Protesa verso la zolla continentale  europea, la Tunisia è un piccolo ma importante attore del Mediterraneo. Le relazioni con l’Italia sono antiche, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo una numerosa comunità italiana risiedeva nella capitale e ancora oggi è forte l’impegno italiano, non solo nel contrasto all’immigrazione clandestina, ma anche in politiche di sviluppo economico e creazione di impiego a livello locale, politiche sociali ed educative. Questo impegno è gestito dall’agenzia del MAE (Ministero Affari Esteri) per la cooperazione e lo sviluppo, anche se il grande partner europeo rimane la Francia.

La Tunisia cerca di mantenere buone relazioni anche con i paesi della regione. I rapporti più stretti sono, per ragioni di prossimità, sono con il gigante algerino, fondamentale interlocutore di Tunisi nel settore della sicurezza e dell’antiterrorismo, oltre che nella lotta ai traffici e alla criminalità di tipo transfrontaliero. 
Le maggiori preoccupazioni in politica estera sono invece ovviamente rivolte alla vicina Libia.

Per potersi dedicare alle questioni esterne Tunisi ha bisogno di risolvere i problemi interni sorti a seguito della rivoluzione dei Gelsomini del 2011
Il paese è ancora in una fase di transizione che lo rende potenzialmente fragile e fa sì che rimangano ancora in piedi tutte le incertezze e le incognite legate all’effettiva riuscita o meno del passaggio da un regime autoritario a un sistema pienamente democratico.

Le ultime elezioni non hanno risolto i problemi  le dimissioni di Elyes Fakhfakh sono arrivate il 15 luglio, meno di cinque mesi dopo che il suo esecutivo aveva ottenuto la fiducia.

Elyes Fakhfakh – Wikipedia

Tunisi è in difficoltà nel rientrare dalla crisi economica iniziata prima della rivoluzione del 2011 e che si è aggravata nell’ultimo decennio “democratico”. La mancanza di una politica riformatrice non fa altro che aumentare la disoccupazione (in media al 15% ma con punte fino al 30% in alcune regioni periferiche del centro e del sud e tra alcune fasce di popolazione, in particolar modo i giovani laureati) che rappresenta uno dei vettori del malcontento sociale e della stagnazione economica. Ad aggravare la situazione ha contribuito anche il deprezzamento della moneta tunisina – il dinaro – che ha prodotto tassi di inflazione alti con ricadute immediate ed evidenti sulla vita quotidiana dei tunisini, in particolar modo per le fasce di popolazione a basso reddito.

Il problema più grande è  il debito pubblico, sempre più alto, che ha superato il 75% del Pil in dieci anni (durante il periodo di Ben ‘Ali era intorno al 35% del Pil); ciò  rende Tunisi esposta alle pressioni internazionali. Le difficoltà economiche interne accendono la crisi sociale, acuita anche dal forte calo dell’industria turistica, che per molto tempo era diventata un sostegno per i giovani. Mentre la produzione nazionale di petrolio e gas non riesce ad influire positivamente all’economia locale in quanto sono le compagnie straniere con sede a Tunisi a beneficiare di gran parte dei proventi della vendita di idrocarburi. 

La Libia non accoglie più la manodopera tunisina e le politiche miopi di assunzioni senza senso nella pubblica amministrazione hanno aggravato la condizione socio-economica del Paese. I giovani rappresentano il simbolo di un processo tradito che li costringe ad abbandonare il paese sui famosi barchini che entrano indisturbati nel piccolo porticciolo di Lampedusa. 

Lo sbarco di Tunisini che ha acceso i riflettori sui c.d. barchini tunisini

In questo vuoto sociale trova terreno fertile il fondamentalismo islamico che nel Paese ha un peso politico irrilevante.
DAESH, lo Stato islamico, ha rafforzato la propria presenza nei quadranti africani, interagendo con gruppi terroristici locali preesistenti e pubblicizzando – quale leva intimidatoria agganciata alle specificità locali  – la costituzione di nuove aree sottoposte al califfato. Sotto il profilo della propaganda, l’Isis tenta di sminuire le sconfitte nel vicino oriente e spostare l’attenzione verso le nuove opportunità offerte da altri teatri (Sahel, Libia e Somalia). 

