La leggenda narra che sia stato il primo acquisto del Milan, sotto l’egida della presidenza Berlusconi. Difficile stabilirlo oggi, se non impossibile. Quello che è certo è che fu uno dei suoi primi sbagli. Chi era quantomeno adolescente negli anni 80 lo ricorderà certamente, è stato uno dei più famosi calciatori di insuccesso. Stiamo parlando di Claudio Borghi. Orbita nell’universo rossonero per ben 3 anni, dal 1986 al 1989 senza però riuscire mai a giocare una partita ufficiale. Era uno di quei giocatori che si palesavano di frequente all’epoca, la cui reale posizione in campo era sconosciuta. Forse anche per questo, molti altri con caratteristiche simili alle sue tramontarono alla svelta, senza lasciare tracce. Si muoveva in tutte le zone dell’attacco, sia da suggeritore che da prima o seconda punta, anche se non possedeva numeri da bomber. Col senno di poi, questo sarebbe potuto essere anche un indizio.
Nato a Castelar, in Argentina, cresce nell’Argentinos Junior con cui nel 1985 vince la Coppa Libertadores a soli 21 anni. Conseguentemente a quel successo, l’8 dicembre di quello stesso anno gioca la finale di Coppa Intercontinentale contro la Juventus, perdendo ai rigori dopo che la partita era termina sul 2-2. L’incontro è un magnifico duello a distanza tra lui e Le Roy, Michel Platini. I due sembrano sfidarsi all’arma bianca a colpi di genio, per tutto il confronto. Il trofeo lo porta a casa la Juventus, ma Borghi si è fatto conoscere al mondo. Quella prestazione però resterà un unicum per l’argentino. Silvio Berlusconi che ha visto la partita in tv ne rimane incantato, così quando due mesi più tardi rileva il Milan, uno dei primi nomi che inserisce nella sua lista è proprio quello di Borghi. Nel 1986 però il mercato degli stranieri è chiuso in Italia, quindi non è possibile sotto contratto. Intanto Claudio è tra i 22 convocati della nazionale Argentina, che partecipa alla spedizione mondiale in Messico. Come tutti i suoi compagni, diventa campione del mondo più che altro grazie alle magie di Diego Maradona, ma lui è certamente uno di quelli che meno contribuisce al successo finale.
Trascorre un anno, la prima stagione del Milan targato Berlusconi è al di sotto delle attese. La Serie A è a 16 squadre, a metà maggio i trofei sono già tutti assegnati, i contratti dei giocatori però scadono a fine giugno, così in quegli anni si giocano tristissimi tornei di fine stagione, caratterizzati da rose raffazzonate e calciatori svogliati. Nel 1987 si disputa la terza (e ultima per fortuna) edizione del Mundialito per club, torneo a inviti, che di “mundial” ha solo il nome. Il Milan partecipa insieme a Inter, Porto, Barcellona e Paris Saint Germain. Intanto riapre in quell’estate il mercato degli stranieri. Per il campionato successivo, la dirigenza rossonera ha già messo sotto contratto 2 giovani olandesi, tali Ruud Gullit e Marco Van Basten, in sostituzione di Wilkins e Hateley, che hanno già lasciato Milano. Così per partecipare al “Mundialito”, posizionato al confine tra due diverse stagioni, il Milan ricorre a 2 stranieri in prestito: Frank Rijkaard dall’Ajax, e Claudio Borghi appunto. Il 21 giugno inizia il torneo, che ovviamente non è altro che una serie di insignificanti amichevoli: in campo scendono Milan e Porto. Finalmente Berlusconi può osservare il suo pupillo, vestire la maglia della propria squadra. Nel corso del primo tempo però, Borghi appare insicuro. Si presenta davanti al portiere avversario in totale solitudine, ma si ferma avvertendo un fischio. Si guarda in intorno stranito, poi si rende conto che quel suono non è partito dal fischietto dell’arbitro, ma dagli spalti. Non un bell’esordio verrebbe da pensare. Invece gioca una buona ripresa, segnando persino un gol, il secondo dei 2 con cui il Milan vince la partita. Nel giro di 8 giorni la baracconata termina, la coppa delle stelle (così pubblicizzava l’evento Canale 5, che trasmetteva le partite in seconda serata) va in archivio nella bacheca del Milan, presto obliata da ben altri successi. I più contenti però sono Borghi e Rijkaard, che devono sì lasciare il Milan per il momento, ma con un contratto in mano: dalla stagione 88/89 in Italia saranno consentiti 3 stranieri per ogni squadra di A, saranno loro a contendersi una poltrona per due in casa rossonera. Nel frattempo vengono parcheggiati in prestito: l’argentino al Como, l’olandese allo Sporting Lisbona.
