«È stato un boomerang per Lukashenko». Non ha dubbi Antonella Scott, vice responsabile della sezione Esteri e inviata in Russia del Sole 24 Ore. «Gli attacchi hanno finito per compattare l’opposizione che già era molto meno divisa del solito».
Quelle che giungeranno al culmine oggi saranno per la Bielorussia le elezioni più importanti da quando nel 1990 il paese ha dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Da 26 anni la piccola repubblica è governata da Alexander Lukashenko, considerato “l’ultimo dittatore d’Europa”. La rielezione per il sesto mandato presidenziale, questa volta, rischia di essere una sfida senza precedenti per l’unico deputato del Soviet bielorusso che nel 1991 votò contro la dissoluzione dell’Urss.
Gran parte del merito per un’elezione così attesa è di una una giovane donna 37enne, ex insegnante, sconosciuta fino a maggio: Svetlana Tikhanovskaya.
Suo marito è Sergei Tikhanovsky, un blogger e youtuber popolare nel paese che si era candidato alle presidenziali. Senza un programma preciso, il suo slogan «Schiaccia lo scarafaggio» è riuscito a raccogliere molto consenso popolare, scontento di Lukashenko. Ha scelto una pantofola come simbolo – con cui i bielorussi sarebbero soliti schiacciare gli scarafaggi – e ha cominciato a girare per le strade di Minsk con una pantofola gigante sul tetto dell’automobile.
Quando a maggio è stato arrestato insieme agli altri due principali oppositori di Lukashenko, era sembrata inevitabile un’altra larghissima e contestata vittoria del padre-padrone del paese. Ma è successa una cosa insolita: le mogli di due dei leader estromessi dalle elezioni, insieme alla coordinatrice della campagna elettorale del terzo, si sono unite in una coalizione che da giorni sta suscitando un entusiasmo e una partecipazione mai visti prima nel paese.
Tikhanovskaya è la leader di una campagna di opposizione condotta insieme ad altre due donne: Maria Kolesnikova – a capo della corsa presidenziale di un altro politico, Viktor Babariko, precedentemente alla guida di un’importante banca controllata dalla Russia, che dopo essere stato escluso dalle elezioni e messo in carcere si è alleato con Tikhanovskaya – e Veronika Tsepkalo – un’ex dipendente della Microsoft che ha diretto la campagna elettorale del marito, Valery Tsepkalo, ambasciatore negli Stati Uniti dal 1997 al 2002, estromesso dalle consultazioni e fuggito a Mosca con i figli per evitare la carcerazione imminente.
«E’ il germoglio che farà sbocciare qualcosa» afferma Antonella Scott. «Intendiamoci, non c’è alcuna possibilità che Tikhanovskaya vinca le elezioni, tanto meno che il voto possa essere regolare, ma è una grande speranza. Svetlana è un simbolo del cambiamento in un paese che da trent’anni pare addormentato».
«Non voglio il potere. Quando votate per Tikhanovskaya non votate per una politica, ma per i cambiamenti che arriveranno e per delle nuove elezioni legittime» ha detto la candidata in un comizio domenica scorsa.
«La leader dell’opposizione non ha un vero e proprio programma di governo» prosegue Scott, “ma ha promesso tre cambiamenti radicali nel paese: rilascio dei prigionieri politici; referendum sulla modifica della Costituzione per limitare il numero dei mandati del presidente; nuove e libere elezioni, entro sei mesi. Queste tre donne coraggiose sono state brave a mantenere compatta l’opposizione, senza spaccarsi su temi scottanti come economia o rapporti con la Russia. La politica non è li loro mestiere: sono portavoci del cambiamento».
La quasi certa vittoria di Lukashenko non riuscirebbe a porre fine alla rabbia crescente dei cittadini e a frenare il cammino di Tikhanouskaya, descritta da un alleato come la Giovanna d’Arco bielorussa, che potrebbe continuare a guidare un movimento di protesta destinato a produrre cambiamenti.
«Il presidente si trova forse per la prima volta a giocare sulla difensiva. Sembra aver perso il controllo della situazione».
Lukashenko si è finora rifiutato di prendere qualsiasi misura contro il coronavirus, negando i rischi della pandemia e definendo una “psicosi di massa” i timori e le limitazioni imposte da moltissimi governi ai loro cittadini. «Qui il virus non c’è» ha più volte ribadito il presidente dell’unico paese europeo dove si è continuato a giocare le partite di calcio professionistico a porte aperte, con gli spettatori sugli spalti. Lukashenko ha suggerito ai bielorussi di farsi una sauna «due o tre volte a settimana», sostenendo che il virus non sopravviva alle alte temperature; ha detto di «lavarsi le mani più spesso, fare colazione in orario, pranzare e cenare e bere vodka».
