Fu sempre spontanea, sfrontata: non c’era in lei nessuna volontà di incarnare la donna libera, moderna: semplicemente lo era
Da un punto di vista meramente cinematografico, Brigitte Bardot è stato un oggetto di culto a cavallo tra due mondi. Inserita in un cinema prettamente tradizionale in un primo tempo, si è trovata – non saprei dire quanto scientemente – a essere proiettata in una dimensione sovracinematografica e mondana che trascendeva la sua professione. Legata a livello politico, familiare e – si può azzardare? – antropologico alla rive droite, ebbe però anche a che fare con l’altra, quella più nota. È uscito a inizio luglio per i tipi GOG Brigitte Bardot, un’estate italiana di Mauro Zanon, corrispondente parigino de Il Foglio da sempre attento alle politiche e alla cinematografia dei nostri cugini d’Oltralpe, ma soprattutto orgoglioso cinefilo italiano. Il testo ricalca della diva francese specialmente i suoi vissuti italiani, con un’enfasi particolare per quel clima irripetibile che contribuì a creare il connubio e sodalizio storico – cinematografico, ma culturale in senso lato – fra Italia e Francia tra lo schiudersi dei ’50 e l’aprirsi dei ’70, in un’epopea irripetibile per il Cinema del ‘900.
Per me, forse più francofilo dell’autore in fatto di Cinema, la Bardot rimane agli annali soprattutto per quel lungometraggio pregno del dramma identitario che è La verità, un capolavoro forse più marginale, ma certo sofferto di Henri-Georges Clouzot, fuoriclasse della regia che i miei coetanei dovrebbero scoprire, più che recuperare; ma è importante leggere il libro per appropriarsi di una Bardot maggiormente legata all’Italia, a Steno, financo a personaggi come Sordi – nomi, questi, che appaiono distanti dal suo mito – e non solo ai suoi più celebri amori, Gigi Rizzi in primis e prima di lui Raf Vallone, una storia questa assai meno conosciuta.
Per cercare di tondeggiare una Bardot che non sia solo per l’appunto l’oggetto di un’analisi di Cinema, come non lo è nel libro che si occupa di retroscena e costume e non soltanto di Settima Arte, ho interpellato direttamente l’autore, con il quale è nata una discussione interessante che asseconda le nostre passioni comuni.
Parto da lontano, con una nota marginale: nel testo emergono fortemente i retroscena e le storie sui fotografi: erano funzionali e indispensabili per la storia, o esiste una tua passione particolare e pregressa per quel contesto? I dettagli su quel mondo poco raccontato sono numerosi, particolari, rari…
Nel testo parlo soprattutto di Giancolombo, un grandissimo fotografo, ma è per me un interesse che trascende l’argomento del libro. La scorsa estate per il Foglio ho scritto di Claude Nori, che ha raccontato molto bene l’estate italiana. I fotografi hanno veramente catturato e raccontato un’epoca. Mario de Biasi, che ha fotografato BB a Venezia in quella famosa foto del ’67, poi Tazio Secchiaroli, ovviamente; non erano solo fotografi né paparazzi, termine riduttivo che li svilisce, ma cronisti con la macchina da presa…
Nel libro analizzi in particolare tre film che hanno, ovviamente, un apporto cruciale nella storia della Bardot, del cinema e soprattutto del costume: Piace a troppi (Et Dieu… créa la femme), La ragazza del peccato (En cas de malheur), Il disprezzo (Le Mépris). In generale però, qual è la tua Bardot, quella che senti più tua?
Parlando di film, sicuramente Il disprezzo: per il corpo della Bardot certamente, ma anche per i giochi di luce, di colori, una certa ambientazione che include Capri; in proposito, di lei come figura e attrice, ciò che mi affascina della Bardot è che è selvaggia, ma disciplinata come ballerina: un mix tra natura e rigore; penso per questo che sia stata sottovalutata come attrice ma ebbe, per citare uno dei film scandalosi cui fai riferimento nella domanda, il riconoscimento di Jean Gabin, e basterebbe questo; personalmente io preferisco la Bardot selvaggia, però se osservi la sua posa, il modo di camminare…sembra che stia per fare sempre qualcosa di particolare…invece lei era così naturalmente…e lo era senza artifizi, e questo si vede sin dal suo primo film…
Il tuo testo parla di una Bardot italiana. Perché hai scelto una Bardot italiana, tralasciando maggiormente quella francese? È una questione personale di attaccamento al paese nel senso che, da italiano in Francia, volevi rinfrancare un po’ le tue radici usando un mito francese, o l’intenzione era semplicemente quella di fare un’opera mirata?
Il progetto iniziale era quello di coinvolgere molti più attori, anche attraverso interviste. Parlo dei grandi del cinema francese che hanno bazzicato parecchio l’Italia: Trintignant, Perrin, Delon… ma poi il tutto sarebbe andato molto lungo. Ho voluto mostrare quanto l’Italia abbia creato il mito Bardot. D’altronde al primo provino la Bardot venne bocciata da Allegret, che era considerato il regista delle donne. Venne snobbata inizialmente dalla Francia: invece l’Italia la accolse a braccia aperte, pose le basi per il suo mito. In Italia un parrucchiere ebbe l’idea di pensarla bionda, e poi pensa alla sua Poppea in Mio figlio Nerone di Steno. E l’italia creò la Bardot, insomma…
Anche pensando ai suoi amori, quelli di cui racconti: Raf Vallone e Gigi Rizzi, due italiani così diversi, quasi opposti…
Per l’appunto, questi amori rappresentano i due lati di lei di cui ti parlavo poc’anzi: Vallone e Rizzi. Il lato intellettuale e accademico con Vallone: d’altronde il loro amore nasce a teatro, poi ascoltando Vivaldi…c’è un che di artistico e letterario in tutto questo…; Gigi Rizzi rappresenta invece il lato selvaggio, spensierato, estivo, che durò un’estate: cioè esattamente il contrario. Manara stesso ha esaltato questo lato selvaggio della Bardot, valorizzando quello animalesco…
Secondo te quanto era cosciente la Bardot di stare attuando per la storia del costume un processo – per così dire – rivoluzionario? La mia impressione, anche da studioso del cinema, è che lei fosse intenzionata a vivere, più che a ragionare della vita…
Esattamente: fu sempre spontanea, sfrontata. Non c’era in lei nessuna volontà di incarnare la donna libera, moderna: semplicemente lo era. E tutto ciò non aveva alcun progetto né retropensiero. Lei ha vissuto senza esserne consapevole, ma con il suo lato fanciullesco; questo si capisce anche quando lei decide di andare con Gigi Rizzi, un playboy dall’iniziale lustro “minore” rispetto a Gunter Sachs…
Veniamo alla politica, questione più spinosa. La Bardot è stata – si è detto – più rivoluzionaria di Simone De Beauvoir, e in un certo campo femminista ha fatto, senza volerlo, più delle suddette, ma è sempre stata vista malissimo dall’intellighenzia progressista in Francia…
In italia noi separiamo l’opera della donna e della Diva dalla politica, la apprezziamo a prescindere. Mentre in Francia questo non avviene, e lei è vista come una vecchia fascista e basta, non ha più voce: a differenza che da noi, lì esiste davvero un dominio del politicamente corretto, certo non soltanto nel Cinema, ma anche. Pensa a Delon o ancor di più a Depardieu, ad esempio…anche lui ormai viene taciuto, considerato un alcolista e basta, un ubriacone. Forse anche per questo alcuni personaggi se ne vanno dalla Francia, talvolta venendo in Italia, perché in Francia sono Star viste male…