Le cose però per Borghi non vanno come sperato. Nella stagione 87/88 gioca poco e male. Incontra il Milan a San Siro in gennaio, entrando all’inizio nella ripresa, ma la sua squadra in superiorità numerica per quasi tutta la partita, incassa 5 reti. Il mese seguente non trovando più spazio presso i lariani, il Milan decide di farlo rincasare a Milanello. Benché non possa scendere in campo la domenica, si allena tutti i giorni con la squadra che di lì a poche settimane soffierà la scudetto al Napoli. Sembra che il matrimonio con i rossoneri sia definitivamente destinato a consumarsi, tanto è vero che la Gazzetta della Sport titola “Borghi, finalmente Milan”. Gioca le amichevoli infrasettimanali, quelle che si disputano ogni giovedì contro piccole squadre della provincia lombarda, in attesa di giocare la Coppa Campioni la stagione seguente. Almeno così credono lui, e soprattutto il suo presidente. Non hanno fatto i conti con Arrigo Sacchi, che del Milan è l’allenatore e Borghi non vuole vederlo nemmeno in fotografia. Probabilmente, ciò che ha visto in quei pochi mesi gli è bastato, per capire di che pasta non è fatto il ragazzo. Ammetterà neanche troppo velatamente, molti anni dopo, di aver avuto una vera e propria avversione per l’argentino.
È di nuovo tempo di amichevoli di fine stagione per il Milan Campione d’Italia. Borghi gioca bene e segna una doppietta contro il Manchester United. A questo punto, sembra scontato che la società sceglierà lui come terzo straniero. Si allena con la squadra da alcuni mesi e convince nelle amichevoli che disputa. Sacchi sembra rimasto solo, le sue idee su Borghi appaiono preconcette. Ma il tecnico di Fusignano non vuole saperne nulla. Come racconterà nel libro “La coppa degli immortali”, si presenta al cospetto del suo presidente col proprio contrato in mano, che più chiaro non potrebbe parlare: “Lei è il presidente e ha diritto di fare la scelta che vuole. Io le dico che che se prendiamo Rijkaard vinciamo la Coppa dei Campioni, se vuole Borghi io rinuncio al mio contratto, promettendole di restare fermo un anno, per riconoscenza”. Berlusconi vorrebbe l’argentino in squadra, ma non fino al punto di rinunciare all’allenatore che ha riportato in alto la sua squadra. Così a luglio a Milanello, il primo di giorno di ritiro si presenterà, insieme agli altri, Frank Riijkaard. Al termine di quella stagione il Milan si aggiudicherà davvero la Coppa dei Campioni, battendo in finale lo Steaua Bucarest per 4-0. Quando si dice ogni promessa è debito.
Claudio Borghi ha solo 24 anni, ma la sua carriera da quel momento finisce in un precipizio. Ancora sotto contratto col il Milan va in prestito al Neuchatel Xamax, in Svizzera, dove non dà notizie di sé. L’anno seguente, finalmente libero da vincoli con i rossoneri torna in Argentina, vestendo la maglia del River Plate. Poi Flamengo, Huracan, Indipendiente, Colo Colo, e via via così ogni anno. Un continuo pellegrinaggio, caratterizzato da poche presenze e quasi nessuna rete. Fino al 1998 quando, all’età di 34 anni, appende le scarpette al chiodo. Insieme a Hugo Rubio, altra meteora del calcio sudamericano transitata dall’Italia, per la precisione da Bologna, tenta la carriera di procuratore per alcuni anni, ma la abbandonerà ammettendo di non essere portato per le pubbliche relazioni. Nel 2002 inizia ad allenare, che è forse ciò che gli riesce un po’ meglio. Vince il campionato di Apertura e Clausura in Cile, sulla panchina del Colo Colo, nel 2006. In quello stesso anno viene eletto miglior tecnico del Sudamerica, poi nel 2010 vince il campionato di Clausura in Argentina, col “suo” Argentinos Juniors. L’anno seguente sostituisce Marcelo Bielsa come CT della nazionale cilena, rassegnando le dimissioni dopo solo un anno. Molto difficilmente le cose per lui sarebbero andate diversamente se fosse stato a tutti gli effetti un giocatore del Milan, dove peraltro giocò una ventina di amichevoli, tutte piuttosto bene, per quanto possa ricordare. Forse sarebbero state diverse per il Milan. Quello che è certo è che l’incontro/scontro con Sacchi fu lo spartiacque della sua carriera.