Abbiamo già accennato alle difficoltà che si verificarono nella struttura di comando e controllo dell’Italia durante la seconda guerra mondiale. Con la breve analisi che segue, vogliamo evidenziare l’organizzazione e lo stato del mondo delle comunicazioni radio dell’Italia ad inizio guerra. Occorre premettere che la radio non fu il solo mezzo di comunicazione usato in quel conflitto dai belligeranti, era pur sempre una invenzione troppo recente. Venivano ancora preferite le linee telegrafiche classiche da impiantare con il supporto di dispositivi ottici e dalle mai tramontate colombaie.
L’esperienza della prima guerra mondiale e delle guerre coloniali aveva evidenziato l’importanza operativa del nuovo mezzo di comunicazione, in termini di velocità di emanazione degli ordini e di diffusione fino alle minori unità. Per sfruttare a pieno le potenzialità offerte dall’utilizzo della radio occorreva mettere in campo delle politiche volte all’acquisizione di materiali in grado di assicurare l’operatività dei comandi, ma allo stesso tempo c’era bisogno di formare personale in grado di utilizzare al meglio tali strumenti.
La comunicazione senza filo è legata indissolubilmente alla figura di Guglielmo Marconi, il quale, dopo il suo rientro dalla Gran Bretagna, concesse l’utilizzo dei suoi brevetti alle Forze Armate italiane. La nomina del premio Nobel ad accademico d’Italia e guida delle sperimentazioni nel campo radiotelegrafico, non riuscì a mettere in moto un circolo virtuoso in grado di far avanzare parallelamente ricerca scientifica all’avanguardia, istruzione e produzione in serie per l’impiego sul campo.
Il rallentamento della diffusione dell’utilizzo della radio è da ascrivere anche alla politica di restrizione attuata dal regime fascista nei confronti delle licenze di radioamatore. Tale politica diminuì la possibilità di costituire un bacino di personale adeguatamente preparato e pronto. Il regime, da un lato, lodava la radio come mezzo di diffusione della propaganda e come esempio di scoperta del genio italico; dall’altro ne limitava l’uso applicando tariffe enormi sulle componenti, tipo le valvole, per limitare la diffusione attiva, vista come pericolo in grado di minare la solidità del regime. Le uniche eccezioni erano costituite dai GUF (Gruppi universitari fascisti) i quali potevano svolgere l’attività di radioamatore.
La formazione del personale era limitata ad un addestramento di tre mesi, dove il trasmettitore marconista, diventava un buon operatore, ma non esperto.
Ciò che porta ad un buon livello di efficienza un settore è la sua organizzazione, pensata per i fini pratici.
Il settore dei collegamenti subì una serie di riconfigurazioni nel corso dei venti anni a cavallo tra le due guerre che non diedero l’assestamento necessario per poter condurre uno sviluppo univoco. In questo periodo la specialità genio radiotelegrafisti passò dalla presenza di due reggimenti, costituiti nel 1919, all’ultimo riordino prima dell’ingresso in guerra del 1938 (riforma Pariani) dove le unità radiotelegrafiste vennero assegnate ai Corpi d’armata e alle divisioni, senza scendere oltre il livello di reggimento. Fu così che vennero suddivisi 17 battaglioni misti collegamenti per Corpi d’Armata di fanteria; 2 compagnie collegamenti, una telegrafisti e una marconisti, inquadrate nel battaglione misto del genio per i Corpi d’Armata corazzato, alpino e celere; 63 compagnie miste di radiotelegrafisti e telegrafisti per le divisioni di fanteria. Questa organizzazione era fortemente sbilanciata verso le necessità dei comandi di grande unità a danno delle attività tattiche, dove si era costretti ad utilizzare mezzi obsoleti e lenti, come le colombe o i telegrafi ottici che sfruttavano il riflesso del sole.
Ciò che condizionò l’organizzazione del genio trasmissioni, come del resto per tutte le altre unità, fu l’esperienza in Etiopia. Dalle relazioni finali del maresciallo Badoglio venne evidenziata la necessità di alleggerire i collegamenti per lasciare più iniziativa ai comandanti, ma l’alleggerimento non avrebbe dovuto significare diminuire le dotazioni e le unità, risultato: le minori unità non furono messe nelle condizioni di poter operare in maniera fluida utilizzando apparati radio a livello plotone. Ad esempio, durante la campagna in nord Africa, le unità carri nel deserto avevano un solo mezzo equipaggiato radio per comunicare verso il comando sovraordinato, ma all’interno del plotone dovevano ancora comunicare mediante segnalazione con le bandierine, attività che rallentava l’unità esponendola ad un elevato rischio.
Questa limitazione era evidente nella dottrina di impiego che non aveva recepito gli spunti di manovre ed esercitazioni, come quella effettuata in Africa settentrionale da Italo Balbo.
Gli unici che compresero la portata furono i teorici tedeschi del blitzkrieg, che anticiparono anche i teorici alleati. I tedeschi pensarono ad una capillare struttura di comando e controllo, dove le radio alle minori unità unite alla concezione del comando by intent furono garanzia di successo.
La necessità di manovrare unità senza che l’avversario potesse intercettare il segnale trasmesso e l’esigenza di anticiparne le mosse diedero l’impulso allo sviluppo di tecniche di intercettazione e criptazione del segnale. Già durante la Prima guerra mondiale si era notato che intercettare le comunicazione nemiche avrebbe portato un vantaggio da sfruttare sul terreno. Pertanto si applicarono misure di protezione verso le proprie comunicazioni attraverso dei cifrari da utilizzare nelle comunicazioni (aggiunta alla direttiva Istruzioni di polizia militare disposta dal generale Cadorna) e di tentativi di intercettare quelle avversarie. Per quest’ultimo aspetto vennero create delle piccole unità dotate di apparati radiogoniometrici che avevano il compito di intercettare le comunicazioni avversarie. In questo contesto possiamo inserire la lotta per la decifratura dei codici della macchina ENIGMA.
L’Italia in questa gara, pur partendo quasi alla pari con gli alleati, mancò di spirito critico e di conoscenza delle lezioni offerte dalle prime operazioni tedesche in Francia. Questo limite si può estendere anche alla dottrina di impiego dei mezzi corazzati.
Lo scopo di questa analisi non è di ipotizzare se e come la guerra poteva essere vinta, ma se oggi siamo in grado di ricevere la lezione che quella immane tragedia ci ha lasciato al fine di cavalcare le sfide di oggi, in termini di organizzazione e di visione.
Uno dei punti critici di quella vicenda fu nei rapporti tra mondo politico, industriale ed accademico. Questi non condivisero finalità e conoscenza, ma cercarono di portare avanti interessi particolari a danno della più grande collettività che pagò gli effetti della guerra.