«Il mondo del calcio è uno zoo variopinto».
Non sono pochi gli addetti ai lavori che non vanno a genio con l’ambiente del pallone, almeno di facciata. Diventano già più rari i casi di tecnici che, dopo esperienze da primi, si prendano periodi per scalare le marce come assistenti. È il caso di Ettore Messina e Sergio Scariolo nel basket, tecnici esperti e vincenti che hanno scelto di fare temporaneamente i vice in NBA; o quello di Giovanni Martusciello e Aurelio Andreazzoli che, dopo aver assaporato le luci della ribalta in Serie A, hanno preferito tornare a dietro le quinte. Più unico che raro è però il caso di Luca Gotti.

«Non voglio fare il primo allenatore, non mi interessa: la fama e i soldi non sono una mia priorità».
Con queste parole si è presentato alla stampa nel post-partita di Genoa-Udinese Era il 3 novembre 2019, il suo esordio come primo allenatore, bagnato da una vittoria in trasferta al Ferraris. È successo che dopo sei sconfitte in dieci giornate Igor Tudor – che tra l’altro l’anno prossimo potrebbe arricchire la lista di cui fanno parte Martusciello e Andreazzoli, entrando nello staff di Pirlo alla Juventus – è stato sollevato dall’incarico. La società friulana non ha dubbi sulla successione, ma non sembra aver fatto i conti col diretto interessato:

Non è bello che un vice-allenatore prenda il posto del tecnico esonerato. C’è una questione deontologica: sembra che gli abbia fatto le scarpe

In un’epoca e in un ambiente dove è fondamentale apparire e comparire a tutti i costi – spesso anche al di là dei meriti – le dichiarazioni di Luca Gotti sembrano fuori dal mondo. Questa è la sua visione del mondo e della vita: «La fama non mi aiuta a vivere meglio. La qualità della vita è un obiettivo primario, se devo peggiorarla tanto per avere due soldi in più, che poi sono quelli che servirebbero a migliorarla, allora ci rinuncio».

In un mondo che rincorre frenetico i risultati, c’è invece chi guarda alla conciliazione vita-lavoro.

A questa presa di posizione hanno certamente contribuite le esperienze traumatiche, non ne fa mistero il 53enne, nato ad Adria e cresciuto a Contarina, un paesino del Polesine che nel 1995 è stato accorpato a Donada per formare Porto Viro, un comune di 15mila anime. In quel profondo sud del Veneto, attaccato al Delta del Po’ di aironi e pescatori – i suoi amici a cui appena può torna a fare visita – ha mosso i primi calci.
Uno stopper di categoria che ha militato in formazioni locali dell’attuale serie D – che allora si chiamava Campionato Nazionale Dilettanti o Interregionale – nel Contarina allenato da suo padre Dino, nel San Donà e nel Caerano. Ha conosciuto per una sola stagione il sapore del calcio dei professionisti, a 27 anni nel San Donà.

In panchina invece l’avvio sembra essere promettente. A soli 31 anni decide di appendere gli scarpini al chiodo per rispondere alla chiamata dei Giovanissimi del Milan – avuta grazie a una dritta di papà Dino, figura chiave del suo percorso professionale e di vita scomparsa nel 2015. Comincia la sua carriera come tecnico, da primo allenatore di giovani promesse del calibro di Albertini e Donadoni. Il percorso da mister prosegue in patria, con una lunga gavetta che passa per le giovanili e i semi-professionisti: Montebelluna, Pievigina e Bassano Virtus. Nel 2004 passa alla Primavera della Reggina che ha come team manager Bigon, un suo ex giocatore. Dopo il terremoto di Calciopoli del 2006, il vicecommissario Figc Demetrio Albertini si ricorda di lui e lo fa nominare ct della nazionale under 17. Quella del selezionatore sembra essere la dimensione ideale per Luca Gotti:

«Da ct ho capito che il mio compito non era più fare l’allenatore sul campo, ma andare a vedere un milione di partite e tanti giocatori ho girato l’Europa per vedere tanto calcio giovanile, in Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda, tutte nazioni di prima fascia».

Un idillio che si conclude nel 2008, per l’occasione della vita: la panchina del Treviso in Serie B. Un disastro: alla squadra perennemente all’ultimo posto si accompagnerà il fallimento della società. A gennaio il presidente esonera Gotti, ma il gruppo dei calciatori si oppone fermamente costringendo il patron a tornare sui suoi passi. L’anno successivo ci riprova, ancora in Serie B, stavolta a Trieste. Sarà l’ultima esperienza da primo allenatore (fino a pochi mesi fa). A ottobre viene esonerato, è il momento più difficile della carriera di Gotti:

«Credo che il vero spartiacque del mio percorso sia stato il periodo alla Triestina, il momento più duro. Non nascondo che dopo Trieste il cattivo pensiero, quello di dire basta, mi è passato per la testa. Poi, come è venuto se ne è andato, e ho trovato la forza, lo slancio, la voglia di ripartire, tra l’altro in un ruolo che mi gratifica tantissimo, un ruolo che non trovo riduttivo e mi permette di continuare a imparare».

Decide così di reinventarsi come tecnico, sempre in panchina ma da assistente. Ha lavorato col suo ex allievo Donadoni a Cagliari, Parma e Bologna, poi con Maurizio Sarri al Chelsea, togliendosi la soddisfazione di vincere l’Europa League. Alla gioia per il trofeo segue la delusione per il mancato approdo alla Juventus al seguito di Sarri, «Mi aspettavo una sua chiamata, ma nessun problema». Così è approdato in bianconero, sponda Udinese, come vice di Igor Tudor.

