22 luglio 1990. Un giorno dopo aver compiuto cinquantatré anni, un cancro alla gola, probabile regalo dei lavori forzati in miniera, spense per sempre la luce di Eduard Streltsov, forse il più grande calciatore sovietico di sempre.
Operaio per necessità, calciatore per vocazione
Nato a Mosca, nell’area industriale di Perovo, Eduard venne cresciuto dalla madre Sofia Frolovna, dopo che il padre aveva deciso di crearsi una nuova famiglia a Kiev al termine del secondo conflitto mondiale. Sofia per guadagnare da vivere prese allora il lavoro dell’ormai ex marito presso la Fraser, all’epoca la più grande fabbrica dell’URSS per la produzione di utensili da taglio per l’industria. E nonostante un attacco di cuore, l’asma e una sopraggiunta disabilità vi rimase fino a quando Eduard non ottene un lavoro come montatore allo stesso stabilimento.
Eduard non era mai stato interessato alla scuola, se non alla storia e all’educazione fisica. Grande tifoso dello Spartak Mosca, la squadra del sindacato operaio, entrato in fabbrica appena 13enne divenne il più giovane calciatore dello stabilimento. Tre anni dopo la fabbrica organizzò un’amichevole contro la formazione giovanile della Torpedo Mosca, una squadra nata nel 1924 su iniziativa sindacale e che inizialmente si chiamava “Fucina Proletaria” (in russo “R.D. Proletarskaja Kuznica”).
Durante l’incontro il giovane Streltsov impressionò a tal punto l’allenatore avversario Vasily Provornov che poco dopo, nel 1954, il tecnico della prima squadra Viktor Maslov lo fece esordire in Klass A, il massimo campionato sovietico di calcio.
Un esordio da predestinato
Il primo campionato di Eduard Streltsov si concluse con un bottino di 4 reti in 24 partite, con la squadra nona in classifica. La Torpedo fino a quel momento aveva ottenuto come miglior risultato di sempre in campionato un terzo posto, ma era riuscita per ben due volte a vincere la coppa di lega. Nella sua seconda stagione in prima divisione il diciottenne Streltsov vinse il titolo di capocannoniere, con 15 gol in 22 partite, trascinando la sua squadra fino al quarto posto in campionato.
Il 26 giugno dello stesso anno fece il suo debutto in Nazionale, partendo titolare in un’amichevole internazionale giocata contro la Svezia, a Stoccolma. Il primo tempo finì 4 a 0 per i sovietici, e Streltsov mise a segno una tripletta. Ne fece altrettanti nell’amichevole successiva contro l’India.
Nei primi anni della sua carriera, oltre che per le incredibili doti tecniche, Streltsov si distinse da tutti gli altri calciatori soprattutto per la sua forza fisica e la sua velocità. Dotato di un’ottima visione di gioco e di un dribbling sopraffino, divenne famoso soprattutto per giocate come il colpo di tacco. La sua costante crescita tecnica e tattica, unita alla costanza nel rendimento, lo resero ben presto uno dei calciatori più apprezzati dell’intera Unione Sovietica. Anche grazie alle ottime prestazioni in Nazionale.
La vittoria maledetta delle Olimpiadi
Segnò all’esordio nelle Olimpiadi di Melbourne del 1956, per poi giocare una partita da annali nella semifinale contro la Bulgaria. I tempi regolamentari si chiusero a reti inviolati, con l’Unione Sovietica che si ritrovò con due giocatori infortunati, il difensore Nikolaj Tiščenko e l’attaccante (compagno di squadra di Streltsov nella Torpedo) Valentin Ivanov in campo alla ripresa del gioco, senza possibilità di sostituirli.
Al 95° i bulgari trovarono la rete del vantaggio. Eduard prese allora per mano i compagni e, con una rete e un’assist, li portò alla finale. Finale che però Streltsov non giocò a causa dell’infortunio…del suo compagno di squadra Ivanov.
