Premessa
Scrivere di letteratura legata all’impresa di Fiume potrebbe essere, in realtà, un controsenso. Per una ragione molto semplice: parlare dell’impresa di Fiume significa già parlare di letteratura. E non solo perché la figura promotrice dell’impresa, attorno alla quale si addensa tutta l’azione – a suo modo – rivoluzionaria, è quella di Gabriele D’Annunzio. È l’impresa stessa ad avere una natura letteraria: nasce per un istinto autenticamente lirico per poi condensarsi nell’immaginario collettivo allo stesso modo in cui si fissa nella memoria comune il carattere della monaca di Monza o l’Inferno di Dante (con le dovute proporzioni di valore, ovviamente). Diciamolo pure tranquillamente: il rilievo storico dell’impresa sarebbe piuttosto modesto, senza questi caratteri poetici di cui il fascismo, poi, si impossesserà (è difficile dire quanto legittimamente) allo scopo di creare un nuovo immaginario comune, dominato dalla figura dell’uomo nuovo fascista, volgarmente e stupidamente nietzschiano. Dopo il ’22, D’Annunzio verrà “imbalsamato” nel suo Vittoriale e trasformato in un feticcio del regime insieme alle sue imprese “eroiche”. Fiume diventerà il simbolo del fallimento della classe dirigente liberale (la vittoria mutilata) e la giustificazione alla necessità del fascismo. La rivoluzione mancata diventerà la rivoluzione realizzata da Mussolini, che porterà l’Italia verso l’alveo di una pretesa importanza contro la prepotenza delle democrazie borghesi.
Il Vate
Come fa notare Bart Van Den Bossche, all’impresa di Fiume «si è associata sin dall’inizio una specifica memoria culturale, caratterizzata da una forte impronta letteraria».[1] Tale impronta letteraria, ça va sans dire, viene direttamente dalle mani di D’Annunzio. Vate, non solo sedicente, di gran parte degli intellettuali e artisti italiani degli anni ’10 e ’20 del secolo scorso. Animatore del movimento interventista tra il 1914 e il ’15, autore di alcuni tra i più eclatanti gesti di avanspettacolo militare durante la Grande Guerra, agitatore rumoroso della rivolta contro la vittoria mutilata offertaci dagli alleati, la quale giunse allo sfogo più alto nei sedici mesi dell’impresa di Fiume, D’Annunzio è in grado di spiegarci la formazione intellettuale di tanti letterati italiani della generazione successiva e di alcuni che saliranno alla ribalta negli anni della democrazia e del boom economico.
Gadda
Prendiamo Gadda, per esempio. Il suo rapporto giovanile con D’Annunzio sembra essere segnato da quella che Antonio Zollino definisce una vera e propria infatuazione.[2] D’altronde è difficile non essere d’accordo. Già nel 1915, mentre era ancora studente al Politecnico di Milano, il futuro ingegnere smaniava dalla voglia di andare in guerra, nonostante la normativa richiedesse di superare prima gli esami annuali. Mosso da tale stato d’animo, allora, decide di scrivere, insieme ad altri due compagni di università (Semenza e Fornasini), una infiammata lettera al vate:
Nonostante, poi, la guerra si riveli per lui una sostanziale delusione (vi perderà anche il fratello), «i giudizi che riguardano d’Annunzio negli anni dal 1920 al 1930 appaiono sostanzialmente improntati all’elogio» (Zollino). E anche quando, dopo la Seconda guerra mondiale, Gadda si distaccherà sempre più criticamente (come racconta in una lettera a Gianfranco Contini del 14 gennaio 1949) dai suoi modelli giovanili D’Annunzio e Carducci, l’ammirazione per l’uomo D’Annunzio non verrà mai rinnegata. Maurizio Barletta ci rivela anche una «mai rinnegata simpatia dell’Ingegnere per l’impresa fiumana guidata dal Vate (…) ‘Mi sarei imbarcato anch’io in quell’avventura, se non fossi stato trattenuto dagli studi al Politecnico e da una devastante congiuntura familiare…’».[4] E anche Arbasino riporta un addolcito ma mai rinnegato entusiasmo per l’impresa: «Fiume? A quei tempi non ho potuto, lavoravo come ingegnere per guadagnarmi la vita: avevo mia madre e le mie sorelle. Forse, più libero, avrei commesso anch’io la sciocchezza di raggiungere Fiume; magari per stupidaggine di nazionalista».[5]
Il Vate, d’altronde, compare anche nella Cognizione del dolore, nelle vesti di Caçoncellos, il poeta maradagalese dalle vistose sembianze dannunziane e che, ormai, incarna più che altro i vizi del dannunzianesimo.
Comisso
Quello di Gadda, tuttavia, è un esempio straordinario: sia per l’importanza della sua figura nella storia della letteratura italiana; sia per il rapporto che ha tenuto con il Vate e con l’impresa fiumana. Ben diverso è, per esempio, il caso di Giovanni Comisso, il cui percorso intellettuale è stato più coerente sebbene meno rilevante. Non solo, infatti, l’autore trevigiano è stato un fervente intervista arruolato volontario in guerra, ma ha anche preso parte attivamente all’impresa di Fiume e ne è stato un infiammato animatore insieme a Guido Keller. I due, negli ultimi mesi dell’occupazione, fondano anche una rivista, Yoga, con il sottotitolo Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione; in alto a sinistra è raffigurata una svastica, l’antico simbolo ariano del sole, a conferma di un certo gusto esoterico e naturista. La rivista diventa ben presto il punto di ritrovo di una fronda di intellettuali e artisti di varia natura uniti da una visione vitalistica dell’esistenza e dall’idea che l’impresa fiumana potesse diventare una rivoluzione umana in grado di spezzare le catene della modernità in nome, appunto, di un’esistenza autentica.
