A cura di Francesco Chirico
Le terre del nord
L’Artic National Wildlife Refugee (ANWR) non è solo un grande parco naturale. La sua storia inizia più di un secolo fa, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt. Con più lungimiranza del suo attuale successore alla Casa Bianca, Roosevelt nel 1903 fondò il National Wildlife Refuge System, per proteggere le aree rimaste selvagge, ponendo un grosso stop all’espansione senza controllo a stelle e strisce americana.
Di tutto il sistema nazionale, l’Artic Refugee è particolarmente importante e dibattuto. Il primo dato che risalta è la dimensione: con circa 78 mila km2, è la più grande riserva naturale dello stato. In questa vasta area non esistono strade. Ci sono una manciata di villaggi da poche centinaia di abitanti l’uno, raggiungibili via aereo. In tutto il resto dell’habitat vivono lupi, caribù, orsi, aquile, linci e molte altre specie oltre a quelle che regolarmente passano dalla zona durante le migrazioni. Intaccare questo delicato equilibrio potrebbe generare grossi danni alla vita locale.
L’ecosistema è già in grave pericolo anche senza le minacce di trivellazioni di Trump: le aree artiche sono tra le più colpite dal cambiamento climatico, e la rapida fusione del ghiaccio polare, insieme alla fusione del permafrost della terraferma, stanno innescando grandi cambiamenti. Questi cambiamenti non sappiamo ancora di preciso a cosa condurranno, innescando via via dei feedback positivi (positivi di nome, ma potenzialmente catastrofici per l’ambiente).
La posizione strategica dell’Artic Refugee fa sì che l’area sia regolarmente frequentata da orsi polari, che in questi luoghi danno alla luce i loro cuccioli. Con l’attuale cambiamento climatico, gli orsi sono costretti a rimanere sulla terra ferma sempre più a lungo, in attesa che il ghiaccio della banchisa sia sufficientemente spesso e ampio. Nel frattempo aumentano gli avvistamenti di orsi che cercano cibo vicino alle zone abitate.
Un piccolo passo indietro per Trump, un grande passo indietro per l’umanità
Il grande valore dell’area fu dibattuto per anni. Se si volesse fare una classificazione sommaria, i democratici hanno lottato per la conservazione dell’Artic Refugee, mentre i repubblicani hanno nel mirino le grandi risorse del sottosuolo.
Nel 1930 Bob Marshall, dopo un viaggio in Alaska, scrisse:
Gli occhi di industriali e avventurieri si concentrano invece, fin dal 1977, sulla cosiddetta area 1002, ricca di giacimenti petroliferi. Nel 1980, con l’Alaska National Interest Lands Conservation Act, 32 mila km2 vengono definiti wilderness area, mentre vengono ordinate indagini sulle risorse del sottosuolo nell’area 1002.
I repubblicani sostengono che sia fondamentale sfruttare i giacimenti petroliferi artici, che dovrebbero creare 30 milioni di dollari di ricavi e 130 mila posti di lavoro. D’altra parte, nonostante gli economisti si arrovellino da decenni, non è stato possibile definire un valore monetario per l’ambiente, a meno di non utilizzare qualche bieca approssimazione. Si può quindi definire come inestimabile il valore economico nel caso che si lasci intatto l’Artic Refugee.
I territori del nord sono tornati sulle testate giornalistiche negli ultimi anni, già con Barack Obama, che si diede da fare per evitare le trivellazioni artiche. L’attuale presidente Trump invece, ha dato il via libera alle trivellazioni. In questo modo potrebbe danneggiare in maniera permanente le delicate aree del nord America, estraendo nuovo petrolio mentre il mondo cerca una soluzione per eliminarlo.
Una delle tecnologie che si sta sviluppando ultimamente è quella del Carbon Capture and Storage (CCS), che consiste nel catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera e stoccarla nel modo più sicuro possibile. Estrarre petrolio è il processo esattamente opposto, che emette in atmosfera del carbonio che sarebbe stato tranquillo nel sottosuolo per millenni.
La gravità della mossa di Trump è tale che già un buon numero delle maggiori banche americane ha annunciato che non darà finanziamenti per le trivellazioni nell’ANWR. Tra queste ci sono JPMorgan Chase, Wells Fargo, Morgan Stanley, Citigroup e Goldman Sachs. Anche la reputazione delle compagnie petrolifere che investiranno in quest’area potrebbe subire danni visibili anche dal lato economico.
L’eterna lotta tra profitto economico e tutela dell’ambiente continua, senza tregua.