Già, perché per l’allenatore Gavriil Kačalin in attacco giocava chi giocava insieme nel proprio club. Il giocatore che prese il suo posto nella vittoria sulla Jugoslavia titina fu il veterano attaccante dello Spartak Nikita Simonjan.
All’epoca venivano consegnate solo undici medaglie e Simonjan, forse ripensando durante la partita al percorso che li aveva portati sin lì, concluse tra sé che probabilmente quella medaglia Streltsov la meritava. Così gliela offrì, ma Eduard, 23enne con una lunga carriera davanti, rifiutò categoricamente:
Verso i Mondiali
E nella stagione successiva sembrò puntare a traguardi sempre maggiori, portando la Torpedo Mosca al secondo posto in campionato e mettendo in tasca alla Nazionale il pass per i Mondiali di Svezia del 1958. Durante lo spareggio per la qualificazione contro la Polonia Streltsov si fece male a inizio partita. Fece di tutto per rientrare in campo, riuscendoci e siglando il primo dei due gol della vittoria. Mister Kačalin, a fine match, disse ai giornalisti:
A fine anno arrivò settimo nella classifica del Pallone d’Oro dopo che nel 1956, in quella che era stata la prima edizione del premio (vinto da “Sir” Stanley Matthews), si era piazzato tredicesimo, primo sovietico dopo Lev Jascin, quinto. Streltsov era un bel giovane con talento e fama, al quale i guadagni da calciatore permettevano una vita sui generis.
Un giovane che si godeva la vita
Portava i capelli alla Teddy Boy ed era un rinomato dongiovanni, i suoi atteggiamenti crearono più di una smorfia sui volti dei capi di partito. I comandanti in carica all’epoca pretendevano di sapere tutto di tutto, tanto che in una nota interna del Dipartimenti di Calcio Sovietico qualcuno scrisse di non aver gradito le modalità del matrimonio del campione (che si era sposato con Alla Demenko il 25 febbraio 1957, nel bel mezzo del ritiro precampionato).
Streltsov era un eroe nazionale, intoccabile, ma non fece molto per mantenere questa posizione. All’inizio del 1957, durante una festa, conobbe Svetlana Furtseva, figlia di Ekaterina Furceva, una delle donne più potenti della storia sovietica, all’epoca Primo Segretario del Comitato Centrale del PCUS di Mosca.
Pare che Streltsov rifiutò le attenzioni e i corteggiamenti della ragazza e, probabilmente a causa dell’alcool (a cui, da buon russo, era avvezzo), le sue parole non furono quelle di un galantuomo. La madre della ragazza prese il tutto come un insulto personale, e portò le sue rimostranze a Nikita Chruščëv in persona.
I problemi con il Partito
Dopo un viaggio all’estero si disse “dispiaciuto di dover tornare in URSS”, con i dirigenti di partito infastiditi anche dall’interesse dei club europei per l’attaccante moscovita. Bisognava ridimensionare la portata del suo nome, e ogni occasione era buona.
Come quando, dopo aver rimediato un cartellino rosso durante in incontro a Odessa nell’aprile ’57, il quotidiano sportivo ufficiale Sovetsky Sport pubblicò un articolo intitolato “Questo non è un eroe“, nel quale si parlava di Streltsov come di “un esempio dei mali dell’imperialismo occidentale“. Dopo l’articolo la Federazione gli ritirò l’onorificenza di Maestro Benemerito dello Sport, acquisita con la vittoria olimpica, salvo poi fare dietro front e squalificarlo per tre turni.
Secondo alcune voci la goccia che fece traboccare il vaso fu il doppio rifiuto a trasferirsi sia al CSKA Mosca che alla Dinamo, secondo altri un insieme di quanto detto sin qui e di altro ancora, ma ad oggi non è chiaro cosa realmente causò l’inizio della discesa all’inferno di Eduard.
Una carriera stroncata
Ciò che è certo è che il 25 maggio 1958, quando ormai l’attesa per l’inizio dei Mondiali era quasi giunta al termine, Streltsov saltò il raduno della Nazionale per partecipare a una festa insieme ai compagni Boris Tatushin e Mikhail Ogonkov.
