«Le mie intenzioni erano serie. Ma ero anche molto, molto fuori di testa»
Lou Reed
Luglio 1975. La RCA Records pubblica il nuovo, doppio album di Lou Reed. Un lavoro con un titolo strano, “Metal Machine Music”, e un sottotitolo che vorrebbe forse esplicare ma che rende il tutto solo più confuso: “The Amine β Ring – An Electronic Instrumental Composition”.
Il disco, presente in molte classifiche dei peggiori album di tutti i tempi così come in altre come uno dei migliori prodotti discografici di sempre, fece incazzare tutti, dai dirigenti discografici ai fan. Ed era proprio quello che Reed voleva.
Gli esordi da solista di Lou Reed
Metal Machine Music è un album che deve essere contestualizzato nella carriera dell’artista statunitense morto nel 2013. Reed, dopo aver abbandonato i Velvet Underground nel 1970, aveva già pubblicato quattro album da solista e un invidiabile numero di hit.
Subito dopo la rottura si impose un “periodo di esilio” al 35 di Oakfield Avenue, Freeport, tornando a vivere con i genitori e facendo (per una settimana) il dattilografo nello studio legale del padre.
Il suo album di debutto fu un disastro commerciale che vendette inizialmente poche centinaia di copie. Lou riuscì a rimettersi in carreggiata solo con l’aiuto di David Bowie.
La svolta glam e il ritorno al rock
Con il suo secondo album, Transformer (pubblicato sempre dalla RCA nel 1972), Reed, trasformato in icona glam, regalò al pubblico dei capolavori immortali come Vicious, Perfect Day, Walk on the Wild Side e Satellite of Love.
Il disco nacque grazie alla collaborazione con la divinità glam per eccellenza, che sempre per la RCA aveva da poco sfornato il suo successo The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Il Duca Bianco modificò l’immagine e i suoni di Reed trasformandolo in uno degli artisti più ricercati della scena rock mondiale.
Diversa era la visione dell’autore, che ben presto cominciò a disprezzare le sue creazioni a causa delle richieste incessanti del pubblico, che sembrava andasse ai suoi concerti solo per ascoltare quei tre o quattro singoli che passavano le radio.
Per il suo album successivo infatti, Berlin, Lou Reed decise di tornare alle origini e ripartire da sé stesso. Dopo essersi malamente allontanato da Bowie, e mentre affrontava la difficile separazione dalla moglie, pubblicò un concept album che trattava della fine di una relazione tra due tossicodipendenti, con toni cupi e drammatici.
La produzione non condivise la visione artistica di Reed e lo fece uscire tagliando molti brani. Anche la critica non apprezzò particolarmente, arrivando a definirlo “Il più nudo esorcismo della depressione maniacale mai messo su vinile” e “un distorto e degradato demi-monde di paranoia, schizofrenia, degrado, violenza e suicidio indotto dalle droghe”.
Un artista dedito all’autodistruzione
Nonostante con il tempo abbia raccolto l’apprezzamento degli appassionati, le vendite non furono entusiasmanti. Lou Reed si ritrovò costretto dalla produzione a sfornare altri successi al livello di Transformer. In due anni vennero pubblicato un album di inediti, Sally Can’t Dance, e due album live, Rock ‘n’ Roll Animal e Lou Reed Live, che diedero alla RCA i risultati richiesti nonostante il cantante provasse l’impossibile per boicottarsi:
A quel punto Reed si ritrovò devastato. Aveva sempre faticato ad accettare i dettami dell’industria discografica, i ritmi e le richieste, le interviste e i live, tutto gli stava stretto.
La nascita di Metal Machine Music
Beveva come un tombino e si faceva di qualsiasi cosa gli passasse sottomano, soprattutto metanfetamine. Era violento, sempre incazzato, e molto, molto annoiato. Spesso i suoi roadie erano costretti a tirarlo giù dal palco a forza.
Allora si chiuse in casa con una chitarra, amplificatori, una manciata di pedali e un registratore a quattro piste. Iniziò a giocare con le distorsioni e i volumi, sovraincidendo e tagliando ciò che ne veniva fuori. Niente bassi, batterie, archi o fiati, solo chitarre ed elettronica.
