Nella coscienza popolare, tanto più che nella storia del cinema americano, la saga del Padrino costituisce una svolta. Il gangster di stampo mafioso prende il posto occupato poco prima dal cow-boy del West. […] La mitologia del Padrino si riappropria, tra l’altro, di archetipi e tematiche senza tempo: l’onore, l’odio, la famiglia, l’amore, il sesso, il potere, il tradimento e anche la redenzione. Il Padrino fu probabilmente l’avvento più felice della storia della Mafia. Prima, i gangster del cinema non erano che dei rudi e crudeli mascalzoni. All’improvviso acquisiscono una dimensione politica e quasi metafisica.

 Jean-Francois Gayraud - Divorati dalla mafia

Il cinema, la televisione, il mondo videoludico costituiscono tutti dei potenti strumenti di propagazione. Si tratta di canali che, grazie alla pervasività dell’icastica, sono in grado di contare su bacini d’utenza sterminati ed estremamente recettivi. Per queste ragioni le funzioni che tali mezzi sono in grado di ricoprire sono molteplici: possono divertire, istruire, commuovere e, in taluni casi, svolgere – più o meno volontariamente – una funzione apologetica.

Sia ben chiaro, ciò di cui si andrà a parlare nelle prossime righe non presuppone, laddove non sia esplicitamente espresso, un’azione celebrativa consapevole del fenomeno mafioso da parte di registi, produttori, sceneggiatori o sviluppatori di videogiochi. Non si intende infatti condurre una crociata contro il mezzo cinematografico, televisivo o videoludico, bensì ci si prefigge di mettere in guardia dalla sottigliezza e dalla viscosità che caratterizza il tema mafioso, anche e soprattutto quando si rapporta a simili canali divulgativi.

La retorica mafiosa è infatti in grado di generare una subdola infatuazione, che può facilmente trasformarsi in pericolosa esaltazione negli individui più suscettibili – primi fra tutti i giovani. Attraverso film, serie TV e videogiochi il personaggio del mafioso incontra quasi sempre il favore del suo pubblico, portato a parteggiare per il proprio beniamino criminale di turno.

Ad essere qui analizzato, tuttavia, non sarà il mezzo bensì il messaggio mafioso e le conseguenze, nella maggior parte dei casi non volute, della sua trasposizione per immagini.

Terminata questa necessaria premessa possiamo finalmente focalizzarci sul nucleo tematico del nostro articolo, il cosiddetto “paradigma del Padrino”. Se si prende a modello il caso del film di Francis Ford Coppola non si può negare che costituisca un vero e proprio cult cinematografico, ma neppure che sia divenuto – involontariamente – manifesto di una fantomatica ideologia mafiosa.

Il Padrino I, scena iniziale. Bastano questi primi cinque minuti per poter capire le basi su cui poggia il mito mafioso, alimentato involontariamente dalla pellicola di Coppola: i concetti di onore, rispetto e famiglia vengono distorti per produrre un’inverosimile codice mafioso.

Tale fortunata pellicola ha infatti concorso a facilitare un processo di integrazione dell’iconografia mafiosa all’interno della cultura moderna, facendo sì che Cosa Nostra non venisse percepita come un’entità aliena e nociva bensì che diventasse parte integrante del panorama sociale americano. Vito Corleone, magistralmente interpretato da Marlon Brano prima e Robert De Niro poi, non suscita nel pubblico un sentimento di distacco, di repulsione, di denuncia. All’opposto produce reverenza mista a rispetto.

La medesima ambivalenza del mezzo cinematografico è riscontrabile anche in Giappone, dove sono centinaia e centinaia i film che idealizzano in maniera intenzionalmente apologetica la tradizione Yakuza. Qui, come nel caso del Padrino, ad essere esaltati sono i classici valori dell’onore e dell’umanità, che le organizzazioni criminali distorcono consapevolmente col fine di crearsi una propria ideologia fondativa, una in grado di suscitare insieme legittimazione e rispetto. Scrive a riguardo Sayaka Fukumi – una delle massime esperte di criminalità giapponese – in The Yakuza and its perceived threat:

La Yakuza è sempre stata insieme temuta e ammirata nella società giapponese. Coloro che la ammirano sottolineano la disciplina e la lealtà dei suoi membri nei confronti del capo e della organizzazione (la famiglia) come virtù umane. Tale ammirazione si riflette nella popolarità dei film sui membri della Yakuza […] in particolare quelli degli anni ’70 e ’80 come Battles Without Honor and Humanity (o Jinginaki tatakai) (1973) e Wives of Yakuza (Gokudo no Onna-tachi) (1986), dove vi è una tendenza a tollerare la Yakuza come un “male necessario” (Matsumura 2008). I film tendono a enfatizzare gli aspetti più positivi del mondo Yakuza come ninkyo – onore, umanità e reciprocità – tutte parole di grande importanza nella cultura giapponese.

Una simile idealizzazione del male risulta quindi più comune di quanto non si creda. É talmente diffusa e dominante che gli stessi membri della criminalità organizzata ne vengono influenzati. Linda Milito, moglie di Louie Milito affiliato alla famiglia Gambino di New York, scrive nella propria biografia di come il marito e gli altri associati fossero rimasti ammaliati dalle gesta rappresentate dal Padrino, al punto da replicare modi e gesti presenti nel film e decidere di imparare l’italiano.

