“C’era una Tappa” è la rubrica di The Pitch Olympia che racconta alcune delle leggendarie imprese compiute al Giro d’Italia che trascendono le due ruote. Perché la storia della Corsa Rosa s’intreccia a doppio filo con quella del nostro Paese.
Nella prima puntata raccontiamo la storia della Merano-Aprica 1994 e della nascita del Pirata Pantani.
Vi ricordate il momento in cui siete diventati grandi? Non solo per l’anagrafe, intendo dire, ricordate quell’attimo simbolico che ha segnato il vostro passaggio all’età adulta? Forse molti ricorderanno il primo bacio, oppure il giorno in cui per la prima volta avete guidato, il primo giorno di lavoro. Succede anche agli sportivi, arriva un istante in cui si fanno conoscere dal mondo intero, un giorno in cui passano dall’essere perfetti sconosciuti a giovani speranze per poi diventare sublimi certezze poi. Quando abbiamo la fortuna di assistere alla nascita di una stella, cresciamo un poco anche noi. Giro d’Italia, tappa del 5 giugno 1994, si parte da Merano e si arriva all’Aprica. Quello è il giorno in cui Marco Pantani divenne grande. Una frazione che a distanza di anni nessuno può dimenticare: eroica, combattuta, esaltante. Ciclismo di altri tempi, fatto da ciclisti di altri tempi.
Pantani in realtà è sconosciuto al grande pubblico fino al giorno precedente. Sì, perché la sua prima vittoria assoluta da professionista non la coglie alla Merano-Aprica, ma ventiquattro ore prima, alla Lienz-Merano. Marco in quel Giro corre con i colori della Carrera-Tassoni, i cui gradi di capitano sono sulle spalle del “Diablo” Claudio Chiappucci. Il compito di Pantani è lavorare per la squadra e, se si creeranno la condizioni, avrà il via libera per scattare. Alla partenza della quattordicesima frazione è decimo in classifica. Non male per un debuttante, ma comunque molto lontano dai primi. Chiappucci va in fuga insieme ad un altro gruppetto, rimanendo in testa alla corsa per molti chilometri. Lo sanno tutti: quando il capitano è in fuga non si aiuta il gruppo a ricucire lo strappo. Il gruppo però sull’ultima asperità di giornata, il passo di Giovo, riacciuffa ugualmente i fuggitivi e a questo punto Pantani, che è ancora lì con i migliori, scatta, semina tutti gli avversari sulle rampe del Giovo e una volta giunto in cima, si tuffa a capofitto in una discesa folle. Da anni viene mostrata in tv, è divenuta celebre come una delle sue progressioni in salita. A Merano taglia il traguardo in solitaria. È la prima vittoria certo, ma non è ancora un giorno da grande. Perché per gli uomini di classifica lui è soltanto un gregario con licenza di vincere. Capita spesso, nel corso di un grande giro a tappe. Spesso i protagonisti di questi exploit, tornano nei ranghi il giorno seguente, pagando a caro prezzo lo sforzo profuso, alcuni anche con il ritiro. Tutti quindi si aspettano che Pantani torni al suo posto, tra i proletari della carovana.
A parte chi segue Marco fin dalla sua giovane età, nessuno ha capito a cosa stia assistendo. Forse neanche il suo direttore sportivo, Giuseppe Martinelli, che ricorda: «In macchina, mentre lo portavo in albergo, invece di parlarmi della vittoria di quel giorno, Marco parlava della tappa del giorno dopo. Io per farlo contento lo assecondai, risposi: dai, domani vediamo». Il giorno seguente, tutti vedranno.