«Il presidente ha affermato di aver contratto il Covid ma di essere guarito, come – a suo dire – quasi tutti i bielorussi» – continua l’inviata del Sole 24 ore – «Si pone come padre della nazione e non può tollerare l’idea di una perdita di controllo, neanche se dettata da una malattia, in questo è simile a Putin. Non si mette in campagna elettorale, ma fa “ispezioni” permanenti. Nel 1985, dopo aver lasciato l’esercito è stato eletto Direttore di una sovchoz, una grande “fattoria” dello stato, quando in queste settimane si è più volte recato nelle fattorie ha ripetuto un mantra: “Non si può fare smart working. Come si può mungere una mucca da remoto?”».
L’esplosione della pandemia non è l’unico problema del paese. Il reddito mensile medio in Bielorussia – secondo quanto riportato dal Wall Street Journal – è di circa 380 euro. La Banca mondiale ha previsto che il PIL bielorusso subirà una contrazione di almeno il 4% nel 2020, la più grave degli ultimi venticinque anni, e che la crescita rimarrà debole a medio termine, anche a causa dell’impatto del COVID-19. Tra le cause del malcontento dei cittadini occupa un ruolo importante la crisi dell’economia. Lukashenko ha a lungo favorito un modello di tipo sovietico diretto dallo Stato – rivelatosi inefficace – in cui il governo offre prestiti e sussidi a società pubbliche inefficienti.
La Bielorussia è uno stato autoritario, con un enorme sistema pubblico di apparaticki in stile sovietico e di società sorrette dalla stato e a lungo tenuto in piedi dal bene placet di Mosca. Con la Russia esiste un intreccio di interessi ancora più solido di quello ucraino. Qui non esistono oligarchi, è un blocco monolitico statale. Per anni Lukashenko è riuscito a giustificare a livello internazionale una conduzione autoritaria del potere mantenendo uno strategico – e ambiguo – equilibrio nei rapporti diplomatici e nei legami economici con la Russia da una parte e l’Unione Europea dall’altra.
Ma a questo giro di elezioni le cose sono diverse: a gennaio la Russia ha fatto saltare i vantaggiosissimi accordi per le forniture energetiche bielorusse. «I russi hanno chiuso i rubinetti dei sussidi perché Lukashenko rifiuta l’unione. La Bielorussia è uno stato indipendente ma sussidiato, in sostanza è uno stato vassallo».
«Le sorti di Minsk passano da Mosca. Putin non sta certamente della parte di una rivoluzione colorata, “l’incubo Maidan” che Lukashenko sta paventando in questi giorni. Il Cremlino sta cercando il modo di gestire l’uscita di scena di Lukashenko, per mantenere il paese nell’orbita di Mosca. Dopo annessione della Crimea, l’occidente ha chiuso gli occhi sul presidente bielorusso, togliendo le sanzioni al paese. È un paese totalmente dipendente dalla Russia che ha giocato sull’essere a metà. I bielorussi si stanno rendendo conto della vicinanza con l’Europa, prima ci si accontentava del patto con le autorità che fornivano occupazione in cambio del silenzio. Come in Russia questo patto sociale autoritario sta iniziando a cedere. E’ difficile comprendere come interpretino l’Europa i giovani, quella generazione nata dopo il dissolvimento dell’Urss. C’è ancora un’enorme fascia di popolazione propensa a farsi intimidire, che vuole l’uomo forte. C’è paura di perdere il lavoro statale, e timore per il futuro».
Ci sono pochissime speranze che Svetlana possa vincere un’elezione preceduta da intimidazioni e arresti, e che sarà quasi certamente viziata da brogli. Una delle ultime rilevazioni ufficiali dava in larghissimo vantaggio – oltre il 70 per cento – Lukashenko, e le opposizioni dicono di non aspettarsi delle elezioni regolari. Visto che non sono stati formalmente invitati, però, non ci saranno inviati dell’OSCE a osservarne lo svolgimento. Ieri notte, poche ore prima dell’inizio delle votazioni per le elezioni presidenziali in Bielorussia, diversi membri del comitato elettorale della principale candidata di opposizione sono stati arrestati, in quello che molti hanno definito un tentativo di intimidire le opposizioni e favorire il presidente uscente Alexander Lukashenko.
In un presente sconfortante, da Unione Sovietica anni Settanta, è arrivata la scossa di Svetlana Tikhanouskaya.
«Lei è la prima a essersi stupita del successo della campagna. Mano a mano è diventata più sicura di sè. Tutte le città si stanno mobilitando». Lo scorso 30 luglio, 63.000 persone – in base ai dati forniti dall’organizzazione per i diritti umani bielorussa Viasna – hanno partecipato, in una piazza di Minsk, a quella che un giornalista dell’agenzia di stampa AFP ha definito la più grande protesta dell’opposizione nell’ex paese sovietico degli ultimi dieci anni, organizzata dalla coalizione di Svetlana Tikhanovskaya.
«Ha fatto tutto per amore del marito e la sua missione potrebbe finire oggi – conclude Antonella Scott L’obbiettivo è quello di avviare una transizione. Ma se, come è probabile, vincerà di nuovo Lukashenko, il programma cambierà e le verrà chiesto di continuare la battaglia che sta facendo compiere un enorme passo avanti per la fuoriuscita della Bielorussia da un sonno che dura da 30 anni».