Quella che alcuni addetti ai lavori vivrebbero come una retrocessione è la dimensione ideale per Luca Gotti. «È la comfort zone di un uomo schivo, naturale perché senza impalcature e per questo rispettato e seguito dai giocatori» dice Alessandro Pierucci, probabilmente l’unico tifoso dell’Udinese nelle Marche, ma proprio per questo accanito supporter dei bianconeri.
«E’ un tipo alla mano, con cui andresti a cena». Afferma Mattia Meroi, giornalista di Radio Spazio 103.7 Udine. «Non centra molto con il mondo del calcio: è aperto mentalmente. Una persona acculturata dalla vasta conoscenza, in grado di affrontate qualsiasi tipo di argomento».

A confermare l’atipicità di Luca Gotti rispetto allo stereotipo dell’uomo di calcio ignorante ci sono due lauree, in Scienze Motorie e in Pedagogia; due master, in management e didattica; e le docenze a contratto all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Padova. «Ho avuto un mio percorso accademico su cui preferisco non addentrarmi. Conosco il calcio: se comincio a parlare di lauree e master, mi chiamano professore e non è proprio il caso».

«Infonde serenità – continua Mattia Meroi – ma è capace di infuriarsi per questioni extra-calcistiche che cozzano con i suoi valori».

La serenità della comfort zone di Luca Gotti è stata messa a repentaglio dagli eventi che hanno portato all’esonero di Tudor a novembre. Gotti è stato promosso primo allenatore suo malgrado, non per demerito ma contro la sua volontà. Ma i giocatori lo seguivano, la società puntava su di lui e soprattutto i risultati parlavano chiaro. È iniziata una fase che lui ha vissuto come ad interim, ripetendo “Io sono un secondo” come un mantra. Un’auto-imposizione, un meccanismo mentale usato per cercare il più possibile di “sottrarsi dal cono di luce”.

Con la ripresa la situazione si è cristallizzata. «In diritto è una situazione di possesso che diventa una situazione di proprietà», dice Pierucci, «da una situazione di fatto si è passati a un diritto reale, quello di Gotti di essere allenatore. C’è stata una presa di coscienza da parte dell’uomo nei confronti del suo ruolo professionale, che all’inizio viveva quasi come un vestito non su misura, quasi che lo avesse rubato». Il tempo, soprattutto in questi mesi interrotti, ha sistemato le cose, in particolare con sé stessi. L’allenatore che non voleva esserlo ha imparato a gestire la routine sotto i riflettori, trovando un compromesso tra meritocrazia professionale e rigore morale nell’aver preso il posto del predecessore. Gotti ha constatato lo status quo, e ha iniziato a calarsi nei panni che gli avevano cucito addosso.

E i risultati hanno pagato. «Ha fatto uno straordinario lavoro di normalizzazione e valorizzazione», secondo Meroi. «Ha rimesso a posto l’ambiente in punta di piedi, isolandolo dalle controversie societarie, a causa anche dei rapporti incrinati tra la famiglia Pozzo e una parte della stampa locale. In punta di piedi, da primo ha portato avanti aspetti che svolgeva da secondo, trasmettendo ai giocatori serenità, nonostante si stessero giocando la pelle per salvarsi». Il suo è calcio semplice che ha alle spalle un grosso studio. C’è abnegazione e metodo per risultate lineare. «Qualcuno lo etichetta come catenacciaro, difensivista, addirittura reazionario, ma con Gotti tutta l’identità di gioco dell’Udinese è cresciuta. Il suo gioco è verticale, etichettato come di ripartenza perché non passa per un ampio possesso, ma è in grado di portare molti più uomini in area rispetto al passato recente. L’Udinese si è difesa contro le grandi, ma con le piccoli ha fatto un calcio propositivo. Fofana e Lasagna sono esplosi grazie al lavoro di Gotti che ha rispolverato Nuytunck dal ripostiglio e rimesso al centro Mandragora».
Le doti gestionali non solo conservative di Luca Gotti hanno portato serenità alla squadra che è maturata fino a centrare il risultato di una salvezza tranquilla, insieme con qualche risultato di grido, come la vittoria contro la Juventus poi vincitrice del campionato.

La riconferma è stata meritata, anche se non scontata visto il tira e molla per il rinnovo tra la società e Gotti. «Ha chiesto garanzie tecniche, soprattutto tempo, visto che si immagina di non partire a razzo. Tanti allenatori riconfermati dalla volontà popolare – come Tudor e Del Neri – sono stati poi esonerati dopo poche partite», ne è consapevole Meroi. Non è stata una trattativa lineare, ma alla fine si è conclusa per la felicità di tutti, soprattutto della piazza. La sensazione è che Udine sia la città che più si concili con il carattere di mister – è ormai il caso di dirlo – Gotti. Non è un ambiente esasperante: si brontola ma non si contesta, ad Udine la qualità della vita è elevata. «L’elevazione di Gotti è una scelta di pancia di Udine: ha del friulano», non ha dubbi Alessandro Pierucci. «C’è empatia con la città e la sua indole lavoratrice e che non ama stare sotto i riflettori. La città si rispecchia nei valori dell’allenatore che è originario del Triveneto. Prima ci si era affezionati in questa maniera a Guidolin, che è di Castelfranco Veneto, e a Del Neri, di Aquileia. La figura di Gotti ha messo d’accordo tutta la città: società, tifosi e giocatori».
Una conferma? All’allenatore che tecnico che voleva restare vice, l’Udine del pallone ha dedicato l’hastag #GottioAustria, riedizione social di un famosissimo striscione per Zico, il bianconero più amato di sempre.