Tuttavia, l’idea di dare forma letteraria (epica, in una certa misura) era già partita da D’Annunzio con lo scopo di consegnare l’impresa fiumana all’epopea risorgimentale.[6] Ce lo racconta lo stesso Comisso:
Questi testi sarebbero dovuti confluire nel libro Oltre le belle bella, che però non fu mai realizzato.
Comisso, invece, pochi anni dopo, nel 1924, pubblicò un romanzo a proprie spese interamente mosso dall’impresa fiumana: Il porto dell’amore. Eugenio Montale fu tra i primi a apprezzarlo: «Libretto carnale e febbrile che avvampa e trascolora, è appena un libro ed è ancora una malattia. Arte legata alle primavere del sangue, al corso delle stagioni e delle temperie: poco più di un rabesco, il diagramma di una vita rovesciata sulle cose». (Dalla recensione del 15 marzo 1926 in «Quindicinale»)[8]
Ristampato nel 1928 con il titolo Al vento dell’Adriatico, il romanzo è ben lontano dall’essere una cronaca degli eventi. Al massimo, una cronaca dei sentimenti. In fondo, è passato poco tempo: di una cronaca non c’è bisogno. C’è, però, il bisogno di dare un senso alla propria esperienza. Un senso lirico. Il romanzo diventa dunque la sintesi perfetta del vitalismo sfrenato che animava artisti e intellettuali che si erano ritrovati a partecipare all’impresa o che la seguivano da lontano con interesse.
Mary Vitali e gli altri
Di questo vitalismo sono testimoni le memorie delle decine di legionari che sono ricorsi agli strumenti retorici più disparati, offrendoci una varietà di forme caratterizzate da una certa letterarietà. «Fiume dannunziana si costituisce presto come un’infaticabile fabbrica di memoria letteraria, di narrazioni a fine artistico e propagandistico.» (Carlo Leo) Fu già Renzo De Felice, nel 1978, a proporre un confronto con questa letteratura al fine di ottenere una più globale comprensione della vicenda fiumana e di come questa si stava sedimentando nell’immaginario collettivo. Ancora Carlo Leo propone di conoscere meglio, quale esempio problematico di “letteratura fiumana”, il caso di Mary Vitali, scrittrice molto vicina a D’Annunzio e autrice del romanzo Modello “Novantuno”. Memoria di UNA – cittadina senza importanza, «che vuole essere un racconto del sé civile e politico, un documento della formazione di un’autentica patriota secondo il modello delle Confessioni di Nievo.» [9]
Nell suo secondo romanzo La fidanzata dei morti, la Vitali vuole, invece, offrire una vera e propria testimonianza letteraria:
Conclusioni
Naturalmente, pensare a queste opere letterarie come a dei
documenti storico-politici, sebbene interessante sotto molti aspetti, rischia
di essere un’operazione aleatoria e poco utile. Più interessante, piuttosto, è
costruire una storia culturale di quegli anni, il ’19 e il ’20, e delle
conseguenze intellettuali che hanno avuto su almeno
due generazioni di letterati. La memoria pubblica dell’impresa di Fiume è,
ormai da qualche decennio, attraversata da processi di mediazione e revisione.
Le interpretazioni contrastanti, la cannibalizzazione operata dal fascismo e il
rifiuto del dannunzianesimo tipico del secondo Dopoguerra hanno portato a una
messa in ombra che, per quanto giustificata dalla qualità delle opere stesse,
rischia, tuttavia, di mettere in ombra anche i processi che hanno portato alla
cultura letteraria del boom economico. D’altronde, anche sul piano storico-sociale,
già Mosse e Ledeen[10] avevano notato come
nell’impresa di Fiume sedimentasse un microcosmo del mondo moderno, dove
storia, letteratura, arte servivano alla manipolazione delle folle.
[1] B. Van Den Bossche, L’impresa di Fiume fra letteratura e memoria, in Nuovi aspetti linguistici e letterari dell’italianità, a cura di C. Di Felice, Peter Lang, Oxford-Berna-Bruxelles 2020.
[2] A. Zollino, «No, non il caval sauro, per noi». Antifrasi e riferimenti dannunziani nell’opera di Carlo Emilio Gadda, «Archivio D’Annunzio» V (2018).
[3] Si cita da A. Andreoli, Vate, portaci al fronte, «Domenica» Supplemento a Il Sole-24 ore, 18 novembre 2001, p. 1.
[4] M. Barletta, Le domeniche con Gadda quando veniva a casa mia, Robin, Roma, p. 48.
[5] A. Arbasino, L’Ingegnere in blu, Adelphi, Milano, p. 73.
[6] F. Simonelli, La costruzione di un mito. Rituali, simboli e narrazioni dell’impresa di Fiume (1919- 1921), tesi di dottorato, relatore M. Baioni, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, a.a. 2014- 2015, p- 135.
[7] G. Comisso, Le mie stagioni, in Id., Opere, a cura di R. Damiani, N. Naldini, Mondadori, Milano 2002, p. 1126.
[8] Vedi G. Sabatini, Giovanni Comisso a Fiume: Il porto dell’amore, online su “Doppiozero”, 12 giugno 2018.
[9] C. Leo, I letterati a Fiume tra vitalismo e trauma. Il caso Mary Vitali, in Fiume 1919-2019. Un centenario europeo tra identità, memorie e prospettive di ricerca .Atti del convegno internazionale di studi sull’impresa fiumana, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2020, pp. 231-255.
[10] G.L. Mosse, Masses and man. Nationalist and fascist perceptions of reality, Howard Fertig, New York 1980, pp. 87-103; M.A. Ledeen, The First Duce. D’Annunzio at Fiume, The John Hopkins University Press, Bal- timora-Londra 1977, p. VII.