Una domenica d’agosto di 70 anni fa faceva bene o male caldo come oggi, le strade di città si svuotavano e le spiagge si riempivano. Era il 1950, l’inizio del turismo di mare popolare, alla portata di tutti, di un paese che si stava riprendendo dalla guerra e che nella ricostruzione vedeva in lontananza il profilarsi del boom economico. Il 1950 era anche l’esordio di un regista rimasto nell’ombra, dimenticato oggi e criticato al tempo, tacciato di una leggerezza dal sapore documentaristico fin troppo all’acqua di rose: Luciano Emmer.
Il suo cinema, nel periodo in cui si è condensata la sua produzione cinematografica, gli anni ’50 – lambendo i ’60 con lo splendido La ragazza in vetrina del 1961 – venne etichettato come “neorealismo rosa”, un’accezione dispregiativa dei tempi ormai declinanti della corrente neorealista, fatta d’impegno, povertà e “pedinamento del reale”. Di fatto un capolavoro come Umberto D. di De Sica usciva nel 1952 segnando la fine del periodo neorealista, e un anno prima Emmer firmava il suo secondo lungometraggio, Parigi è sempre Parigi, che raccontava i primi viaggi all’estero degli italiani per turismo, sfruttando l’onda delle partite di calcio dell’Italia da andare a seguire oltralpe. Due apparenti opposti, eppure, al contrario di tante pellicole anni ’50 promotrici di un cinema disimpegnato, leggero e popolare (anche per dimenticare gli orrori della guerra e affacciarsi a una normalità nuova, di un paese che stava mutando radicalmente), il cinema di Emmer ha saputo in quegli anni riformulare gli stilemi del neorealismo in una forma diversa, dando vita a un ibrido in sottile equilibrio tra commedia e innovazione, leggerezza e realtà documentata.
A rivederlo oggi, a distanza di 70 anni, Domenica d’agosto riesce ancora a trasmettere un senso di novità che oggi suona al contempo familiare, documentando il passaggio di un paese che cominciava a scoprire consumi, turismo e ritualità condivise, come il mare in giornata sulle spiagge di Ostia. L’innovazione di Emmer passa proprio dall’importanza del luogo: fu tra i primi a sottolinearne l’importanza e a farlo diventare il vero protagonista. In Domenica d’agosto è la spiaggia il teatro delle vicende dei personaggi. Personaggi che condividono lo stesso luogo, in un film che segna l’avvento di un cinema a episodi intrecciati.
A differenza di tanti esponenti del genere che popoleranno le sale fino agli anni ’70, gli episodi non sono slegati tra loro ma scorrono in parallelo, alternandosi e in certi casi intrecciandosi. E il cinema di Emmer si intreccia a sua volta con le sceneggiature di Sergio Amidei (qui al soggetto), sodalizio durato un decennio, e che mostra come i semi gettati in Domenica d’Agosto e l’idea di film a episodi intrecciati vedano i frutti in pellicole successive, dove ancora una volta è il luogo a far da protagonista, come ne Le ragazze di piazza di Spagna (1952), Terza Liceo (1954) e il già citato Parigi è sempre Parigi (1951). E volendo cercare una continuità, pur virata al rosa, con il neorealismo, basta scorgere tra gli sceneggiatori di Domenica d’agosto anche il nome di Cesare Zavattini.
Domenica d’agosto rimane forse il miglior Emmer, il più candido e poetico, sottile e delicato. È impossibile dimenticare la tenera storia d’amore di Marcella (Anna Baldini) ed Enrico (Franco Interlenghi), il ragazzino scovato sulla spiaggia privata, quella “dei ricchi”. Un gioco di ruolo in cui i poveri fanno i ricchi, e alla fine sorridono nel ritrovarsi nel quartiere popolare, dopo essersi creduti più lontani di quel che credevano; ma anche un meraviglioso affresco di un amore giovanile, timido e sincero.
Ogni episodio, del resto, segue età e addirittura generi diversi: ci si fa guidare tra incontri rivelatori – un vedovo e una donna rimasti soli con un figlio a cui badare – e incursioni in territori all’apparenza distanti, come l’episodio della rapina al mattatoio. Senza citare l’episodio che, tolte alcune comparsate, segna l’esordio di Mastroianni al cinema (doppiato da Sordi!). Vigile in una città deserta, dovrà affrontare con la compagna l’onta di un figlio concepito fuori dal matrimonio, e la disperata ricerca di un nuovo tetto sotto cui stare, nell’infinita attesa delle carte per sposarsi.
Era una domenica d’agosto di 70 anni fa, eppure, sembra ancora oggi: i treni affollati per raggiungere il mare in giornata e l’annessa corsa ai posti, le macchine – o meglio, le “caccavelle” – piene fino a scoppiare, e poi le spaghettate in riva al mare, le prime piste da ballo in spiaggia, la corsa alle ragazze e i ragazzi e le conquiste estive. Era il 1950 ed Emmer documentava i primi segni di un paese che si scopriva unito da tradizioni che cominciavano a tracciare un solco, tra consumo e modernizzazione. Un paese che negli anni ’50 ha mutato radicalmente volto e che Emmer, con il suo “neorealismo rosa”, ha saputo tracciare con rara delicatezza.