La medesima influenza è riscontrabile nelle trasposizioni audiovisive presenti da anni sul piccolo schermo: Narcos, I Soprano, Boardwalk Empire, Gomorra, McMafia, sono tutte serie TV in cui la retorica mafiosa costituisce il principio cardine e che, in maniera diversa, suscita un sentimento di rispetto che spinge inconsciamente a parteggiare per la frangia criminale.

Un emblematico esempio dell’influenza che le mafie riescono ad esercitare attraverso lo strumento televisivo. Gomorra, non a caso, è tra le serie italiane di maggior successo degli ultimi anni.

Del resto, anche per quanto riguarda l’industria videoludica, esistono videogiochi in cui i personaggi che si è portati ad impersonare sono figure mafiose, con tratti specifici ben delineati e che producono un inevitabile senso di immedesimazione. Si tratta di un filone del settore che da diverso tempo sforna nuovi titoli, sempre accompagnati da un discreto successo e che non sembra conoscere crisi. Mafia I, II, III, gli stessi videogiochi tratti dal film del Padrino, hanno tenuto e tengono migliaia di bambini e ragazzi attaccati alle proprie console, ammaliati dalle storie, le usanze ed i valori mediante cui le mafie vengono rappresentate. Stiamo parlando di generazioni che ancora non conoscono la parola “mafia”, ma che dalla sua trasposizione distorta su videogioco rimangono inevitabilmente infatuate.

Un fotogramma di Mafia III, capitolo conclusivo della serie iniziata con Mafia del 2002. Proprio quest’ultimo, dato il successo che ha riscontrato negli anni, si è recentemente guadagnato la possibilità di un remake. La versione rimasterizzata sarà infatti messa sul mercato nei prossimi mesi. © Flickr

Il pericolo di un simile ascendente mafioso, specialmente su individui nel pieno del processo di sviluppo, risulta alquanto evidente. Sebbene vi siano autori, produttori e sceneggiatori che si pongono il problema circa gli influssi che le loro opere potrebbero generare sul pubblico, molti altri rifuggono simili scrupoli, curandosi unicamente di ovviare alle richieste dei fruitori / consumatori.

Così, ancora una volta, non si fa altro che il gioco dei mafiosi, che da tale processo rappresentativo escono più forti, ma soprattutto legittimati ed integrati all’interno della società. Si è sempre più portati a pensare, infatti, che la componente criminale sia un aspetto inevitabile dell’evoluzione umana, un difetto congenito con cui si debba a tutti i costi fare i conti. Una volta accettata questa oscura entità come fisiologica, si smette di interrogarsi sulle cause e sulle conseguenze della sua presenza. Nel migliore dei casi ci si limita a rassegnarsi ad essa, tollerandola in quanto pecora nera della società globale, spesso fingendo non vi faccia parte.

Tuttavia esistono differenti gradi di tolleranza e integrazione del fenomeno mafioso: principalmente tra le generazioni più giovani infatti – quelle che non hanno avuto la sfortuna di conoscere il volto più sanguinario e violento delle mafie – in luogo della rassegnazione o della tacita tolleranza troviamo l’esaltazione e la celebrazione delle figure criminali, talvolta persino l’immedesimazione in alcune di esse.

È un po’ come quando da bambini si giocava a guardie e ladri: nessuno a proporsi come guardia ma tutti a voler recitare la parte del criminale, del fuorilegge dalla parte del bene. Così, tra i ragazzi di oggi, può capitare che si faccia a gara per impersonificare Ciro l’Immortale di Gomorra o il Totò Riina visto ne “Il capo dei capi”, spesso senza nemmeno conoscere il reale significato delle parole e della gesta che vanno a scimmiottare.

Se davvero vogliamo salvaguardare le generazioni successive – e non solo – dal fascino che la retorica criminale è in grado di esercitare, dobbiamo essere bravi a capire dove realmente risiede il problema. Prodigarsi in un’opera di censura del fenomeno mafioso sui canali televisivi, cinematografici o videoludici sarebbe in questo senso un madornale errore, poiché significherebbe fare la guerra al nemico sbagliato. Vorrebbe dire condannare il mezzo e non il messaggio.

Serve piuttosto ribaltare a nostro favore questo schema, e utilizzare simili canali in ottica antimafiosa. Raccontare le mafie per quello che sono e fanno, senza filtri o censure. Perché continuare a parlarne è fondamentale, ci ha insegnato Paolo Borsellino. Sta a noi farlo nella maniera giusta.


FONTI

  • Jean-François Gayraud (2010) Divorati dalla mafia: Geopolitica del terrorismo mafioso, Elliot.
  • Sayaka Fukumi (2003) The Yakuza and its perceived threat. In (A Cura di) Felia Allum (2003) Organised Crime and the Challenge to Democracy, Routledge.
  • Linda Milito (2003) Mafia Wife. Avon Books. New York.
  • Rino Coluccello (2015) Challenging the Mafia Mystique: Cosa Nostra from Legitimisation to Denunciation, Palgrave Macmillan.