Come ormai abbiamo imparato, le elezioni negli Usa non si decidono su scala nazionale ma stato per stato. Nessuna delle 50 stelle è uguale all’altra – e siamo d’accordo – ma alcune di loro hanno caratteristiche storiche, sociali, culturali e in definitiva politiche abbastanza omogenee. Questa è la terza di otto tappe con cui The Pitch proverà a condurvi nelle pieghe del gigante americano. Molto meno monolitico e più sfaccettato di quanto siamo abituati a pensare. Perché ancora una volta sarà una manciata di stati-chiave a definire il nome del prossimo Presidente.
“Non è il Sud a essere cambiato, ma i partiti”. In effetti se c’è una regione degli Usa caratterizzata da una mentalità tradizionalista e arretrata, refrettaria ai cambiamenti quella è proprio l’area che dai sobborghi a sud di Washington si estende fino alla Florida e che dall’Atlantico si spinge fino al Texas. Eppure, proprio qui è avvenuto il più drastico travaso di voti nella storia del paese: fino alla metà del secolo scorso, infatti, quaggiù a farla da padroni erano i democratici. “Solid South” si chiamava quella fazione del partito assai lontana dalle posizioni liberali di oggi e vicina invece ai valori socio-culturali di un’area incline a votare sempre per il partito più conservatore: oggi quello repubblicano. Latifondo, famiglia e religione: un trittico su cui si fondava la Confederazione secessionista un secolo e mezzo fa e che tuttora stenta a lasciare il passo a posizioni più moderne e progressiste.
Si tratta di un’area che ha vissuto la tragedia dello schiavismo e che, dopo un ulteriore secolo di segregazionismo, continua a registrare livelli di razzismo più alti rispetto al resto della nazione. Non solo: siamo nell’area meno sviluppata del paese. Il reddito medio pro capite è il più basso, così come il livello di istruzione e la mobilità sociale. Le posizioni apicali continuano a essere appannaggio di una ristretta élite, bianca e spesso con simpatie razziste. Non tutto il Sud è identico, però: ci sono contee caratterizzate da una forte presenza afroamericana che votano democratico e, sempre più spesso, interi stati in bilico. Non stiamo ovviamente parlando del Deep South: Louisiana (8 grandi elettori), Mississippi (6), Alabama (9) e Georgia (16) per i dem rimangono una chimera. Sono stati molto poveri e iper-tradizionalisti, in cui tuttora si fanno sentire le ferite profonde della segregazione.
Unica parziale eccezione è la Georgia che, pur essendo indiscutibilmente conservatrice, negli ultimi anni si sta rendendo protagonista di una rapida crescita demografica legata in particolar modo alle minoranze etniche (afro-americani ma anche latini). Un fattore che, come abbiamo visto, potrebbe sul lungo periodo trasformarlo in uno stato contendibile. A maggior ragione alla luce della presenza di una metropoli come Atlanta. Questi quattro stati costituiscono – insieme a South Carolina (9), Kentucky (8), Tennessee (11), Arkansas (6), Oklahoma (7) – la cosiddetta Bible Belt: una cintura di stati la cui popolazione è composta prevalentemente da bianchi evangelici profondamente conservatori. Si tratta di aree rurali in cui tuttora il settore primario riveste un ruolo rilevante e in cui la vittoria di Trump non è mai stata in discussione nel 2016 e non lo sarà nemmeno quest’anno.
E veniamo ora agli unici tre stati realmente contendibili della regione: West Virginia (5) ma soprattutto Virginia (13) e North Carolina (15) fanno molta gola a Biden. Il primo è uno stato montuoso scarsamente popolato che, pur con una lunga tradizione democratica, vota repubblicano ininterrottamente dal 2000. La sua economia è incentrata sull’industria del carbone e le recenti posizioni democratiche sulla regolamentazione ambientale non sono viste di buon occhio. Dove invece Biden spera di emulare Hillary Clinton è nella vicina Virginia: se le contee settentrionali dello stato risentono dell’onda lunga della capitale Washington e registrano una forte presenza afroamericana, le aree rurali più a sud sono un feudo repubblicano. La sfida per il candidato dem è mantenere la tradizione positiva inaugurata nel 2008 da Obama dopo un cinquantennio di ininterrotto dominio del Gop.
Il vero swing state della regione, però, è la North Carolina, uno stato che sfugge alle categorizzazioni: più popoloso della South Carolina ma allo stesso tempo più “rurale” della Virginia, di cui è anche più “nero” ma meno progressista, rischia di diventare il vero ago della bilancia delle elezioni di novembre. L’unico democratico ad aggiudicarselo negli ultimi 40 anni è stato Obama nel 2004, che non riuscì però a confermarsi quattro anni dopo. Nate Silver lo piazza appena un gradino sotto l’Ohio nella sua “classifica” degli stati in cui con più probabilità si giocherà il voto. Non a caso Biden si è fatto vedere più di una volta dalle parti di Charlotte e Trump è ora sulla difensiva. Segno che, nonostante tutto, qualcosa piano piano sta cambiando. Il Sud profondo rimarrà profondo ancora per molto ma le propaggini più settentrionali sembrano muoversi. E chissà che non vacilli anche la stessa Georgia…
Nelle puntate precedenti:
1. Il Fortino del Nordest
2. “Rust Belt” ancora decisiva?