La mattina del 5 giungo la corsa prende il via con la maglia rosa sulle spalle del russo Evgenij Berzin, mentre secondo in classifica è Miguel Indurain, già vincitore del Giro nelle edizioni 1992 e 1993. Pantani è salito al quinto posto, dopo la vittoria del giorno prima. Il percorso prevede diverse salite, tra le quali una delle più temute: il Mortirolo. Quando il gruppo maglia rosa giunge ai suoi piedi, in fuga c’è Franco Vona, mentre poco staccato c’è un gruppetto formato tra gli altri da Chiappucci, Belli e Gotti. Il capitano della Carrera sta tentando nuovamente la coraggiosa sortita, quindi Pantani dovrebbe lasciar lavorare la squadra di Berzin e restare a ruota. Invece, improvviso come un temporale estivo, il romagnolo saetta, sgretolando il gruppo in copiose briciole che si perdono lungo i tornanti di una delle salite più severe al mondo. Aggancia il gruppetto dei fuggitivi, scambia qualche parola con il suo capitano poi riparte, sempre seguito da Berzin. Rivelerà Chiappucci di avergli detto «se ne hai, prosegui». Indurain intanto preferisce non inseguire i due, quasi non li considera. Il navarro si arrampica assecondando una andatura ideale per lui, comunque un buon passo. Mentre la strada diventa un stretto e tortuoso sentiero asfaltato, Berzin si ingolfa nel tentativo si tenere la scia di Pantani, che nel frattempo cavalca le proibitive pendenze del Mortirolo con famelica ingordigia. Franco Vona intanto fa tenerezza, pedala come se avesse uno zaino di mattoni sulle spalle, è ancora davanti a tutti ma purtroppo per lui finirà presto nel ventre della balena. Claudio di Benedetto, dalla moto della tv, segue l’azione di Pantani e commenta: «È impressionante vederlo pedalare, sembra una belva». E come una belva assettata di gloria svetta per primo al gran premio della montagna, seguito da Nelson “Cacaito” Rodriguez che rimane incredibilmente al gancio, poi segue Indurain a 51 secondi. A più di un minuto e mezzo transita Berzin, che è in grossa difficoltà. Mancano ancora 53 km al traguardo e c’è il valico di Santa Cristina da scalare prima di giungere all’Aprica.
Nel corso della discesa Indurain raggiunge Pantani, insieme a loro c’è ancora il colombiano Rodriguez. Berzin accusa intanto un distacco di 2 minuti dal terzetto di testa. Per il russo, la possibilità di perdere la maglia rosa è concreta. Prima che inizi la salita del Santa Cristina, quello più convinto e brillante parrebbe il campione spagnolo. Aggredisce i primi metri di salita davanti ai compagni di fuga, scatenando una potenza tale sulla moltiplica che sembra riuscire a spianare le rampe di quella montagna. Indurain probabilmente pensa di aver domato le velleità di quel ragazzino, pensa di sbarazzarsi di lui e di Rodriguez, arrivare per primo all’Aprica conquistando la testa della classifica generale. Che sia un errore di presunzione o di sottovalutazione, l’unica cosa certa è che lo pagherà caro. Sì perché il non ancora Pirata, come sul Mortirolo, frusta la strada con l’impeto della sua forza leggera, lascia il navarro lì dov’è, scattando letteralmente in faccia a colui che ha già vinto 3 Tour de France e 2 Giri d’Italia. Si dice che prima che Pantani si affermasse definitivamente al Tour di quello stesso anno, Miguelon considerò quella azione come un affronto. Col suo attacco partito da lontano, Marco Pantani ha reso una tappa già difficilissima un vero infermo. Sul Santa Cristina, mentre lui sembra surfare verso la cima, sempre più incattivito nella sua ossessionante azione dal dolce odore di primato, Berzin e Indurain battono pesantemente il muso. Tanto è vero che entrambi vengono rimontati nel finale da Chiappucci, che infatti giunge secondo dietro il compagno di squadra. Indurain accusa 3 minuti di ritardo al traguardo, Berzin, ne va a sommare altri 2 ai 2 che aveva, per un totale di 4. Pantani scavalca lo spagnolo e non si veste di rosa per un minuto soltanto. Sarebbe bastato qualche altro chilometro per rendere perfetta una impresa di per sé già meravigliosa.
La classifica generale di quel giorno, con Berzin in rosa, Pantani secondo e Indurain terzo, resterà tale fino alla fine del Giro d’Italia. Berzin vivrà in quel 1994 la sua stagione d’oro, vincendo prima la Liegi-Bastogne-Liegi e poi appunto il Giro. Non si ripeterà più su questi livelli. Duole ricordare che la sua squadra era la Gewiss-Ballan, che si scoprirà in seguito essere la palestra-laboratorio del Dottor Michele Ferrari. Miguel Indurain non parteciperà più alla corsa rosa, vincerà però altri 2 Tour. Pantani dopo quel secondo posto, conquisterà il podio anche al Tour de France di quell’anno, giungendo terzo. Vincerà entrambe le corse nel 1998. Una curiosità: ancora oggi molti sostengono che il record di scalata del Mortirolo appartenga a Pantani, in realtà non è così. Pantani stabilì il momentaneo primato quel giorno, ma due anni dopo verrà migliorato di 20 secondi da Ivan Gotti, che ancora lo detiene.