Ne venne fuori una cacofonia di distorsioni ininterrotta, un muro sonoro fatto di fischi ed esplosioni senza alcun senso melodico, strutturale, narrativo e probabilmente logico. Per confondere ancor di più il tutto, Reed nominò delle improbabili citazioni che avrebbe inserito nel disco, come la sinfonia Pastorale di Ludwig Van Beethoven.
Certo è che venne fortemente influenzato dai lavori del Theatre of Eternal Music di La Monte Young, e contestualmente dalle sperimentazioni degli ex Velvet John Cale e Angus MacLise.
La RCA non sembrò però gradire il disco e, pur essendo obbligati da contratto a pubblicarlo, fecero l’impossibile per confondere le acque tentando prima di farlo uscire per un’etichetta secondaria, per poi immetterlo nel mercato con una copertina che lasciasse pensare a un album rock, sulla scia di Rock ‘n’ Roll Animal.
Ma le intenzioni di Lou erano ben altre. Voleva distruggere tutto ciò che era negli anni stato associato al suo nome, e concepì questo disco come un enorme “vaffanculo” da sventolare sulla faccia di chiunque, dall’etichetta ai fan.
Il retro del vinile portava, oltre alla scritta “Rock orientation, melodically disguised, i.e. drag”, una lista dell’assurda strumentazione usata per la registrazione. In un’intervista successiva, Reed affermò candidamente di aver inventato il tutto, definendolo come un mucchio di “cazzate”.
Le intenzioni di Reed
Ma le intenzioni di Lou Reed, oltre che “ribelli”, erano anche ideologiche. Voleva creare un sound finale, qualcosa di insuperabile. Tempo dopo definì Metal Machine Music:
Non pago di questo, fece uscire la prima versione con quattro tracce, ognuna da 16 minuti e un secondo. Sul finire dell’ultima traccia il solco del vinile creava un locked groove, ovvero bloccava braccio e puntina facendo andare il disco all’infinito e costringendo l’ascoltatore ad alzarsi per interromperlo. Un vero incubo.
Lou Reed fu comunque molto chiaro riguardo la natura del suo lavoro:
Nonostante ciò il disco, sulla scia dei lavori precedenti, riuscì a vendere diverse copie (anche se moltissime vennero restituite ai negozi).
Le reazioni della critica
La critica invece si spaccò: da un lato c’era chi distrusse il lavoro senza pietà, come la famosissima recensione di James Wolcott per Rolling Stones che lo definiva “il gemito tubolare di un frigorifero galattico” e attaccava Reed per il tentativo di prendersi gioco della critica musicale.
Dall’altro lato qualcuno riconobbe molti meriti al disco e all’artista. Come Victor Bockris, che lo definì “l’album concettuale punk per eccellenza e il progenitore del punk rock di New York“, o Lester Bangs che titolò la sua recensione su Creem “The Greatest Album Ever Made”.
Oltre a parlare dell’album come una “medicina per il post sbornia”, definì Lou Reed “in anticipo”, dicendo che il disco sarebbe stato capito solo molti anni dopo. Bangs chiosò l’articolo con un “È il più grande disco mai realizzato nella storia del timpano umano”.
L’impatto di Metal Machine Music
E a distanza di anni si può dire che Metal Machine Music è stato di sicuro un album con un enorme impatto nell’evoluzione del rock, dando una spinta determinante per lo sviluppo definitivo di generi come l’heavy metal, la noise, l’industrial, la drone e un vasto campo di musica sperimentale.
Ovviamente, date le difficoltà tecniche, l’album non è mai stato eseguito dal vivo fino al 2002, quando i Zeitkratzer, ensemble tedesco di musica sperimentale, ne creò una partitura e lo suono dal vivo insieme a Lou Reed.
L’anno successivo Lou Reed tentò di “evolvere” Metal Machine Music” in un formato “finale e digitale”, dando vita al brano Fire Music, ennesimo tentativo estremo di un artista estremo, lontano da molte delle logiche del mercato.
Lou Reed ha tentato, nel bene e nel male, di alzare l’asticella e di portare la musica ad alcuni dei suoi livelli più estremi, probabilmente riuscendoci, senza aver bisogno di alcuna approvazione se non della propria. Come scrisse Bangs sul finale della sua recensione: “MMM è l’anima di Lou. Se c’è una cosa che vorrebbe vedere sepolto in una capsula del tempo, eccola”.