Il fenomeno degli sbarchi autonomi (detti anche occulti o fantasma) secondo le analisi di intelligence possono costituire il rischio di un approdo clandestino di soggetti legate a cellule jihadiste. In questo groviglio si inseriscono anche formazioni criminali, che lontane dal condizionamento ideologico, stringono legami con le formazioni jihadiste pur di continuare i traffici illegali di esseri umani e merci.   

L’attacco dell’Isis a due resort turistici a Sousse, nel 2015 ha causato 39 morti – TgCom

Nel corso del 2019 sono state svolte delle attività per contrastare la criminalità legata al traffico umano e al contrabbando che hanno visto la Tunisia come punto di partenza, la relazione annuale del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica riporta la sintesi di queste operazioni:

“Il contrasto alle organizzazioni criminali dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dalla Tunisia si è, tra l’altro, concretizzato, nel 2019, in due operazioni di polizia con il contributo informativo dell’intelligence. L’operazione “Abiad”, condotta dai Carabinieri, si è chiusa il 9 gennaio con l’arresto di 15 indagati (13 nordafricani e 2 italiani) per associazione per delinquere a carattere transnazionale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al contrabbando di tabacchi lavorati esteri-tle, esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria ed istigazione ed apologia di terrorismo (dal monitoraggio dei profili social degli indagati è emerso che uno di essi risultava impegnato anche in un’intensa attività di propaganda a sostegno della causa jihadista). Il successivo 15 gennaio, la Guardia di Finanza di Palermo, nell’ambito dell’operazione “Barbanera”, ha eseguito provvedimenti di fermo nei confronti di 14 indagati – di cui sette italiani – per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed altri reati connessi, procedendo al sequestro preventivo di ingenti risorse mobiliari e immobiliari, frutto dei guadagni illeciti del sodalizio. L’operazione rappresenta la terza tranche dell’inchiesta “Scorpion Fish” – già tradottasi in due operazioni, nel giugno 2017 e nell’aprile 2018, con l’arresto di 30 persone – nei confronti di un’organizzazione criminale dedita alla tratta di migranti dalla Tunisia ed è parte di una più ampia attività di contrasto ai cd. sbarchi autonomi. 

Da entrambe le operazioni sono emerse plurime evidenze concernenti tra l’altro:
• l’attivismo di strutturati sodalizi tunisini, basati tra Marsala e Mazara del Vallo e con referenti in territorio nazionale, dediti anche al contrabbando di tle, hashish e corallo grezzo; 
• il modus operandi impiegato dai gruppi, con l’uso tanto di gommoni oceanici che di barchini con motori di potenza limitata per traversate che interessano in genere una decina di soggetti e rendono in media circa 20mila Euro, in cui la mansione di scafsta viene affdata esclusivamente a sodali tunisini, irregolari in Italia, che, laddove intercettati dalle Forze di polizia, si confondono tra i migranti;
• le rotte utilizzate per il traffico, con partenze soprattutto da Sfax, dalle prospicienti isole Kerkennah e da Capo Bon e con approdo a Lampedusa, Porto Empedocle, Pantelleria, Marsala e Mazara del Vallo” (1). 

Nelle ultime settimane i tunisini sono ritornati in strada per cercare di recuperare timidamente qualche petalo di gelsomino, ma la continua partenza illegale verso l’Italia di popolazione attiva non fa altro che indebolire il processo e arricchire criminali senza scrupoli che non si fanno problemi a trasformare i gelsomini in crisantemi. 

(1) Tratto dalla relazione annuale dell’Intelligence al Primo Ministro.