Alla festa, oltre al pilota Eduard Karakhanov, erano presenti tre ragazze: la ventenne Marina Lebedeva, la sua amica Irina Popova e un’altra ragazza di nome Tamara Timashuk. L’unico collegamento tra queste persone era Karakhanov.
Non si sa cosa avvenne in quella dacia, se non che molto alcool venne versato. Forse troppo, dato che la mattina del giorno successivo Streltsov, Ogonkov e Tatushin furono arrestati dalla polizia con l’accusa di aver stuprato tutte e tre le ragazze. Marina Lebedeva, nella sua testimonianza, affermò che Eduard la chiamò per dormire con lui e, quando iniziò a resistere, la trascinò con la forza. Simili furono le parole della Timashuk nei confronti di Ongokov.
Alcuni giornalisti parlarono di testimonianze contraddittorie, tanto che Marina cambiò versione, dichiarando che era ubriaca e non ricordava nulla, e Irina Popova disse che la ragazza ebbe conensualmente una relazione con Eduard. Le ragazze arrivarono anche a ritirare le imputazioni nei confronti dei calciatori, ma il procedimento per Streltsov era ormai avviato.
Molti vollero incriminare il proprietario della dacia, Karakhanov (che aveva lo stesso gruppo sanguigno di Streltsov, dettaglio non da poco dato che l’intera accusa si basava solo sull’esame di un graffio sulla mano del calciatore e sulla testimonianza delle ragazze), che venne licenziato dall’esercito, ma contro cui non venne aperto nessun procedimento.
Ogonyov e Tatushin divennero (inutili) testimoni al processo, lo stesso Eduard sentiva già di non avere più speranze, come scrisse in una lettera alla madre:
Lo stesso Kačalin, poco prima della morte di Streltsov, lasciò intendere in un’intervista che l’ordine di estromettere Streltsov dai Mondiali venne da Chruščëv in persona.
Probabilmente non sapremo mai se tale igerenza fu dipesa dal rifiuto di trasferirsi in altri club sovietici, dalla volontà di andare a giocare all’estero o dai commenti fatti sulla figlia di Furtseva.
La condanna ai lavori forzati
I fatti da qui in poi sono chiari. Streltsov venne convinto a scrivere una confessione: “Il 25 e 26 maggio eravamo alla dacia di Pravda. Non ho commesso stupri e non ne so nulla”. Una confessione che non risultò particolarmente convincente, al punto da costringere il calciatore a scriverne una seconda:
Di tutti i testimoni interpellati, nessuno udì mai un suono provenire dalla stanza nella quale si trovavano i due.
Eduard Streltsov, ventunenne, venne condannato a 12 anni di lavori forzati e bandito dalle attività calcistiche. Neppure la presenza di una moglie, una figlia piccola e una madre disabile riuscirono a lenire la sentenza.
Una marcia con 100mila persone venne organizzata per lui dalla fabbrica proprietaria della Torpedo, annullata però quando Streltsov venne frettolosamente condannato in via definitiva il giorno prima. Ogonkov e Tatushin vennero sospesi per tre anni e banditi a vita dalla Nazionale.
Gli anni nei gulag e il “ritorno alla libertà”
Eduard Streltsov scontò la sua pena in diversi campi di prigionia, lavorando in miniera e nei boschi, in un impianto di difesa e in una biblioteca. Fece anche quattro mesi in ospedale a causa di un prigioniero che organizzò un piano per ucciderlo, che non finì però con l’esito sperato. Streltsov era pur sempre “il grande Streltsov” e, nonostante le inimicizie, c’era qualcuno pronto a difenderlo.
Nel frattempo, in Svezia, la Nazionale sovietica perse 2 a 0 ai quarti di finale, proprio contro i padroni di casa che, pochi anni prima, erano stati sconfitti dalla tripletta del campione della Torpedo. Il suo club lo sostituì con Gennadij Gusarov, che con i suoi gol portò la squadra a vincere, oltre alla terza coppa, il primo campionato della sua storia.
