Oggi, come mai prima d’ora, stiamo assistendo a una radicale trasformazione della vita di tutti i giorni. La tecnologia è riuscita a invadere qualsiasi attività quotidiana: dalla semplice lettura di un libro, con il formato Ebook, alla più complessa domotica domestica che con un semplice richiamo della voce fa accendere e spegnere le luci di casa, sentire una notizia dell’ultima ora o, se si è un pò giù di morale, intrattiene con qualche barzelletta raccontata da una voce robotica che non risparmia parole di conforto e frasi ad effetto: “Goditi la vita con la tua playlist Spotify consigliata!”
La pervasività della tecnologia nella nostra vita è solo l’ultima fase di un processo di diffusione che è partita dal campo delle scienze applicate – medico, ingegneristico, informatico – ma che ha ormai sconfinato nel settore della cultura.
Parliamo di campi come l’arte visuale, la fotografia, la musica, il cinema, la cui sopravvivenza oggigiorno dipende dall’adattamento al cambiamento tecnologico.
Nel mondo dell’arte, ogni epoca ha avuto l’affermazione di una particolare tecnologia di visione che ha riconfigurato il paradigma dello sguardo e quindi il rapporto tra il soggetto e il mondo. Ma l’innovazione tecnologica dei primi del novecento, nonostante si vedesse l’affermarsi di nuovi dispositivi e l’evoluzione di quelli precedenti, si arrestava ancora al primordiale formato analogico – legato alla referenzialità con il mondo esterno – contribuendo a mantenere un soggetto-osservatore capace di dominare e controllare la realtà.
Con la moltiplicazione degli schermi – computer, smartphone, tablet – e l’avvento del digitale si è progressivamente assistito anche in campo artistico alla delineazione di un innovativo sistema di produzione, distribuzione e fruizione dell’opera d’arte. Si è affermato un nuovo teorema nel triangolo spettatore-opera-artista.
La perdita di referenzialità dell’immagine e del suono in un supporto fisico e la possibilità infinita di duplicazione e modificabilità del supporto digitale ha permesso di avviare una rivoluzione nel mondo della produzione artistica che nessuno fino a venti anni fa avrebbe potuto immaginare.
Nel 2014 con l’esposizione dell’opera dal titolo The Next Rembrandt, ad Amsterdam si è probabilmente raggiunto l’apice della rivoluzione tecnologica nel campo dell’applicazione artistica, riaprendo il dibattito, ormai secolare, del rapporto uomo-macchina.
L’opera The Next Rembrandt è un dipinto ex-novo dell’artista del 1600 costruito attraverso la potenza di calcolo di un super-computer che – visionando più 168.263 frammenti pittorici provenienti da trecento dipinti – riproduce fedelmente lo stile unico e irripetibile dell’artista fiammingo scomparso 350 anni fa in un nuovo soggetto.
Un ritratto di un uomo del diciassettesimo con cappello nero e colletto bianco resuscita l’anima enigmatica dell’artista di Leida. L’anima? Come è possibile concepire che una macchina sia in grado di riprodurre l’estro geniale dell’artista olandese? Quali sono le conseguenze di questo esperimento sul mondo degli artisti?
Andiamo per gradi.
L’idea di un mondo virtuale, che si muove parallelamente al nostro, costruendo delle realtà ad hoc immaginarie è qualcosa che abbiamo metabolizzato nel tempo, basti pensare ai mondi fittizi costruiti dal mondo del cinema in saghe come Star Wars o Il signore degli anelli. Ma in quel caso lo schermo c’era e decretava una linea di confine tra ciò che era reale e ciò che non lo era.
Nel caso di The Next Rembrandt, questa linea di demarcazione sfuma impercettibilmente sotto gli occhi di uno spettatore che vede nel supporto materiale (la stampa 3D) un mondo virtuale che si è fatto reale, tangibile e concreto. Il suo sguardo si riconfigura nell’imposizione di un mondo irreale in cui la tecnologia non è più lo strumento ma è essa stessa mondo, perché si impone come “Dio” nella costruzione di tutti mondi possibili e immaginabili. In questo modo è l’uomo a diventare mero strumento di un mondo tecnologico che è non più capace dominare, vivendo come coprotagonista dell’inarrestabile sviluppo tecnologico che gli impone continuamente di rivalutare la propria soggettivazione.
Cosa rimane all’uomo dei nostri tempi?
Viandante nella nebbia di un futuro tecnologico imminente che si appropria ogni giorno di più delle sue facoltà intellettive? Uno “schiavo-automa”, espropriato delle sue qualità “romantiche”? L’opera The Next Rembrandt tradisce la produzione spirituale dell’artista che fa di ogni suo “prodotto” il segno dell’evoluzione personale della propria identità di uomo. Si prefigura come opera tecnologica non artistica, una pura forma di sperimentalismo tecnologico che avrebbe potuto essere applicata in qualsiasi campo del sapere. Un ulteriore grido di vittoria della tecnica sullo spirito che recita il proprio primato con le parole: “Qui per un mondo efficiente!”
E di efficienza stanno parlando gli artisti di oggi, e sempre di più di domani, sono e saranno i grandi programmatori, come Bill Gates e Steve Jobs, che costruiranno strumenti tecnologici che soppianteranno totalmente le qualità umane in operazioni come scrivere un libro, creare un dipinto, produrre musica.
Come se lo stesso processo creativo non costituisse un atto stesso di creazione artistica.
Probabilmente, lo stesso Rembrandt inorridirebbe nel vedere tradita la tecnica che l’aveva reso celebre tra i suoi contemporanei che risiede nella celebrazione della materialità della pittura – con il manico dei suoi pennelli incideva la tela di increspature per la realizzazione dei capelli per esempio – uccisa di fatto da quella realizzazione piatta che è The Next Rembrandt. Davanti a quest’opera, lo spettatore si muove davanti alla simulazione di una simulazione, completamente autoreferenziale, sganciata da ogni riferimento con la realtà.
Non più opera di contraffazione, né simulazione del reale ma sostituzione della realtà con una “iper-realtà”, la costruzione di un tecno-cosmo in cui l’uomo diventa soggetto sempre più cibernetico e post-umano. L’artista ingloba la tecnologia come protesi del proprio corpo: pensa con la tecnologia, guarda sulla tecnologia, si muove nella tecnologia. L’uomo si fa esso stesso tecnologia dal momento in cui non si può più immaginare un mondo in cui essa non esista.
Siamo forse solo spettatori impotenti davanti al tramonto dell’umanesimo?