E’ ormai tesi storiografica consolidata che il 1870 e gli eventi ad esso connessi abbiano rappresentato un vero e proprio trauma storico per la Santa Sede. Infatti, la perdita del primato su Roma e la nascita di un contro potere organizzato e a tratti ostile quale il neonato Regno d’Italia, l’interruzione dei rapporti diplomatici con la Russia zarista e i difficili rapporti con la politica bismarckiana misero a dura prova la tenuta del sistema cattolico che decise di rispondere con estrema chiusura ridefinendo anche i nemici: massoni, liberali, modernisti ed ebrei divennero le categorie contro cui il cattolicesimo anti-liberale e intransigente si scagliò con più ferocia e costanza.
Il papa che guidò l’offensiva al modernismo e ai mali del mondo occidentale fu Pio IX, un pontefice che le categorie odierne definirebbero ultraconservatore. Effettivamente, il 255esimo vicario di Cristo in terra dal 1846 al 1878, fu uno strenuo difensore del conservatorismo cattolico, in netta opposizione rispetto ad una prospettiva conciliatorista e a qualunque forma di cattolicesimo liberale. Il suo fu un aperto scontro con la modernità politica, culturale e religiosa di fine Ottocento. Il suo successore Leone XIII, conscio dell’immensa necessità di una voce cattolica all’interno dell’assetto politico e partitico nazionale ed europeo, pur mantenendo posizioni conservatrici che condannarono aspramente “i mali del secolo”, socialismo e capitalismo. Quella di Leone XIII nella celeberrima enciclica Rerum Novarum del 1891, fu anche un’apertura: sancì la nascita ufficiale della Dottrina sociale della chiesa e un suo posizionamento rispetto ai problemi socio-politici del tempo ma soprattutto l’abbandono della politica della chiusura del non-expedit del 1874, un forte strappo a soli tre anni di distanza dall’approvazione da parte della Camera dei Deputati della Legge delle Guarentigie, dispositivo che avrebbe dovuto pacificare e regolare i rapporti tra la Santa Sede e il neonato Stato italiano e lo farà, pur con fortissima resistenza della stampa cattolica maggiormente intransigente, fino al 1929 quando i Patti Lateranensi muteranno sostanzialmente i rapporti tra le due entità.
Tra tutti i nemici di fine Ottocento del cattolicesimo romano, l’ebraismo appare quello più strenuo da sconfiggere. Infatti l’emanazione dello Statuto Albertino del 1848 e il conseguente inizio di un’era di tolleranza religiosa per i culti non cattolici, segnò la fine dell’era dei Ghetti e l’inizio di una profonda e definitiva commistione tra il mondo ebraico, la politica e il tessuto socio-economico italiano, ritenuta nociva dal mondo cattolico intransigente, bruscamente frenata dall’emanazione delle leggi razziali del 1938. La gratitudine dell’ebraismo verso la Casa Savoia e la partecipazione alla vita politica e parlamentare nei ranghi liberali prima e in quelli socialisti a partire dal 1892 contribuiscono a saldare l'”alleanza” dell’ebraismo con il mondo laico in aperto scontro con quello cattolico.
Una panoramica della situazione le fornisce la carta stampata cattolica del tempo, un «corpus massiccio anche se mutevole di una vera e propria piramide comunicativa del pensiero intransigente, che aveva al suo vertice “L’Osservatore Romano” e “La Civiltà Cattolica”, organi ufficiosi della classe dirigente pontificia, si estendeva ai fogli delle varie associazioni cattoliche sparse sul territorio, per terminare, infine, con la larga base popolare dei giornali satirici più gretti e a larga diffusione», come «La Voce della Verità», uno degli organi di spicco della Società primaria degli interessi cattolici, si nota un’attenzione quasi ossessiva per il “problema ebraico”. A titolo di esempio basti citare proprio le pagine de «La Civiltà cattolica» dalle quali padre Raffaele Ballerini denunciava che in Italia «il giudaismo impera signore».
Non di secondo piano è la lettura de «L’Osservatore cattolico», giornale cattolico milanese intransigente e fortemente papalista, diretto da don Davide Albertario, dove si spiegava: «Se l’antisemitismo dovesse avere come effetto di ottenere una legislazione severa ed equanime che impedisca all’ebreo vampiro di pesare come un macigno sullo stomaco del popolo, cesserebbe la guerra all’ebreo». E si ricordava infatti: «L’ebreo, ha il Dio dell’oro e ai suoi piedi vede inginocchiati i governi liberali». E’ impressionante innanzitutto come l’articolo faccia eco al più classico dei pregiudizi antiebraici quale l’avarizia e allo stesso tempo quasi profetizzi la legislazione che sarà poi varata dalla Germania hitleriana e dall’Italia fascista tra i 1935 e il 1938.
L’angolo di osservazione della chiesa cattolica sull’ebreo e l’ebraismo non cambia. Mutano gli schemi e le categorie tanto da notare una «laicizzazione della polemica antiebraica», dove l’accusa deicida e dell’omicidio rituale, motore dell’antigiudaismo di radice medievale, lascia spazio ad accuse legate ad una presunta volontà ebraica di scristianizzazione dell’Italia e dell’Europa, di essere fautori di un oscuro “cosmopolitismo antinazionale”, di ordire congiure internazionali e di essere in combutta con l’Internazionale socialista che avrebbero proiettato l’ebreo nel Pantheon infernale del cattolicesimo più intransigente.
Lo storico Levis Sullam sostiene che «indubbiamente nuova era l’intensità con cui la ‘questione ebraica’ catalizzava l’attenzione della Chiesa e del mondo cattolico e, soprattutto, ne impegnava l’azione spirituale e culturale nello scontro con le trasformazioni e vicende politiche italiane ed europee alla fine del secolo XIX: tanto che è stato scritto che l’antisemitismo cattolico non possa essere visto in questo periodo solo come uno «strumento politico», ma debba essere considerato una vera «risposta religiosa […] alla modernità». Tale intensità e virulenza risulta però indirettamente proporzionale al “pericolo” ebraico e quindi non giustificate se non alla luce di un tentativo di minare e screditare la presenza ebraica nel mondo politico liberale.
- R. De Felice, Chiesa cattolica, clericali ed ebrei in Italia nell’età crispina e giolittiana, in “La Rassegna mensile di Israel”, 1956, 11, pp. 483-495. - R. Moro, L’atteggiamento dei cattolici tra teologia e politica, in Stato nazionale ed emancipazione ebraica, a cura di F. Sofia, M. Toscano, Bonacci, Roma 1992, pp. 318 ss. - G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in Storia d’Italia, Annali XI, Gli ebrei in Italia, t. II, Dall’emancipazione a oggi, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1997, pp. 1394 ss. - A. Di Fant, La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta Pia, in “Mondo contemporaneo”, 1, 2007, pp. 87-118.