Il 4 febbraio 1963 Eduard Streltsov ottenne la libertà condizionale. Iniziò a studiare ingegneria meccanica e a lavorare presso la fabbrica proprietaria della Torpedo, la ZIL. Si risposò ed ebbe un figlio, Igor. Riprese anche a correre su un campo, quello dello stabillimento, e la sua presenza iniziò a richiamare sempre più spettatori.
Ma il partito non mollava la presa, e prima di un incontro con la rappresentativa della fabbrica GAZ l’allenatore della ZIL venne “gentilmente invitato” a far uscire Streltsov dal campo a fine primo tempo. Tuttavia i tifosi si infuriarono e minacciarono di mettere letteralmente a fuoco il piccolo stadio teatro dell’incontro. La seconda frazione iniziò con l’ingresso in campo di Eduard accolto da una standing ovation.
Il ritorno del grande Streltsov
Quando nel 1964 Leonid Brežnev prese il timone del Partito Comunista le cose cambiarono. Una lettera con migliaia di firme, dalla gente comune alle alte sfere della politica, richiese l’annullamento dell’esilio calcistico di Streltsov.
Brežnev revocò immediatamente il divieto, definendolo “assurdo”. Eduard Streltsov tornò a vestire la maglia della Torpedo Mosca nel 1965 e, nonostante la non più smagliante forma fisica della giovinezza, con 12 gol in 26 partite aiutò la squadra a vincere il suo secondo titolo nazionale.
Il 28 settembre 1966 giocò anche quella che fu la prima partita di una squadra sovietica in Coppa dei Campioni, perdendo 1 a 0 contro l’Inter di Helenio Herrera. Gli venne permesso anche di tornare a giocare in Nazionale, ma solo dopo la fine dei Mondiali del 1966.
Diede un enorme contributo alla qualificazione per gli Europei del 1968, tanto da finire di nuovo tredicesimo nella classifica del Pallone d’Oro del 1967. Ma l’URSS non si rivelò una patria misericordiosa, e Streltsov non venne convocato per la manifestazione che vide vincere la Nazionale italiana.
Ma in quella che fa la sua ultima stagione completa, un ormai trentunenne Eduard Streltsov segnò 21 gol in campionato e vinse ancora la coppa di lega (1 a 0, suo il formidabile assist di tacco per il gol).
La sua carriera si interruppe nel 1970 a causa della rottura del tendine di Achille, con un bottino ufficiale di 99 gol in 222 partite, tutte giocate con la casacca bianconera della Torpedo, e di 25 gol in 38 apparizione con la Nazionale sovietica.
Il ricordo di Eduard Streltsov, il più grande
Dopo il ritiro Streltsov è diventato allenatore delle giovanili della Torpedo Mosca (fatta eccezione per un breve periodo in panchina con la prima squadra). Il suo più grande rammarico è stato quello di “non aver mai fatto abbastanza per giocare con lo Spartak”. Nonostancte ciò, la Torpedo decise di intitolargli il proprio stadio, che ancora oggi si chiama Stadio Streltsov.
Negli ultimi anni di vita gli venne diagnosticato un tumore che, secondo l’ex moglie Alla, fu causato dal cibo irradiato che veniva servito nei gulag. Nonostante fosse sempre allettato, riuscì a fare la guardia d’onore al funerale del grande Lev Jascin, durante il quale dichiarò di non avere più molto da vivere.
Pochi mesi dopo infatti, il 22 luglio 1990, dopo aver ricevuto nel reparto di oncologia molte visite per il suo compleanno, Eduard Streltsov morì. Fino all’ultimo giorno disse ad amici e parenti di non aver mai commesso quello stupro. Venne seppellito nel cimitero di Vagan’kovo dove nel 1997, per l’anniversario della sua nascita, dopo la fine della funzione una donna sola venne vista depositare dei fiori sulla sua tomba. Quella donna era Marina Lebedeva, la sua presunta vittima.
Ancora oggi, in Russia, il colpo di tacco è chiamato “lo Streltsov”.