forzare il nemico alla trattativa, dato il crescente malumore delle potenze europee, il governo italiano decise allora di intensificare le operazioni navali, colpendo l’Impero Ottomano in Mar Rosso, in Libano, negli stessi Dardanelli. La guerra si concluse formalmente con il trattato di Losanna nell’ottobre del 1912.
Dopo circa un anno di guerra l’impresa di Libia, come venne subito ribattezzata, divenne l’ultimo tentativo italiano di penetrare in nord Africa dopo lo schiaffo di Tunisi.
La corsa ai territori libici non aveva delle finalità energetiche o agricole, ma strategiche, di fatto la posizione della Libia avrebbe dovuto agevolare il ruolo italiano nel Mediterraneo centrale. Questa politica era volta a dare un ruolo internazionale all’Italia che si poneva come terza potenza mediterranea dopo Gran Bretagna e Francia.
L’azione italiana era sui tavoli militari già all’indomani dello smacco di Tunisi, numerosi piani di sbarco vennero elaborati dal Corpo di Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano: la politica impiegò quasi trent’anni per prendere una decisione che fosse in grado di indirizzare un’azione militare per fini di politica internazionale e quando fu presa non venne coordinata.
La Prima Guerra Mondiale allentò la presenza italiana in nord Africa tanto da far continuare la guerriglia fino ai primi anni trenta, di fatto i libici non accettarono mai la presenza italiana sul proprio territorio.
Tra il 1921 e il 1931 si combatté in Libia una feroce guerra contro la resistenza locale, che portò alla costruzione di un reticolato di filo spinato lungo i 300 km di confine con l’Egitto a est a alla deportazione di intere popolazioni nomadiche in campi di concentramento. La tecnica del Maresciallo Graziani del « togliere l’acqua al pesce » portò alla «pacificazione » del territorio che diede l’opportunità politica a Mussolini di poter dichiarare che il Fascismo fosse difensore dell’Islam. Questa apertura al filoarabismo di matrice britannica, dopo il ridimensionamento della guerriglia senussita, portò ad un cambiamento della politica coloniale in nord Africa, arrivando alla concessione della cittadinanza italo-libica ai musulmani libici. Le attività in favore della colonia del governo italiano raggiunsero l’apice quando venne nominato Governatore Italo Balbo. Sotto il suo governatorato vennero implementate le politiche infrastrutturali e demografiche, fu allora che si preparò la massiccia emigrazione di migliaia di contadini italiani provenienti dalle regioni più povere della penisola. La cosiddetta «colonizzazione dei Ventimila» rientrava nel progetto fascista di trasformare la Libia nella «Quarta sponda».
Allo scoppio del secondo Conflitto la Libia divenne uno dei fronti principali del tentativo italiano di bloccare il flusso dei rifornimenti britannici attraverso il canale di Suez, ma la battaglia di El-Alamein pose fine ai progetti italiani con la conseguente perdita del controllo italiano sulla quarta sponda.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, la comunità internazionale delle Nazioni Unite si trovò a discutere dello status delle colonie italiane. Questo dibattito fu molto acceso sia in campo nazionale che internazionale. I partiti italiani di entrambi gli schieramenti, almeno fino alle elezioni di aprile del 1948, spingevano per una restituzione delle colonie pre-fasciste (Eritrea, Somalia, Libia, isole egee). Persino il Partito Comunista era in accordo con l’Unione Sovietica per garantire a Mosca delle postazioni strategiche nel Mediterraneo (Libia) e nel mar Rosso (Somalia). Intanto il governo, nell’alveo delle trattative che portarono alla firma del trattato di Parigi del 1947 che pose fine alla guerra per l’Italia, intavolò dei colloqui segreti soprattutto con la Gran Bretagna: gli accordi segreti Bevin-Sforza. Questi accordi prevedevano per la Libia una sparizione a tre: sarebbe stata suddivisa in tre diversi mandati su base geografica, tutti sottoposti alla supervisione del Trusteeship Council delle Nazioni unite. Il piano prevedeva nello specifico che la Cirenaica sarebbe stata amministrata dalla Gran Bretagna, il Fezzan dalla Francia e la Tripolitania dall’Italia. A questa proposta si contrapponeva quella sovietica:
l’Unione Sovietica preferiva che la Libia venisse divisa in tre amministrazioni mandatarie sotto controllo di Mosca, Londra e Parigi; la Gran Bretagna, ufficialmente, avrebbe voluto concedere immediatamente l’indipendenza alla Libia, senza alcuna fase di amministrazione mandataria. Per via della diversità delle posizioni degli Alleati, la soluzione che infine prevalse e che trovò formalizzazione nel trattato di pace del febbraio 1947 prevedeva che la Libia avrebbe mantenuto l’organizzazione imposta dai britannici dopo El-Alamein sino a un successivo momento in cui il suo futuro sarebbe stato deciso.
La soluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel riassetto delle colonie italiane, sancito nel 1949, decise per l’indipendenza libica che si sarebbe dovuta realizzare entro 1952.
Durante la fase di transizione l’amministrazione del paese fu affidata ad un Consiglio di dieci membri, composto dai rappresentanti di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, oltre che da un rappresentante per le minoranze libiche. Ai libici nel Consiglio vennero affiancati dei rappresentanti dei governi di Italia, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Pakistan. Al fine di monitorare il processo di transizione verso un governo autonomo libico, l’Assemblea generale delle Nazioni unite nominò l’olandese Adrian Pelt come commissario internazionale. Il nuovo stato libico venne affidato alla confraternita senussita, che proclamò Idris I re della Libia il 24 dicembre 1951.
Il carattere della politica estera di Idris si dimostrò subito allineata alla Lega Araba dove entrò nel 1953; verso l’occidente fu molto aperta, fornendo persino alcune basi militari a USA e Gran Bretagna, mentre si mantenne defilato nei confronti dell’URSS.
A fine anni cinquanta la Libia scoprì dei giacimenti petroliferi in Cirenaica, provocando un aumento dell’interesse straniero per la regione.
Le opportunità che potevano derivare dallo sfruttamento dei giacimenti non fu colta dal governo di Idris che mantenne circoscritta alla Cirenaica i benefici dell’estrazione petrolifera, provocando il malcontento delle restanti regioni che iniziarono ad avvicinarsi al movimento pan-arabo di Nasser.
Il regno di Idris I, delegittimato di fronte all’opinione pubblica e con un controllo sempre minore dell’esercito, finì nel giugno 1969, quando il Re lasciò il trono, apparentemente per motivi di salute. Il potere reale venne affidato al principe ereditario Hasan ar-Rida in qualità di reggente della Monarchia libica, ma non rimase a lungo al potere. Infatti il 1° settembre 1969 un gruppo di golpisti formato da circa settanta ufficiali dell’esercito prese il controllo del potere, abolendo la Monarchia.
Dal golpe del 1969 emerse una figura fondamentale nella vita politica della Libia per i decenni successivi: un giovane e carismatico ufficiale, il Capitano Mu’ammar Gheddafi che l’8 settembre 1969 fu nominato colonnello dal Consiglio rivoluzionario. Da questo momento Gheddafi iniziò a gettare le basi del suo potere personale, durato fino al 2011. Negli anni la Libia di Gheddaffi assunse un ruolo importante per il movimento pan arabo, diventando lo sponsor di movimenti dell’ estremismo islamico di stampo eversivo.
Le prime mosse del nuovo regime, oltre alla ovvia revoca delle concessioni petrolifere, fu l’espulsione delle basi militari britanniche e delle comunità italiana ed ebraica. L’atteggiamento sprezzante e polemico con i paesi occidentali, soprattutto con la ex-potenza coloniale italiana, fu da subito una costante della nuova Libia, che inaugurò una politica di amicizia con i paesi non allineati.
Gheddafi pretendeva di dare alla Libia un ruolo da potenza regionale, intervenendo nelle crisi africane. Tra gli interventi di maggior rilievo vi è sicuramente quello in Ciad nel 1978.
La guerra durò per circa otto anni con alterne vicende fino a quando intervenne la Francia. Con il supporto di Parigi nel 1987, l’esercito del Ciad passò alla controffensiva respingendo l’esercito libico fuori dai confini del paese. Durante il ritiro libico vennero catturati anche degli ufficiali, fra cui uno dei comandanti del contingente libico, il generale Khalifa Haftar. Quest’ultimo, dimostratosi critico verso la gestione bellica Gheddafi, venne consegnato agli Stati Uniti, che cercavano di abbattere il regime libico. Il progetto però non decollò mai, il generale Haftar visse negli Usa per i successivi 20 anni, diventandone cittadino. Il paese rimase nelle mani del Colonnello, il quale non investì mai i proventi dell’estrazione del greggio nel miglioramento delle condizioni di vita dei libici, le risorse erano destinate alla creazione di un unico stato arabo di cui la Libia era una piccola tessera.